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in memoria di Aldo Moro PDF Stampa E-mail
Scritto da riccardo ugolino   

La mattina del 16 marzo 1978 Aldo Moro veniva rapito in via Fani dalle Brigate Rosse, che uccidevano due carabinieri e tre poliziotti della sua scorta. Dopo una prigionia di 55 giorni, durante i quali fu sottoposto a processo dal “Tribunale del popolo”, Moro venne assassinato e fatto ritrovare nel bagagliaio di una Renault 4, parcheggiata in via Caetani a Roma, tra la sede del P.C.I. e quella, poco distante, della D.C.

L’anniversario di quel terribile evento è trascorso in silenzio, oscurato dalle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Eppure quel lontano marzo del 1978 la storia d’Italia sarebbe potuta cambiare e il Risorgimento italiano, conquista di una minoranza borghese illuminata, avrebbe potuto avere la sua più compiuta realizzazione in una democrazia dell’alternanza che avrebbe consentito al Partito delle classi operaie l’accesso al governo del Paese. E’ questo il senso del testamento politico di Aldo Moro, l’ultimo discorso strategico del grande statista democristiano, già noto agli storici ma sconosciuto al grande pubblico.

Pronunciato da Moro il 28 febbraio 1978 per perorare il “governo delle astensioni” e l’ingresso del P.C.I. nell’area di governo, quel discorso lanciava un’ipotesi: solidarietà nazionale, che non costituiva solo la risposta all’emergenza (inflazione, terrorismo, trame nere, crisi energetica) ma il superamento di una democrazia bloccata che non aveva consentito sino ad allora il ricambio delle classi dirigenti. Moro, in altri termini, era consapevole che la democrazia italiana,  senza la piena legittimazione del P.C.I., era incompiuta e la stessa D.C. era destinata alla perdita della sua anima riformatrice, popolare e degasperiana. D’altronde Moro, insieme a Berlinguer che fin dal settembre del 1973 aveva teorizzato l’alleanza con i ceti moderati nel quadro di un accordo tra le tre grandi componenti: comunista, laico-socialista, cattolica, intuiva che anche nel rapporto USA-URSS qualcosa si muoveva e che alla guerra fredda sarebbe seguito un rapporto di interdipendenza e di cooperazione.

Il 16 marzo il Governo Andreotti ottiene la fiducia del Parlamento con l’astensione del P.C.I., ma contemporaneamente Moro viene rapito. Cala, cosi, tragicamente il sipario su una grande intuizione che dopo l’emergenza prevedeva una “terza fase”: l’alternanza al governo tra due schieramenti alternativi ma uniti da un comune rispetto delle istituzioni. Un omicidio, per molti aspetti oscuro, ucciderà il grande statista democristiano e, con lui, la speranza di riconciliare le grandi masse cattoliche, socialiste e comuniste senza cancellare le diversità ideali e politiche. Senza l’assassinio di A. Moro e la morte prematura di E. Berlinguer avremmo avuto un’Italia bipolare e civile, il contrario dell’odierno berlusconismo. Riccardo Ugolino - 21.03.2011

N.B.: Queste scarne riflessioni devono molto alla meditazione sugli scritti di B. Gravagnolo, editorialista de “L’Unità”. A me spetta solo il merito di averle divulgate.

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