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commemorazione avv.sen.Francesco Martorelli, il ricordo di Raffaele Losardo PDF Stampa E-mail
Scritto da raffaele losardo   

Ho molti ricordi diretti di Ciccio Martorelli, che ho conosciuto quando ebbero inizio le vicende processuali legate all’assassinio di mio padre.

Con lui ho poi intrecciato, a partire da quelle vicende, un rapporto assai intenso, che mi ha formato sul piano umano e professionale.

Proprio da mio padre, quando ancora era in vita, avevo già sentito parlare di questa figura austera, di avvocato comunista. Mio padre lo aveva probabilmente conosciuto ed apprezzato, non soltanto per via della comune militanza politica, ma anche in relazione all’attività professionale, che presumo Ciccio avesse svolto anche nel circondario del Tribunale di Paola. Mio padre (che a Paola era segretario capo della Procura della Repubblica) volle segnalarmelo come un grande avvocato, oltre che come un dirigente di primo piano del partito comunista calabrese; insomma, una figura esemplare prima di tutto per il  rigore e la serietà nello svolgimento dell’attività professionale, che mio padre assumeva ed indicava a me (allora giovane studente universitario della facoltà di giurisprudenza) a modello, contrapponendolo ad altre figure, assai sbiadite, di professionisti del foro di Paola.

Ovviamente arrivai al mio primo incontro con l’avvocato Martorelli  emozionato ed in una condizione di soggezione (c’era anche una notevole differenza di età tra di noi), ma debbo dire che fui subito  messo a mio agio e che i nostri rapporti furono avviati da lui verso un clima disteso e colloquiale. Ebbi poi con lui diversi incontri, e scoprii  i tratti di gentilezza ed estrema signorilità della sua persona.

Ciccio Martorelli, raccolse e rappresentò all’esterno con una forza senza pari  tutta l’ansia di giustizia che animava noi familiari e la comunità dei cetraresi onesti, che lo aveva eletto a consigliere comunale.

Per me rimane memorabile il modo in cui incalzò il boss Muto, nell’aula della Corte di Assise di Cosenza, nel corso dell’interrogatorio dell’imputato: poneva domande precise, che non lasciavano scampo, sugli assegni che portavano la firma del boss e sui movimenti di danaro, domande alle quali “il re del pesce” non poteva e non sapeva dare risposta. Gli accoliti di Muto, visto il boss in difficoltà, inscenarono una gazzarra, ma Ciccio Martorelli andò avanti come se nulla fosse con le sue domande sempre più  penetranti, e tenne testa alle grida del pubblico, che rumoreggiava minacciosamente fuori dall’aula di udienza, e alle urla del boss, che scalpitava furioso nella cella, al quale replicò a muso duro, dicendogli: <<Non mi faresti paura nemmeno se tu imbracciassi un bazooka>>.

Fu anche per via della forte tensione che si registrò a Cosenza, se poi il processo Losardo andò a finire a Bari.

Chiusa come sapete la vicenda del processo Losardo, ho poi ho avuto modo di continuare ad avere contatti con Ciccio Martorelli per un’altra vicenda processuale, che vide stavolta lui direttamente convenuto in giudizio dall’allora presidente del Tribunale di Paola, William Scalfari. Ma soprattutto lo vide impegnato in un’altra pagina indimenticabile di verità, giustizia e legalità.

Ciccio aveva rilasciato un’intervista televisiva per una trasmissione andata in onda il 26 febbraio 1992 sul terzo canale della  Rai, dedicata a “Mafia e Magistratura in Calabria” e, rispondendo ad una domanda dell’intervistatrice, che gli aveva chiesto <<I magistrati non fanno processi? non fanno indagini?>>, aveva risposto tra l’altro: <<Il dr. Scalfari attualmente presidente del tribunale … in un rapporto firmato si dice che questo magistrato avesse rapporti diretti o indiretti con pregiudicati … proprio scritto  nel rapporto del maggiore Scippa dei Carabinieri>>.

Scalfari, dunque, l’aveva citato in giudizio civile dinanzi al Tribunale di Roma, con l’accusa di non avere detto la verità  e di averlo diffamato e con una pesantissima richiesta risarcitoria.

Ciccio volle che nel collegio dei suoi difensori ci fossi pure io. Ebbi modo di seguire questo processo, accanto a colleghi avvocati ben più autorevoli e prestigiosi di me (del calibro, per intenderci, di Fausto Tarsitano, Ignazio Fiore e Marcello Gallo) e, soprattutto, incalzato dallo stesso Ciccio. Ovviamente, egli non partecipò al giudizio come un passivo cliente, ma - al solito - fu  protagonista della sua stessa difesa, che condusse anche stavolta con grandissimo coraggio e veemente passione civile.

In primo grado il processo andò bene, ma la Corte di Appello di Roma rovesciò inaspettatamente la sentenza di primo grado e lo condannò a pagare 60 milioni di lire allo Scalfari.

Ricorremmo in Cassazione e la Corte Suprema annullò la sentenza della Corte di Appello.

Voglio riportare la pagina della sentenza della Corte di Cassazione che si occupa della posizione di Ciccio Martorelli, perché sono sicuro che la cosa gli farebbe grandissimo piacere.

Scrive la Corte (sez. Terza civ., sent. n° 379/05 del 7.12.2004 – 11.1.2005): <<la sentenza impugnata ha ritenuto che non sussistesse la verità dei fatti propalati dal Martorelli, in quanto non corrispondeva al vero che nel rapporto del maggiore dei CC Scippa si facesse riferimento a rapporti diretti ed indiretti del presidente Scalfari con pericolosi pregiudicati e diffidati di P.S., ma solo con l’arch. Savarese e che questi a sua volta aveva rapporti con pregiudicati. Sennonchè la sentenza impugnata, pur dando atto a pag. 11 che il Martorelli aveva parlato di “rapporti diretti o indiretti con pregiudicati” nelle pagine successive esamina l’espressione come riferita a “rapporti diretti ed indiretti”; la contraddittorietà della ricostruzione fattuale si riflette sulla motivazione, in quanto solo in presenza di dichiarazione di contestualità di rapporti diretti ed indiretti con pregiudicati, sarebbe certamente irrilevante l’amicizia della Scalfari con il Savarese. Inoltre la sentenza impugnata non ha preso in alcuna considerazione, pretermettendola completamente, la relazione dell’ispettore ministeriale Granero, limitandosi a dire che, mentre i due sostituti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Paola, erano stati sottoposti a procedimento penale, il presidente Scalfari fu indagato dal CSM soltanto per fatti rilevanti ai fini disciplinari e della incompatibilità ambientale. Sennonchè, tenuto conto della fonte (ispezione ministeriale) in cui erano riferiti tali fatti, il giudice di appello avrebbe dovuto valutare se essi potevano fondare nel Martorelli una ragionevole convinzione di verità, quanto meno putativa, dei fatti indicati ed in ogni caso se le critiche mosse alla gestione dell’ufficio giudiziario da parte del presidente Scalfari trovasse fondamento e motivazione nei fatti rapportati dall’ispettore, contestualizzati con quelli indicati nel rapporto dei carabinieri>>:

La sentenza della Corte di Appello di Roma, che aveva accolto la domanda risarcitoria verso Ciccio Martorelli, fu quindi cassata e la richiesta non fu più riproposta.

Questa battaglia fu vinta!

Con Ciccio ci eravamo proposti di festeggiare l’evento con una grande cena, ma poi rinviammo la cosa e successivamente le sue condizioni di salute andarono peggiorando fino al ricovero ed alla sua morte. Rimpiango questa cena mancata.

Oggi mi rimangono alcuni libri di Ciccio e l’esempio della sua integrità morale.

Non sta a me fare un bilancio del suo pensiero e della sua vita, ma credo di poter affermare che Ciccio sia stato prima di ogni cosa un grande meridionalista, impegnato a far uscire la Calabria ed il Mezzogiorno dall’arretratezza storica, in cui sono state relegate dagli assetti socio economici che informano il nostro paese.

Credo che Ciccio stesso abbia avuto piena consapevolezza di questo suo ruolo. Il libro “Mezzogiorno – Legalità come rivoluzione”, che raccoglie alcuni suoi interventi da parlamentare, contiene una sua autopresentazione rivelatrice, nella quale egli svolgeva questa riflessione: <<Io mi occupo in Parlamento di settori della legislazione, problemi, questioni che attengono tutti, quali più quali meno, al regime della legalità democratica del nostro Paese. Ma il regime della legalità è oggi il dato centrale, a mio parere, della questione meridionale. La Calabria per fuoriuscire dalla sua subalternità deve diventare una regione nella quale la norma, la regola devono essere il principio informatore del comportamento nel pubblico e nel privato. Insomma la legalità è rivoluzionaria in Calabria e nel Mezzogiorno>>.

Ciccio, in quanto meridionalista convinto e conseguente, è stato un esempio, un grande esempio di uomo di legge.

A conclusione di questa mia nota, alcune parole sull’intitolazione della piazza “dei pescatori” sul lungomare di Cittadella del Capo alla memoria di Giannino Losardo.

Credo che papà ne sarebbe stato felice, lui che pescatore – sia pure per diletto – lo era al punto, che avrebbe lasciato qualsiasi altro impegno per uscire in barca ed andare a calare le sue lenze sulle secche dei nostri mari.

Anche questa iniziativa, di cui ringrazio fortemente l’amministrazione comunale di Cittadella del Capo Bonifati ed il Circolo Culturale Città di Fella, simboleggia quel ripristino della legalità per cui Ciccio si è tanto battuto, se è vero – come mi è stato riferito – che proprio a Bonifati si nascondevano un tempo i latitanti del clan. avv. Raffaele Losardo Roma, 3 dicembre 2010

 

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