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quando una leadership vale l’altra PDF Stampa E-mail
Scritto da mauro d'aprile   
Martedì 03 Settembre 2013 16:23

E' bene che Matteo Renzi non annoveri, quale berlusconiano“ad Includendum”, l’attuale Presidente del Consiglio Enrico Letta e vicesegretario del PD, proprio mentre nello stesso partito ci si accinge a salire sul carro del vincitore.

Sarebbe paradossale che il passato si ripetesse. Walter Veltroni, divenuto segretario nel 2007, proclamando un bipolarismo compiuto a vocazione maggioritaria che dichiarò inadeguato il Governo  di Romano Prodi, retto da coalizione di piccoli partiti, in continuo ricatto (UDEUR e di estrema sinistra), perse le elezioni, a seguito della crisi dell’esecutivo e l’uscita di scena di Prodi, segnando il ritorno di Berlusconi.

Anche a Renzi compete chiedersi quale sia la vera ragione fondante del PD: l’antiberlusconismo o l’unità dei riformisti? Visto che non sono la stessa cosa. E sinceramente non crediamo che Letta debba anch’egli scontare ciò che lo stesso Renzi, utilizzando “ad includendum “nei suoi confronti, mostra di non aver capito: il Paese non può rimanere nel novero dei grandi se i suoi decenni si consumano nella dialettica tra comunisti ed anticomunisti, berlusconiani ed antiberlusconiani. I necessari processi riformatori del Paese, sono stati frenati da quella “convenzione all’esclusione” il cui uso è divenuto arbitrario proprio all’interno dei Partiti nei momenti di ascesa del personaggio di turno. E sinceramente, dopo Veltroni e Prodi, ma anche Bersani, non vorremmo che la vicenda politica ci regalasse Letta e Renzi quali personaggi di turno: si sono già disperse definitivamente tante virtù!

E’ fin troppo noto che le strategie politiche e di governo, insieme alla stessa nascita frettolosa del PD, furono anch’esse pensate e realizzate per fermare il berlusconismo, ma non per cambiare il Paese. Oggi sostenerlo è semplice, persino banale. Anche Renzi sostiene questo e su questo opera” i distinguo”, spostando la sua “Rottamazione”, dai singoli alle correnti.

Un Paese bloccato da berlusconiani e antiberlusconiani che si sono sorretti a vicenda, costringendo tutti a vivere in questo schema e impedendo quelle riforme – salvo alcune fatte per lo più da Governi tecnici, Dini prima, Monti dopo.

Oggi il tema non è “di chi è la colpa”. Sebbene precisato che il vulnus della democrazia italiana di questi  anni, stia nel non risolto conflitto d’interessi di Berlusconi, con tutta la sudditanza del potere pubblico ai suoi interessi personali, questo non giustifica  l’incapacità dei riformisti di costruire un’alternativa vera, credibile, che impedisse le degenerazioni protestatarie che inevitabilmente sono esplose. Considerato che nulla sarà come prima, c’è una esigenza imprescindibile per tutti: cogliere questa occasione per diventare un paese normale. Attraverso riforme costituzionali ed istituzionali, senza mortificare il pluralismo dei partiti, questo è il momento in cui si può rifondare il bipolarismo italiano, favorendo la dialettica, senza costrizioni dentro a uno schema quasi bipartitico tra “berlusconiani” e “antiberlusconiani”.

Tutto quanto questo potrebbe accadere anche qualora la Giunta del Senato promuovesse la decadenza di Berlusconi, o, si assistesse ad un rinvio della stessa. Le luci per i tempi ravvicinati del Congresso si accenderanno sul PD. Al pericolo destabilizzante per l’esecutivo di una leadership di Renzi, si contrapporrebbero i numeri dei sondaggi che vedono Enrico Letta raccogliere un forte consenso di elettori, al di là del giudizio sul Governo, quale garanzia per l’oggi, capace di muoversi in maniera concreta, serio e rassicurante. Uno che unisce e non divide.

La difficoltà di Renzi è appunto quella di non apparire un destabilizzatore e si sforza di coniugare la speranza di un domani migliore, quale strumento che in politica risulta sempre decisivo. Ma di questo deve convincere ancora i più. Lo farà ancora con le primarie.

Il punto a tutto vantaggio del Paese  è quello che il PD potrebbe essere innovativo con l’unione delle forze, mentre i due potrebbero camminare, con ruoli diversi, lungo un sentiero unitario: l’interesse pubblico nazionale. Una leadership, in questo caso, varrebbe l’altra. Mauro D’Aprile - 03.09.2013

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