150° anniversario dell’Unità d’Italia, Riccardo Ugolino intervista Gabriele Petrone Stampa
Scritto da riccardo ugolino   

Centinaia le manifestazioni per festeggiare i 150 annidell’Unità d’Italia: mostre, concerti, spettacoli. Dal punto di vista istituzionale il 17 marzo si terrà la seduta comune del Parlamento con la presenza del capo dello Stato.

Anche a Belvedere Mmo sarà celebrata degnamente la ricorrenza dell’ Unità con una cerimonia che il 17 marzo si svolgerà presso l’anfiteatro comunale, alla presenza di tutti i consiglieri, dei dirigenti scolastici, di associazioni e partiti politici. Alla manifestazione è stato invitato il prof. Gabriele Petrone, dirigente del movimento “PD azione democratica”, autore di un volume molto interessante dal titolo: “La Calabria che fece l’Italia. Il Risorgimento a Cosenza e in Calabria (1799-1861)” uscito nel 2010 con i tipi della Jonia Editrice di Cosenza. Lo abbiamo incontrato per chiedergli innanzitutto:

I Calabresi contribuirono davvero al Risorgimento e all’ Unità del Paese?

Assolutamente si, e fu un contributo importante in termini di sacrifici umani (condannati a morte, a lunghe e durissime pene detentive, al confino e all’esilio), in termini politici e culturali. Figure come quelle dei fratelli Plutino, di Miceli, di Frugiuele, di Morelli, di Musolino, di Romeo, di Nicotera, di Falcone, solo per citarne alcuni, ebbero un ruolo importantissimo anche a livello nazionale.

Eppure nella storiografia ufficiale spesso risultano essere ai margini…

C’è una tendenza della storiografia anche recente che ha teso a sottovalutare il contributo meridionale al Risorgimento nazionale, descrivendolo come un fenomeno elitario e ascrivibile quasi interamente ad una iniziativa della borghesia centro-settentrionale. Pesa su questo giudizio il fenomeno del brigantaggio esploso all’indomani dell’Unità, letto come resistenza da parte delle classi popolari e dei contadini meridionali in particolare al processo di unificazione del Paese…

E non è così ?

E’ vero, ma non è stato un problema solo meridionale, ma nazionale ed europeo. Fenomeni di resistenza contadina e popolare alle spinte unitarie e comunque di modernizzazione delle istituzioni in senso liberal-democratico si registrarono in tutto il Paese, sin dal momento in cui le armate di Napoleone entrarono in Italia insediandovi i germi della rivoluzione francese e la stessa idea di nazione. Nella stessa Francia rivoluzionaria ci fu una guerra civile sanguinosissima in Vandea, con il popolo schierato a difesa dei nobili, del clero e del re…In Italia voglio solo ricordare che l’esercito austriaco che combatté il 1859 contro i Franco-piemontesi era formato da tantissimi contadini e popolani lombardi, veneti, friulani e trentini che combatterono, tra l’altro, molto eroicamente al servizio degli Asburgo. Allo stesso tempo, tuttavia, a partire soprattutto dal 1848, la partecipazione popolare ai moti unitari fu assai significativa in tutto il Paese. Ricordo le Cinque Giornate di Milano, la Repubblica Romana, i moti di Reggio Calabria e Messina, le grandi manifestazioni di Napoli che costrinsero Ferdinando II di Borbone a concedere la Costituzione nel Regno delle Due Sicilie prima ancora di Carlo Alberto…

Eppure tutta una serie di studi recenti tendono a sminuire il nostro Risorgimento, quasi che fosse stato una sorta di imposizione ad un Paese restio a una visione politica ed istituzionale che apparteneva a ristrettissime élites intellettuali…

In Italia abbiamo due difetti: un grande provincialismo, nel ritenere i nostri problemi una specificità nazionale, e la tendenza ad usare la storia come strumento di polemica politica per il presente. Il Risorgimento fu, come dice Lucio Villari, uno straordinario momento di modernizzazione dell’Italia. Divisa in otto stati autoritari all’interno e subalterni all’esterno riuscì in poco più di un cinquantennio a diventare un Paese unito retto da istituzioni che, pur tra mille limiti e difetti, ci ponevano per la prima volta tra le grandi democrazie liberali europee. Ricordo che non fu un fenomeno solo italiano, ma riguardò la Germania e nei secoli precedenti aveva interessato paesi come la Gran Bretagna, la Francia, la Spagna; pur tra mille difficoltà, ripeto, e non poche resistenze…

Ma allora il brigantaggio meridionale cosa fu ?

Anche qui dobbiamo essere capaci di contestualizzare. Il brigantaggio era presente in forme endemiche almeno dal ‘500 nel Mezzogiorno e in Calabria. I Borboni lo affrontarono con non minore durezza dell’esercito italiano dopo il 1860. Fu, tuttavia, certamente una guerra civile, la prima combattuta in Italia come Stato unitario e su questo fenomeno occorre scrivere ancora molto…Ma fu un fenomeno essenzialmente sociale più che politico, la forma estrema di una reazione contadina ad un assetto istituzionale nel quale si coglieva pienamente un ulteriore peggioramento delle proprie condizioni di vita e la non risoluzione (con tratti di vero e proprio inganno) del secolare problema della terra. I tentativi borbonici e clericali di “metterci il cappello sopra” per restaurare il Regno delle Due Sicilie fallirono tutti miseramente proprio per il fatto che i contadini non si fidavano tanto nemmeno di loro…

Eppure c’è tutta una storiografia che tende a rivalutare i Borboni e il Regno delle Due Sicilie…

Risposta: Anche qui c’è molta esagerazione; se non si può negare che quello Stato avesse elementi positivi è altrettanto vero che non lo si può presentare come una specie di Bengodi rovinato dai cattivi “Piemontesi”. Era arretrato politicamente (uno dei più reazionari d’Europa a parte forse la Russia degli Zar e dei servi della gleba) ma anche economicamente. Cito un solo esempio: nonostante la prima ferrovia italiana fosse stata costruita tra Napoli e Portici, al momento dell’Unità il Regno delle Due Sicilie aveva solo qualche centinaio di km di strade ferrate rispetto alle migliaia del Piemonte, della Lombardia e della stessa Toscana. Per portare merci e persone da Paola a Rossano si prendeva la nave. In Calabria c’era una sola strada interna che collegava Campotenese con Villa San Giovanni, tracciata sulla millenaria Via Popilia costruita dai Romani…

Eppure il Sud con l’Unità non ci guadagnò, anzi…

E’ questo il più grande problema che l’Italia non ha saputo risolvere in 150 anni…Cavour, che non conosceva il Sud, ne era ben consapevole tanto da incaricare Minghetti di stilare un progetto di riforma amministrativa che concedeva molta autonomia a Comuni e Province, proprio perché si rendeva conto che la semplice estensione dell’apparato amministrativo piemontese a tutta l’Italia non poteva risolvere i problemi di territori che avevano avuto storie e sviluppi diversi. Pensava anche ad un poderoso piano di opere pubbliche come quelle che aveva realizzato in Piemonte negli anni ’50 dell’800 che potesse far superare il gap di sviluppo a regioni arretrate come quelle meridionali. Purtroppo morì troppo presto e i suoi eredi accantonarono il progetto Minghetti scegliendo la strada della semplice annessione…e le opere pubbliche furono accantonate per dare priorità al tema del pareggio del bilancio in tempi rapidi. Una visione miope che, però, fu avallata da classi dirigenti meridionali che finirono per assumere un atteggiamento subalterno di cui si vedono gli effetti ancora oggi…

Fu dunque giusto fare l’Italia ?

Assolutamente sì, perché gettò le premesse della nostra attuale democrazia repubblicana (il Risorgimento fu lotta non solo per l’unità ma anche per la libertà e la democrazia, non dimentichiamolo) e perché ha fatto dell’Italia una delle più importanti economie mondiali…a meno che non ci sia qualcuno  che possa sostenere che nel mondo globalizzato di oggi, in cui l’economia è egemonizzata da Paesi che contano più di un miliardo di abitanti e mettono in difficoltà grandi potenze come gli stessi Stati Uniti, si possa competere con stati lombardo-veneti o padani o delle due Sicilie. Io lo trovo contrario al buon senso oltre che alla legge dei numeri e, se mi consente, anche un po’ ridicolo…

E il Sud ?

Il Sud deve intanto trovare dentro di sé l’orgoglio della sua grande storia che è più antica e nobile di tante altre parti d’Italia…ma deve anche assumersi le proprie responsabilità; io credo che l’Italia abbia bisogno soprattutto non di un’etica astratta, ma di un’etica della responsabilità intesa come fare intanto ognuno il proprio dovere e non aspettare che i problemi ce li risolvano altri. Il Sud non può e non deve accettare la rappresentazione in gran parte falsa (e se volete anche razzista) di un Mezzogiorno “Gomorra” (i nostri mali, nella politica, nella società, nel vivere civile, non sono molto dissimili da quelli che interessano altri territori italiani, anzi) ma, nello stesso tempo, neppure autoassolversi dicendo “mal comune mezzo gaudio” o, peggio, pensare di rispondere a questa rappresentazione con una sorta di leghismo rovesciato. Deve invece assumere, forse per la prima volta in 150 anni, un ruolo dirigente nazionale forte di quella storia di cui parlavo e di quell’etica della responsabilità che dobbiamo costruire. In questo senso possiamo dire che dobbiamo rifare l’Italia dal Sud. Riccardo Ugolino - Pd - 14.03.2011

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