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destra e sinistra al tempo della crisi PDF Stampa E-mail
Scritto da riccardo ugolino   

A partire dal 1989, con il trionfo della globalizzazione neoliberista, in tutti i Paesi occidentali si è registrata un’ enorme redistribuzione di ricchezza dagli strati medi e bassi della popolazione ai ceti più alti.

Tale tendenza ha comportato una concentrazione patrimoniale e finanziaria in poche mani: il 10% della popolazione mondiale si è accaparrato il 50% della ricchezza totale.

Uno dei Paesi più diseguali, per distribuzione di ricchezza e reddito è l’Italia, dove 2,3 milioni di famiglie (10% del totale) detengono 3700 md di euro, pari al 45% della ricchezza nazionale.

Questo dato, reso pubblico dalla Banca d’Italia, colloca il nostro Paese al secondo posto nella graduatoria mondiale per ricchezza delle famiglie, dietro solo al Giappone, davanti a Stati Uniti, Germania, Francia, Inghilterra.

Queste famiglie possiedono mediamente un patrimonio finanziario (liquidi, depositi, titoli , azioni, polizze vita, fondi pensione) e immobiliare ( fabbricati, terreni, imbarcazioni, …) superiore a 1.600.000 euro, cresciuto nel 2009 del 19% malgrado la crisi, un trend destinato a confermarsi anche quest’anno, con la ricchezza stimata in crescita del 5,3%.

Mentre i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri diventano sempre più poveri. L’Italia occupa il 23° posto nella graduatoria degli stipendi e dei salari nei trenta Paesi OCSE

ITALIA          $   22.027

MEDIA OCSE    26.395

MEDIA U.E.       28.454

N.B.  La classifica riguarda il salario netto annuale medio di un singolo senza carichi di famiglia; è calcolato in dollari a parità di potere di acquisto.

Lo scarto è negativo non solo rispetto a Paesi come gli Stati Uniti, la Germania, la Francia,                      l’Inghilterra, da sempre considerati più ricchi: i lavoratori italiani vengono pagati meno anche dei colleghi che vivono in Paesi che stanno decisamente peggio dell’Italia come Grecia e Irlanda. Ancora più difficile è la condizione dei pensionati come si evince dai dati ISTAT e INPS relativi al 2008: il 46% percepisce un assegno mensile inferiore a € 500, il 26% inferiore a € 1000.

La forbice tra ricchi e poveri si è allargata soprattutto nei Paesi come l’Italia, nei quali la leva fiscale ha agito su salari e profitti risparmiando le rendite, tollerando l’evasione e la corruzione pubblica.

Il «cuneo fiscale», cioè la differenza tra quanto viene pagato dal datore di lavoro e quanto il lavoratore riceve in busta paga, ammonta in Italia al 46,5% collocando il nostro Paese al sesto posto sui trenta dell’ OCSE.

1°  BELGIO      55,2%

3°  GERMANIA  50,9%

6°  ITALIA  46,5%

7°  SVEZIA  43,2%

10° GRECIA  41,5%

27° AUSTRALIA  26,7%

30° MESSICO  15,3%

N.B. La classifica è relativa a Tasse e Contributi sui salari di un lavoratore single, mentre il carico fiscale sul salario di un lavoratore, unico percettore di reddito con a carico coniuge e due figli, incide del 35,7%.

La pressione fiscale esercitata sul lavoro dipendente è tanto più insopportabile quanto più leggera è l’ imposta sulle rendite finanziarie ( 12,5%) e scandalosa l’evasione fiscale.

Nel 2008 l’evasione dell’imponibile è stata stimata in € 320 MD, pari al 20% del P.I.L. , che ammontava a 1.600 MD di euro.

Nel 2009 le imposte evase, che la Confindustria ha valutato 124 MD, pari all’8.24% del PIL, erano equivalenti alla spesa sostenuta dallo Stato per il Servizio Sanitario Nazionale, comprese le retribuzioni dei 700ooo dipendenti.

Con la stessa cifra l’Italia potrebbe garantire un sostengo economico di euro  12.500,00 annui a ciascuno degli 8 milioni di cittadini poveri.

L’evasione aumenta in maniera esponenziale: nei primi 4 mesi del 2010 le entrate dello Stato sono diminuite di 12 MD, mentre il danno all’erario provocato dalla corruzione pubblica è valutato dalla Corte dei Conti in 60 MD di euro annui.

L’impoverimento dei ceti medio-bassi, con la conseguente riduzione dei consumi (-10% negli ultimi 4 anni; - 1,7% ad aprile  2010)  e la sovrapproduzione di beni e servizi, ha provocato la crisi economica più grave dopo la “grande depressione” del ’29 :

  • nel biennio 2008-2009 il PIL è diminuito del 3,5 % nell’Unione Europea e del 6,3% in Italia;
  • il tasso di disoccupazione è passato dal 6,8% del 2008 al 9,1% del primo trimestre 2010 (nel Sud il 14,3%) ;
  • 2.276.000 sono le persone in cerca di lavoro (il dato peggiore dal 2001);
  • nell’aprile del 2010 il tasso di disoccupazione dei giovani con meno di 25 anni è aumentato del 4,5 % rispetto al 2009 raggiungendo la cifra record del 30%;
  • i giovani tra  18 e 34 anni che vivono con i genitori sono 7 milioni e quasi la metà compie questa scelta per problemi economici ( in 300.000 hanno perso il lavoro nel 2009);
  • dal 1° gennaio  al 30 aprile 2010, 1.250000 lavoratori sono stati interessati alla cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga, e le ore complessive erogate (116.000.000) sono aumentate del 52% rispetto all’aprile del 2009.

La diminuzione delle entrate tributarie conseguente alla crisi, ha costretto i governi occidentali a indebitarsi per finanziare ammortizzatori sociali, agevolazioni fiscali, contributi per la casa, il diritto allo studio, alla salute.

L’Italia, complici il sistema fiscale tollerante con gli evasori e i percettori di rendite e una spesa pubblica gravata da sprechi e corruzione, si colloca al settimo posto nella graduatoria mondiale dei Paesi più indebitati.

Il debito che l’Italia ha contratto con gli investitori attraverso l’emissione di obbligazioni, è pari a 1812,790 MD di euro  (il 118,4% del PIL), superiore perfino al debito sovrano della Grecia (108%).

Non c’è dubbio, pertanto, che era necessaria e urgente un’inversione di tendenza nei conti pubblici, ma la Destra, piuttosto che incrementare le entrate attraverso una seria lotta all’evasione, piuttosto che tassare i patrimoni finanziari e immobiliari, piuttosto che adottare severe misure contro le corruzione pubblica, ha concepito una manovra di 24 MD, di cui 12 strutturali, una manovra “lacrime e sangue” che:

  • taglia i trasferimenti alle Regioni, alle Province e ai Comuni che avranno meno risorse per lo sviluppo, per i servizi sociali agli anziani e alle fasce deboli;
  • blocca i contratti pubblici,
  • ritarda di un anno il pensionamento dei lavoratori e riduce la salvaguardia di chi è in mobilità;
  • congela il turnover e licenzia la metà dei precari nella Pubblica Amministrazione;
  • riduce le risorse per la formazione, l’istruzione, la ricerca scientifica.

Il Governo ha varato una manovra non solo ingiusta, per la distribuzione diseguale dei sacrifici che esaspera la conflittualità sociale, ma anche controproducente per l’economia del Paese.

Infatti, se si diminuisce il potere d’acquisto di salari e pensioni, anche i consumi di massa si riducono e si soffoca ogni possibilità di ripresa economica, rendendo inutili i sacrifici imposti con la manovra.

Pertanto, per uscire dalla crisi e prevenire una possibile sfida dei mercati finanziari, occorrono non solo interventi mirati sul Bilancio dello Stato ma, soprattutto, misure per favorire la crescita:

  • avviare la riforma del fisco, abbassando le tasse a lavoratori e pensionati e intensificando la lotta    all’evasione fiscale ;
  • tassare rendite e grandi patrimoni;
  • definire una nuova politica industriale, del terziario e dei servizi;
  • varare un “Piano per il lavoro” a favore dei giovani e delle donne,  incentivando le assunzioni a tempo indeterminato e cancellando le tante precarietà;
  • investire nell’istruzione, nella formazione, nella ricerca;
  • rendere flessibile il patto di stabilità per i Comuni virtuosi, per consentire la ripresa dei lavori pubblici.

Riccardo Ugolino - area democratica - 09.07.2010


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