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la distanza di un racconto: il Nostro PDF Stampa E-mail
Scritto da mauro d'aprile   
Venerdì 30 Agosto 2013 13:49

E’ passato un anno da che avevo deciso di pubblicare la mia Storia-Racconto su Belvedere “Dal Tirone allo Scalone ed Oltre”. Volutamente annunciata e collocata nei suoi baluardi, aveva la pretesa di risultare immediata, per la conoscenza dei luoghi, ai pochi. Stimolante e meditata, dai molti, per la implicazione dell’ “Oltre”.

Raccolgo i cocci di poche attenzioni, quelle che bastano a consolare una fatica. Ma sono quelle più sincere, trasudate da una storia che li appartiene. Perché queste persone appartengono a qualcosa! Sono persone che ho incontrato in uno squarcio di vita rugosa, non sulla liscia tavola della vernice fresca del compiacimento e del conformismo. La loro vita, nel bene e nel male, mi appartiene. Così la mia alle loro!

Al di là di un esito, non sorprenderà precisare che l’obiettivo del Libro velava un risultato diverso e più interessante, per altro, ampiamente dichiarato nella premessa dello stesso:

Proprio questa sfida, la sensazione di una avventura, mi ha, prima invogliato a selezionare i dati di mia conoscenza, e poi, reso speranzoso sul fatto  che una narrazione cronologica degli eventi che ci hanno interessato, avrebbe potuto affascinare il lettore, con lo scopo di catturarlo per ulteriori, nuovi, interessanti approfondimenti. La forza dei valori condivisi si manifesta nell’autoriconoscimento simbolico di un paesaggio, di una serie di tradizioni, di luoghi fisici e mentali di un modo di essere e di vivere che fa tutt’uno col proprio territorio. La coscienza di sé, il sentirsi partecipi dei caratteri ambientali e culturali che ci hanno accompagnato, si propone ancora una volta, quale risorsa capace di una nuova primavera della Città, non di un becero etnocentrismo ma nella  nuova dimensione  spazio – tempo  del Mondo- Villaggio.

Ho voluto soprassedere ad una presentazione del Libro perché, orgogliosamente, aspettavo iniziative da altri: quelle che ne avrebbero segnato il successo! Ed in fondo mi rimane il dubbio se questo mancato coinvolgimento dipenda dalla mia persona o se, ancora, più tragicamente, Belvedere resta lontana dal suo racconto.

Qualcuno afferma che la forza della “Poesia” è la forza del luogo, del suo racconto. La possibilità che essa ci dà di pensare lo stesso, non solo come testimonianza sporadica, ma quale vero presidio della sua identità nella memoria storica.

Ed ecco Belvedere con le sue estati di improvvisazione, con serate di cose poco intime, di ambigue passioni civili: finisce per esser una “Paesologia” che festeggia le piazze, i lampioni, i muri nuovi e vecchi. Sono serate in cui il creativo prova ad essere corale con un Sud sempre meno identitario (il Carnevale dello “imbroglio” con le maschere non nostre, dei prodotti artigianali a noi non familiari e perfino industriali, con i gusti ed i sapori di altre terre, di funghi, peperoncini e vitigni mai prodotti, ed anche del divino pane).

Ci sono molti ospiti, ma é il turismo della “clemenza” che prima o poi non pagherà!

Alcune eccezioni  si pongono quale serena obiezione ad una modernità incivile. Così la Martirano e la Palmieri, Scigliano, Galimi e Capo Tirone, Biondo, Musolino “e Cappellani”, Siciliano e Montebello, Gagliardi uno e due, Furingo uno e due, i Ballets Locali, Fulfaro e il Cenacolo Culturale Francescano.

Andiamo, andiamo in Piazza a Belvedere, ma a Diamante, a Scalea, a Praia, a Orsomarso, a Buonvicino, a Verbicaro. Guardare il paesaggio, camminare, stare insieme: ovunque una incerta sensibilità rivolta all’antico. E solo allora ci accorgiamo che qualcosa ci manca: il Castello, la Pinacoteca, il Museo, la Biblioteca, la Sala dei Convegni, i negozi attrezzati, i parcheggi, con le strade dirupate e le Chiese derubate, il languore di luci costose ed abbaglianti.

Se nel prossimo autunno le persone disertassero i divani e rimanessero pronti a cercare gli altri, in un autunno di comunità e di poesia, sarebbe la vera fine degli ignobili, ancora di scena!

Ed ecco allora il senso di un testo per la nostra Città, una propria giustificazione storica, un appello alla “convenienza” di una convivenza pacifica. Abbiamo bisogno di partire da un posto preciso: fare Comunità! E solo allora scopriremmo che anche la festa della Paesologia non avrebbe bisogno di proclami. Diverrebbe anch’essa un racconto senza approdi stabiliti.

A Belvedere io penso ad una comunità di squarci, ad una comunità delle fessure, ad un abbraccio degli orli. Dunque un festival dei sensi che all’improvviso si verticalizza e diviene metafisico. Dal vuoto del Castello  al pieno del sidereo. Un festival lieto per chi vuole irrigare il mondo con le proprie opinioni, suonando bene con la musica che esce dallo spartito, con lo scrivere poesie che escono dalla pagina, facendo bei film con la pellicola. Non ha senso un festival che onora un'arte bugiarda. Non ha senso un festival che organizza la distrazione degli emarginati per poi riportarli alla loro solitudine.In questo spazio di convulsione tutto diventa confuso: bisogna sapere scegliere i vicini, sapendo che facilmente divengono nemici. La mutazione non appartiene più ai secoli, ma ai minuti.

Ci vuole una storia più semplice: ritrovarsi insieme anche in autunno, praticando una forma di comunità che a differenza di quella estiva non si dissolva. Non è un disegno, non è una rivoluzione, è una festa in cui è lecito mettere assieme anche i dubbi e gli affanni. Il Nostro tempo non è così. Resta la consolazione che forse non è neppure il tempo dei nostri nemici. Mauro D’Aprile - 30.08.2013

 

 

 

 

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