Capo Tirone - un parco archeologico Stampa
Scritto da laltrasinistra   

L'art.101 del D.lgs 42/2004 " Codice dei beni culturali e del paesaggio" definisce Parco archeologico " un ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, caratterizzato come museo all'aperto".

Riteniamo che l'area di Capo Tirone non solo possieda tutte le caratteristiche di un Parco archeologico, come definito dal Legislatore, ma esprima l'identità stessa della Calabria che, come scriveva A. Placanica nel 1993, ha sempre oscillato tra due poli: la Calabria dei Bruzi, pastori e cacciatori, e la Calabria delle civilissime colonie magnogreche, confluite nei municipi di Roma conquistatrice.

A Capo Tirone, infatti, è documentata la presenza di sepolture bruzie risalenti ai secoli IV-III a.C. Scrive F.Mollo, nell'opera " Ai confini della Brettia", che « nel 1956, durante i lavori di costruzione di una chiesa, vennero alla luce materiali attribuibili a diverse tombe, tra cui una collana in terracotta e uno specchio circolare in bronzo, tipici di un corredo funebre femminile». La ceramica rinvenuta, di imitazione o di produzione coloniale, attesta i rapporti tra la comunità brezia e il mondo greco.

Sul promontorio di Capo Tirone matura la «calabresità», quale risulta dalla contaminazione tra" l'idea di popolazioni dure e primitive e la dolce immagine di una terra solare e sapiente, civilissima e colta".

L'insediamento, posto a ridosso della zona costiera, era capace di sfruttare la naturale vocazione portuale della costa, come dimostrano i ritrovamenti subacquei di epoca romana effettuati nel mare antistante. Infatti, intorno al promontorio, nell'area pianeggiante della "Cotura", è documentata anche la presenza di un insediamento romano di epoca imperiale : una villa d'otium, venuta alla luce durante i recenti lavori di realizzazione del Museo del mare.

D'altra parte già il prof. Nocito riferiva che nel ' 600 vennero trovate monete con l'effigie di Augusto e ,di recente, i fondali hanno restituito un'anfora vinaria.

La caduta dell'Impero romano d'Occidente, i successivi insediamenti di Longobardi ( Civita) e Bizantini nonché le incursioni barbaresche  non interruppero le attività portuali che continuarono, con rinnovata intensità, durante la dominazione normanno- sveva e angioina, quando, oltre alle tradizionali produzioni di olio e vino, grazie alla presenza di una comunità ebraica, attestata dalla Taxatio del 1276, si incrementarono le industrie della seta ,del cotone, della canna da zucchero.

Il porto di Capo Tirone consentiva non solo i tradizionali rapporti commerciali con Salerno e Napoli ma anche con le città situate sulle  coste settentrionali della Sicilia: risulta che i Palermitani nominarono a Belvedere i loro rappresentanti (consoli). È molto probabile che quel tale Ruggero di Viraudo (Ciraudo?) da Belvedere, mastro vasaio, presente a Messina nel 1373, si fosse imbarcato proprio a Capo Tirone.

Maggiormente documentata è l'attività portuale del Seicento spagnolo. Da Capo Tirone e dal Casale di Diamante, fondato nel 1638 dal principe di Belvedere, Tiberio Carafa ,si registrano, nel 1659,numerose esportazioni di fichi, uva passa ed altra frutta secca, in special modo a Napoli, ma anche per la fiera di Salerno, per Vietri, per la costa amalfitana e sorrentina. Vengono poi inviati a Napoli anche formaggi e "pregiotti" (prosciutti), vino a Roma e" per extra" (80 botti nel 1677-78 per un valore di 240 ducati). A Belvedere affluiscono anche i cedri verdi, l'olio, la carne salata da Bonifati e Sangineto, per essere spediti a Torre Annunziata e Napoli.

Da Capo Tirone, come si legge nel bel saggio di M.D' Aprile " Dal Tirone allo Scalone", il sale, estratto nelle miniere di Lungro, trasportato "a dorso di mulo attraverso il valico del Palombaro" e dello Scalone e immagazzinato "nei depositi di via Gafaro" e dei fondaci del promontorio, giungeva fino a Roma imperiale.

Ancora nel 1600 Belvedere era sede della Dogana del sale, con "un fondachiero, un credenziero, un misuratore", del ferro e della seta con "un credenziero e percettore”. A Belvedere era di stanza, con stipendio di 72 ducati, anche il comandante della Feluca di guardia della seta, ormeggiata nella baia di Capo Tirone.

Ancora nel 1792 G.M. Galanti, nel suo "Giornale di viaggio in Calabria", menzionava i porti di S.Litterata e di Capo Tirone. Quest' ultimo, dichiarato approdo di lV categoria, a partire dal 1823 fu interessato dalla navigazione a vapore per passeggeri, continuando ad assicurare il servizio merci ( vino, fichi, olio, seta, legname) fino alla metà del '900 (cfr.M.D'Aprile,op.cit.).

Tra i valori storici e paesaggistici che supportano la proposta di istituire il Parco archeologico di Capo Tirone, va sicuramente compreso il Palazzo De Novellis,  un'imponente dimora patrizia di fine Ottocento, edificato, presumibilmente, su una cinquecentesca torre di avvistamento spagnolo. Infine,sul promontorio di Capo Tirone, nell'estate del '43, in previsione dello sbarco alleato in Sicilia e sulle coste calabresi, furono edificati , dalla Regia Marina italiana in collaborazione con l'Esercito, piccoli bunker in cemento armato, di forma circolare e dotati di feritoie che garantivano una copertura di fuoco a 360°.

Le casematte, che hanno resistito alle operazioni belliche e al trascorrere del tempo, concorrono anch'esse a costituire il museo a cielo aperto di Capo Tirone.

Occorre conservarle e salvaguardarle, a difesa non più di attacchi nemici ma della nostra memoria collettiva e come monito per le generazioni future contro il ripetersi della follia delle guerre.

Capo Tirone, caratterizzato da rilevanti evidenze archeologiche e che ha visto, da oltre due millenni, il succedersi di genti diverse, merita il riconoscimento di Parco archeologico.

Laltrasinistra si impegnerà in tal senso, coinvolgendo, com'è naturale, le Istituzioni e le Associazioni che si propongono di salvaguardare i valori storici, paesaggistici e ambientali del territorio.

Laltrasinistra -18 ottobre  2019

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