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Il Governo del Cambiamento ed il gatto nero di Trilussa… PDF Stampa E-mail
Scritto da paolo carrozzino   
Giovedì 24 Maggio 2018 09:38

Nel «Contratto per il Governo del Cambiamento», nella sua versione definitiva, posta al vaglio degli iscritti del Movimento 5 Stelle (circa 44 mila votanti, 94% favorevoli all’Accordo; giammai Alleanza, per carità!) ed ai gazebo della Lega (circa 215 mila votanti, 91% favorevoli all’Accordo; giammai Alleanza, per carità!),

si legge, al punto n. 20 («Riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta»), che «Occorre introdurre forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo», identificando, poi, negli Ordinamenti portoghese e spagnolo esempi di normazione in grado di «impedire le defezioni e far sì che i gruppi parlamentari siano sempre espressione di forze politiche presentatesi dinanzi agli elettori».

Per quanto le predette disposizioni contrattuali risultino generiche e suscettibili di ampia interpretazione, ciò che risulta palese è la volontà dei partiti (rectius: dei capi politici dei partiti) sottoscrittori dell’Accordo (giammai Alleanza, per carità!) di proporre una modifica dell’Ordinamento nazionale vigente, a livello costituzionale (innovando l’art. 67 Cost.) oppure primario (modificando, cioè, i Regolamenti Parlamentari), nel senso di vincolare la volontà del rappresentante eletto (Deputato o Senatore) a quella dei rappresentati elettori, ovvero a quella dei partiti/movimenti politici di cui i rappresentanti sono manifestazione parlamentare, nonché al programma politico rispetto al quale il rappresentante si appalesa quale garante ed esecutore.

Pur non sottacendo le (personali) perplessità circa l’introduzione nel programma di Governo di una materia, la revisione costituzionale, di natura strettamente parlamentare ed auspicando che, almeno questa volta, non si costituisca un ossimorico Ministero per le riforme costituzionali, ritengo la proposta di introduzione di “forme di vincolo di mandato” per i parlamentari mal posta, incoerente, inattuabile, per certi versi inutile e, comunque, contraria ai principii di libertà di cui la Costituzione italiana è portatrice.

Mal posta, perché il vincolo di mandato o grava sul parlamentare o non è. Tertium non datur! Ove si volesse introdurre il vincolo di mandato, rettamente inteso, l’unica via percorribile sarebbe quella di modificare l’art. 67 Cost., nel senso, appunto, di legare indissolubilmente il parlamentare eletto ai propri elettori, al partito/movimento politico di appartenenza, al programma elettorale, prevedendo, poi, la sanzione della decadenza (anche a seguito del cd. recall) dalla carica elettiva in ipotesi di violazione del mandato ricevuto. Diversamente, invece, modificando, cioè, i Regolamenti Parlamentari con l’obiettivo di imporre l’iscrizione nel gruppo misto del rappresentante discostatosi dalle indicazioni del partito di appartenenza, ovvero di vietare la costituzione di nuovi gruppi parlamentari emanazione non diretta di un partito/movimento politico presentatosi alle elezioni, non potrebbe in alcun modo parlarsi di mandato imperativo, mantenendo, nei fatti e sostanzialmente, il rappresentante parlamentare eletto la possibilità di esprimere liberamente la propria opinione ed i propri voti.

Incoerente, perché la proposta proviene da due forze politiche, Movimento 5 Stelle e Lega, che non hanno mai paventato, neppure lontanamente, in campagna elettorale o nei rispettivi programmi, la possibilità di stringere un accordo (giammai Alleanza, per carità!) tra loro (addirittura la Lega ha corso in una coalizione di centrodestra), su temi che, nella loro versione contrattuale, dipendono necessariamente da una mediazione fra le parti e, per l’effetto, non coincidono esattamente con quanto proposto agli elettori (i quali, alla luce dell’odierna proposta, avrebbero dovuto vincolare il mandato dei rappresentanti eletti); né può ritenersi che il plebiscito dei soli iscritti/simpatizzanti degli anzidetti partiti/movimenti, e non anche del corpo elettorale che ha espresso il proprio voto nei confronti di questi, possa legittimamente fondare un accordo ex post. Insomma, chi propone l’introduzione del vincolo di mandato per i parlamentari dimostra di conoscere esattamente ed utilizzare perfettamente i meccanismi tipici di un governo rappresentativo e, per esso, del divieto di mandato imperativo.

Inattuabile, per certi versi inutile e, comunque, contraria ai principii di libertà di cui la nostra Costituzione è portatrice, perché la proposta non tiene conto di altra e diversa disposizione costituzionale, contenuta sempre nell’art. 67 Cost., per la quale «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione», divenendo, quindi, il rappresentante parlamentare, custode ed interprete dell’interesse generale, indipendentemente sia dalla formula elettorale (proporzionale o maggioritaria), che dal collegio (uninominale o plurinominale) con la quale e nel quale questi è stato eletto; ciò a significare che anche il parlamentare eletto con formula maggioritaria in collegio uninominale ha il dovere, anzitutto, di rappresentare idee, valori ed istanze nell’interesse dell’intera Nazione, eventualmente anche discostandosi dalle indicazioni del partito/movimento di appartenenza o dal programma politico sottoposto al voto degli elettori.

A ciò si aggiunga che in un governo rappresentativo a forma parlamentare non è ammissibile che i rappresentanti eletti abbiano conferito un mandato parlamentare imperativo tout court; presupposti il principio della sovranità popolare (art.1 Cost) ed il ruolo dei partiti politici (art.49 Cost.) – tanto nella relazione popolo/rappresentante, quanto in quella Parlamento (gruppi parlamentari)/altri Organi costituzionali – infatti, solo il libero mandato parlamentare ed il dovere di rappresentanza della Nazione (art.67 Cost.) possono garantire, attraverso la partecipazione eguale alla decisione politica, per il tramite del voto, la libertà politica dei cittadini.

Inoltre, la crisi della rappresentanza politica, che pure oggi si palesa evidente, certamente non può dirsi provocata dalla presenza della disposizione costituzionale concernente il divieto di mandato imperativo, semmai, rilevando, tra le altre cose, invece ed all’opposto, una legislazione elettorale, nel suo complesso, incapace di produrre Rappresentanti (nel caso del Rosatellum: liste bloccate ed assenza delle preferenze, divieto di voto disgiunto, redistribuzione dei voti ottenuti dalle liste coalizzate e sotto la soglia di sbarramento – tra 1% e 3% ).

Non è il momento né di «funzionari di partito», come direbbe Calamandrei, né, tanto meno, del «Gatto nero» di Trilussa, il quale, pur di rimanere nel partito del «Libbero pensiero», ammise di avere sbagliato a criticare la politica contraria ai suoi principii, propugnata dal «Gatto bianco», Presidente del partito e, quindi … «pè restà ner Libbero Pensiero da quela vorta nun pensò più gnente».

Paolo Carrozzino - 24.05.2018

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