Voterò No (alla riduzione del numero dei parlamentari)!!! Stampa
Scritto da paolo carrozzino   
Martedì 04 Febbraio 2020 22:02

«Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – Serie Generale – n. 240 del 12 ottobre 2019?»; sarà questo il quesito referendario al quale dovrà darà risposta (SI o NO) il Corpo elettorale il prossimo 29 marzo.

L’esito della consultazione, invero, pare (o, forse, è) segnato: un’ampia maggioranza sosterrà le ragioni del SI; finalmente, l’Italia avrà meno parlamentari: i deputati da eleggere scenderanno da 630 a 400 ed i senatori da 315 a 200, con benefica riduzione dei costi della politica e maggiore efficienza ed efficacia dei e nei processi decisionali delle Camere.

Ogni diversa argomentazione volta a sostenere le ragioni del NO, invece, è stata, è e sarà ritenuta riprovevole, al limite amorale, perché indirizzata a sostenere e difendere lo status quo della “casta” politica, impegnata unicamente a “salvare la poltrona”.

Ritengo, però e parafrasando il Sommo Poeta, che le ragioni del SI siano solo esteriormente ed apparentemente dorate, capaci, cioè, di abbagliare l’elettore, mentre, concretamente e nel merito, si manifestino gravi come il piombo; pertanto e per i motivi che appresso indicherò, alla prossima consultazione referendaria sulla riduzione del numero dei parlamentari, oppositiva e non confermativa, in quanto richiesta a garanzia di minoranze qualificate, voterò NO.

A) voterò NO, perché la revisione costituzionale in parola allontana i Cittadini dalle Istituzioni e ne riduce la libertà politica.

Secondo il Servizio Studi del Senato della Repubblica (dossier del 25/6/2019), se oggi ogni deputato rappresenta circa 96.000 abitanti ed ogni senatore circa 192.000 abitanti, con l’approvazione della legge costituzionale concernente la riduzione del numero dei parlamentari, ogni deputato sarà espressione di circa 151.000 abitanti ed ogni senatore di circa 302.000 abitanti.

L’oggettività dei numeri è impietosa:

1) più abitanti dovrà rappresentare il parlamentare, maggiore sarà la distanza tra questo ultimo ed i suoi mandanti;

2) maggiore sarà la dilatazione nella relazione rappresentativa (rappresentante/rappresentato), minore sarà il grado di responsabilità politica del rappresentante nei confronti del rappresentato;

3) meno “poltrone” da “assegnare” (o contendere), maggiore disciplina dei parlamentari rispetto alle indicazioni dei partiti o movimenti politici di appartenenza (i quali ne determineranno, alla successiva tornata elettorale, la sorte, in ordine certamente alla candidatura, se non anche all’elezione) e, correlativamente, minore libertà nell’esercizio del mandato parlamentare e nella rappresentazione degli interessi della Nazione.

Insomma, la riduzione del numero dei parlamentari, a mio sommesso avviso, rischia di produrre “impiegati di partito” e non “rappresentanti del popolo” (Piero Calamandrei), vincolati nel mandato ed incapaci di assumersi la responsabilità di rappresentare gli interessi nazionali; d’altra parte, comporterà anche una compressione della libertà politica dei cittadini, i quali, più di quanto già non facciano, rinunceranno, vieppiù, astenendosi dall’esercitare il diritto di voto, a partecipare alla decisione politica.

B) voterò NO, perché la revisione costituzionale in parola aggrava la crisi di rappresentanza politica.

Temo che l’intervento di riduzione del numero dei parlamentari, demagogicamente ed ipocritamente, nasconda finalità, a mio parere, non meritevoli di approvazione; penso che, tra le celate motivazioni, infatti, vi sia anzitutto la volontà dei partiti e movimenti politici di sanzionare (oserei dire, punire) il transfughismo dei propri parlamentari, quello, cioè, che quotidianamente viene definito “cambio di casacca”, in favore della cosiddetta “disciplina di partito”.

Non posso non richiamare, a questo proposito, le linee programmatiche dei due Governi Conte: nel contratto per il Governo del cambiamento sottoscritto dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega l’introduzione del vincolo di mandato veniva ritenuto necessario «per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo»; nel programma del Governo sostenuto dal Movimento 5 Stelle, dal Partito Democratico, da Liberi e Uguali ed altri gruppi, invece, come contrappeso alla riduzione del numero dei parlamentari (la quale, per stessa ammissione delle parti, comprime le opportune garanzie costituzionali e di rappresentanza politica al punto che) viene asserita l’esigenza di «avviare contestualmente un percorso per incrementare le opportune garanzie costituzionali e di rappresentanza politica», dovendo inoltre riformarsi il sistema elettorale ed ulteriormente il testo costituzionale, al fine di introdurre «istituti che assicurino più equilibrio al sistema e che contribuiscano a riavvicinare i cittadini alle Istituzioni».

Da tanto, a mio parere, derivano alcune considerazioni:

1) il Movimento 5 Stelle, sostenitore indefesso della cosiddetta “democrazia diretta”, ottiene, in realtà e contraddittoriamente, con la riduzione del numero dei parlamentari, un governo “più rappresentativo” e rappresentanti “più vincolati al partito” e non agli elettori-mandanti;

2) nessun partito o movimento politico ammette e riconosce che il problema della rappresentanza politica non è numerico, ma sostanziale e che la responsabilità della poca e/o cattiva rappresentanza degli interessi dei cittadini nelle sedi parlamentari è, negli ultimi anni, da addebitare anzitutto e proprio ai partiti e movimenti politici, nel senso che sono stati questi ultimi a scegliere ed indicare i candidati da inserire in liste bloccate, consapevoli che l’elettore non avrebbe potuto attribuire preferenza ad alcuno di essi (spesso si è parlato di “seggi sicuri”);

3) in questo solco, poi, si innesta la proposta di legge del Presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, On. Brescia, in materia di legislazione elettorale, nella quale nulla si prevede in tema di introduzione delle preferenze (con garanzia della parità di genere);

4) tanto dovrebbe servire, infine, nell’ottica dell’odierno Costituente, a raggiungere l’agognata meta della stabilità del Governo: governabilità che, però, erroneamente viene individuata nella stabilità dell’Organo Governo, piuttosto che, come auspicabilmente dovrebbe essere, a rafforzata tutela del cittadino, nella stabilità delle politiche di governo.

In attesa che sulla prossima consultazione referendaria possa aprirsi un veritiero confronto, al di là del populistico argomento del “taglio ai costi della politica ed alle poltrone” (il risparmio sarebbe dello 0,005% del debito pubblico totale), credo opportuno condividere alcune considerazioni del Presidente Emerito della Corte Costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, rese poca prima della celebrazione del precedente referendum costituzionale del dicembre 2016: «Gli oligarchi devono occultare le proprie azioni e gli interessi particolari che li muovono…Devono esibire una realtà diversa, fittizia, artefatta, costruita con discorsi propagandistici, blandizie, regalie e spettacoli. Devono promuovere quelle politiche che, oggi, chiamiamo populiste. Occorre convincere i molti che i pochi non operano alle loro spalle, ma per il loro bene. Così l’oligarchia è il regime della menzogna, della simulazione».

Paolo Carrozzino - 04.02.2020

 

e-max.it: your social media marketing partner
 

Questo sito utilizza i cookie per gestire la navigazione ed altre funzioni.Chiudendo questo banner o cliccando su qualunque elemento di questa pagina acconsenti all'uso dei cookie. Per ulteriori informazioni sui cookie che utilizziamo e come eliminarli, visitare la nostra pagina cookies police.

Accetto i cookie di questo sito.

EU Cookie Directive Module Information