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a proposito del partito liquido PDF Stampa E-mail
Scritto da franco perre   

Il dato degli iscritti al Partito Democratico è stato oggetto, in questi giorni. di varie riflessioni.

La stampa nazionale  ha riportato i dati del tesseramento ed evidenziato che il partito di Veltroni nel 2008,  contava 791.517 iscritti – che nel 2012 , segretario Epifati, contava su 539.354 e che l’ultimo tesseramento ha registrato solo 100.000 iscritti.

Molti commentatori ritengono che il dato sia fisiologico, che il numero degli iscritti sia irrilevante e che l’idea del partito liquido in fondo è una idea di Veltroni e che Renzi è il naturale punto di arrivo di  quella politica. Evidenziano altresì   che il partito di Veltroni aveva certo circa ottocentomila iscritti ma che quel partito perse  le elezioni con il 33% dei voti e che il partito di  Renzi  avrà solo centomila iscritti ma ha stravinto le elezioni europee con oltre il 40%  dei voti tetto mai raggiunto dalla sinistra in Italia. Sul punto ritengo sia doverosa una riflessione.  Non si può non riflettere su un dato poco riportato ma che è il vero indicatore della forma di democrazia che si va affermando nel nostro Paese.

Il dato delle ultime elezioni europee è indubbiamente vero, ma va esaminato con più attenzione perché nasconde una realtà diversa. Il 33% di Veltroni corrispondeva a 13 milioni di voti, mentre il 40% di Renzi corrisponde al 11 milioni di voti. Veltroni  quindi subì una inappellabile sconfitta con due milioni di voti in più dell’indiscutibile vincitore delle ultime elezioni europee. Il dato ha una sua verità  sconvolgente: la disaffezione nei confronti della politica ha avuto come conseguenza che milioni di elettori hanno deciso di non recarsi alle urne facendo sì che la base elettorale si riducesse drasticamente.  Il fenomeno ha coinvolto almeno due milioni di cittadini  che sono passati dal voto alla sinistra al non voto. Di fronte a un dato di questa entità tutti coloro che sono amanti della democrazia e conseguentemente della partecipazione dovrebbero essere allarmati e preoccupati non tanto e non solo per le sorti del partito democratico quanto e soprattutto  per le sorti della democrazia nel nostro Paese.  Niente di tutto questo: la perdita di consenso passa come trionfo e viene utilizzato come grimaldello per mettere all’angolo coloro che aimè, nostalgici del passato, hanno ancora la pretesa di discutere.

Ma vi è una realtà ancora più amara che non può essere sottaciuta.

La Costituzione Italiana, come tutte le Costituzioni dei Paesi a democrazia avanzata, è fondata sulla democrazia rappresentativa: gli eletti operano in rappresentanza degli elettori che hanno affidato loro un mandato. I Padri Costituenti si posero il problema di coniugare il principio della rappresentanza con il principio della partecipazione.  In questa ottica  concepirono  l’articolo quarantanove che sancisce il principio che tutti i  cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. I partiti quindi furono concepiti come  strumento attraverso il quale  prende corpo la partecipazione dei cittadini.   Nel contesto istituzionale il  partito assume  quindi un ruolo determinate nella realizzazione di una democrazia partecipata;  una democrazia partecipata che si realizza dal basso verso l’alto. Sta di fatto che giorno dopo giorno  assistiamo  allo svuotamento di questo ruolo fondamentale. Se il partito non è più il luogo del dibattito della linea è del tutto evidente che i circoli si svuotano e che gli iscritti diminuiscono drasticamente. Svuotati  di ogni contenuto elaborativo,  ridotti a  strumento di valutazione del potenziale peso elettorale del singolo esponente,  con l’attuale formula delle primarie la iscrizione al partito non è rilevante neanche al fine della selezione della rappresentanza nelle istituzioni  e  persino  della classe dirigente del partito stesso. Commentando il successo di Mario Oliverio alle ultime primarie per la designazione del candidato a Presidente,  molti commentatori hanno evidenziato che  hanno votato anche persone non appartenenti all’ area del centro-sinistra, ma che quei voti non hanno inciso sul risultato raggiunto dai vari candidati.  Il problema però non è se quei voti hanno inciso o meno; il problema è che si vota una persona senza che sia definito il contesto politico (possibili alleanze)  e programmatico e che alle votazioni possano partecipare anche coloro che certamente in occasione delle elezioni  saranno energici avversari.

Il questo contesto la iscrizione al Partito Democratico  è solo un ferro vecchio da riporre definitivamente in soffitta, ma rilegando in soffitta i partiti certamente si rilega nel dimenticatoio anche i principi base della democrazia partecipata. Franco Perre - 12.10.2014

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