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guai a chi tocca la conoscenza PDF Stampa E-mail
Scritto da giorgio franco   

“Una scuola di qualità è  basata sulla centralità della conoscenza e del sapere costruita  a partire dalle discipline: Letteratura, Matematica, Arte, Scienze, Storia, Geografia , Filosofia, in tutte le loro declinazioni  sono la chiave di lettura del mondo”, reclama l’appello per una scuola pubblica, intitolato “Moratoria per una scuola pubblica” adottato dal fior fiore dell’intellettualità italiana.

Condivido gli obiettivi delle proposte ma preferirei che accanto ad esse non venisse a mancare un’ ineludibile considerazione che ne costituisse  un corollario indispensabile: vanno finanziati in tale prospettiva un rivoluzionamento del cosiddetto orario scolastico ed un irrinunciabile piano di formazione del personale. So bene che il tema di “Chi forma chi” e quello sulla dicotomia formazione/ aggiornamento non si predispongono  a  sbrigative soluzioni.

Provengo da una scuola  in cui le cantiche  dantesche sono state  via via sempre più amputate, in una logica di causalità estemporaneamente motivata  e forse  in conseguenza di categorie frastornanti e sterili .

Provengo da una scuola in cui  i periodi storici venivano  divisi per anni di studio in modo da circoscriverli per evi, ere ed epoche, sollecitati, però, con il passare del tempo, a prevedere ulteriori mutilazioni e distinguo in ragione di una cronachistica insofferente ad una sua ancillarità rispetto alla storia con la maiuscola.

Provengo da una scuola in cui i  filosofi scalpitavano per essere  svincolati dalle gerarchie crociane e reclamavano di essere valorizzati dai nuovi   orientamenti epistemologici.

Provengo da  una scuola alla cui porta  bussava la richiesta di una  canonizzazione non solo occidentale del concetto di letteratura.

Provengo da una scuola in cui  il   lascito del patrimonio scientifico si è rivelato progressivamente insufficiente, e forse fuorviante.

Provengo da una scuola in cui l’insurrezione  delle nuove modalità dell’arte chiedeva una verifica che si svincolasse dalle paratie euclidee.

Provengo da una scuola che si  avventurava con candore e fiducia verso una  matematizzazione sempre più invasiva e straniante.

Lungo gli anni della mia frequenza liceale, gli anni sessanta,  era la scuola, anche se scalpitante, del sapere costruito sulle discipline, quella che aveva  contribuito a formare una classe dirigente omogenea, selezionata e compatta. Tout se tien,  ne sembrava lo slogan ed il coordinamento tema/problematico prevedeva al massimo  incursioni sull’extratesto, per i docenti più coraggiosi sull’’intertesto,  se non sul pre/testo: Francesca accompagnata da riflessioni su amore e perfino sesso e erotismo, Spinoza che offriva la stura per considerazioni su pregiudizi e coerenza, Robespierre e l’incognita dell’estremismo, gli autori stranieri impacchettati in formelle  critiche che aggiungevano qualche tassello alla comprensione delle realtà confinanti europee, le discipline scientifiche curvate sui bisogni immediati delle popolazioni: la chimica industriale, la fisica nucleare, la biologia molecolare, la storia dell’arte che si inchiodava su figurativismo ed esemplarità di icone intramontabili. Tutto in ossequio alle  inappellabili  decisioni dei Signori del Sapere, insediati tra accademie, case editrici, burocrazie ministeriali. Una scuola tarata su “conoscenze vs competenze”, come recita, temo con rimpianto, il documento in questione.

Nel ’68 quella scuola franò e non mi attardo nel sottolineare quale ne fu l’entusiasmo. Non solo mio!

E’ di quel sapere, o meglio di tali discipline e della loro presunzione di “disciplinare” il reale che sono nostalgici gli estensori i  del documento e i loro sottoscrittori, non so fino a qual punto attenti lettori delle loro quotidiana realtà scolastica, oltre che del documenti degli Esperti?

E’ da qui che bisogna partire per capire e ovviamente contrastare, il passaggio dalle conoscenze alle competenze, implicito nell’appello in esergo

So bene, “a beneficio dei teorici delle “competenze” che il  disciplinare il reale sconta il debito di una parzialità dello sguardo e conseguentemente della parcellizzazione delle conoscenze, divenute in scolastichese discipline. Con tale consapevolezza oramai nessuno osa disconoscere che la scuola non si pone  come suo traguardo quello di esaurire il bagaglio di informazioni cui dalla sua nascita si era vocata. Tutti sappiamo che  a scuola si offrono strumenti per orientarsi nel non interrotto cammino della conoscenza che dovrà accompagnare il cittadino (parliamo solo dell’Occidente?)nel corso della sua vita. Mi sembra, però, che tra il costatare l’attuale stato della  domanda di formazione e teorizzare che le discipline vadano surrogate si annidi un passaggio che snaturerebbe il requisito fondamentale della suola, come è ben evidenziato nel documento in parola. A questo punto la domanda è d’obbligo: per quale obiettivo o motivo assistiamo a simile mutazione, che, ovviamente mi guardo bene dal definire trasformazione.

Se il saper fare, riconosciamolo, ha soppiantato il sapere, ciò è andato nella logica del ribaltamento “rancoroso” della duplicità crociana, divenuta da Gentile a Berlinguer credo e criterio pedagogico. Ricorro scientemente al codice dello story telling: fino agli anni ottanta  la pratica della manualità e la destrezza nel fare  venivano sacrificate sull’altare di  un sapere con la maiuscola, rimasto unico baluardo abilitato ad una crescita culturale. La competenza e la sua enfasi nella fase attuale della postmodernità non è altro che  il tentativo omologo e contrario di spodestare la vecchia gerarchia crociana. Non più conoscenze ma competenze è divenuta la regola comportamentale della nuova impostazione formativa. Ne  hanno  fatto il paio  le sistematiche richieste di una parte, quella stracciona, del capitalismo postmoderno, affinché la cosiddetta improduttività di certe conoscenze recedesse dall’indugiare  scolastico e si proiettasse  a favore di  un apprendimento  efficiente, ma sopratutto  sbrigativo. Se la sovrastruttura abbia risposto alle richieste del Capitale è problema che travalica il mio dilettantismo  a circa due secoli da Marx

Non è utile a nessuno  negare che negli ultimi cinquant’anni le antologie scolastiche, i manuali di  Storia e di Filosofia, di Arte e di Scienze hanno completamente modificato le loro suddivisioni problematiche, sorvolando su tematiche e argomentazioni divenute, a parere di alcuni, obsolete. Mi limito ad osservare su un piano ingenuamente letterario che la vendetta non è categoria innocente dell’agire umano, e per giunta istituzionalizzato: il crocianesimo, che della riforma Gentile era stato compagno di viaggio non conciliante, sconta la sua damnatio, anche se già  Quintiliano aveva avvertito che mendacem memorem esse oportere.

Immodeste Proposte

Discipline a patto che se ne definscano i contorni epistemologici

Per attuare le finalità dei sottoscrittori la scuola deve avviare alla ricerca continua, valorizzando “interculturalità, creatività, immaginazione, pensiero critico e simbolico, salvaguardando la relazione e comunicazione allievo/insegnante e vietando intromissioni di cosiddetti terzi”. Va aggiunto, a mio parere, che si “fa scuola” impostando i grandi temi, ma non dimenticando in ogni lezione di avvisare gli studenti che le impostazioni proposte sono il risultato dello stato delle conoscenze in quel particolare momento: la storia della Tanzania, la filosofia araba e la  supremazia di questi ultimi  nelle scienze matematiche, la letteratura sud americana e le tecnologie artigianali dei popoli cosiddetti primitivi, la consapevolezza glottologica che bypassi il presidio indoeuropeo e la prevalenza della fonetica occidentale, le nuove sonorità riscoperte dalla dodecafonia  devono, tutte, costituire sfide al patrimonio consolidato del sapere, perché non si sclerotizzi nel già detto e consacrato da chi non veda il nuovo che riscriva l’immaginario. Aggiungo, non solo provocatoriamente, che la scuola non deve esimersi dal minare i nodi concettuali di fondo. Non mi soffermo nel proclamare solennemente che Etica ed Estetica ne dovranno essere sentinelle di frontiera. Nel contempo non si  smetta sistematicamente  di interrogarsi sullo  stato di salute, sullo statuto e, ahimè anche sulla sua legittimità nell’impianto formativo delle comunità a venire. Il tutto in una scuola aperta per l’intera giornata e per l’intero anno solare, talché si garantisca a tutti e a ciascuno di formarsi secondo le modalità e i tempi a loro parere necessari. Non mi soffermo nel sottolineare per questo tipo di proposta il legame con l’esigenza di finanziamento prevista nelle premesse

Una modesta Impertinenza

Ma: noialtri che continuiamo con spocchia a reclamarci eredi del Rinascimento, dell’Illuminismo, della Rivoluzione francese, siamo consapevoli delle eredità novecentesche che pretendono autocritica (Adorno,  Zizek,  Latouche, Fanon, Lu hsun…)? Ne dovremmo dar conto sempre e sistematicamente agli studenti che si predispongono alla Conoscenza. Guai a chi tocca la Conoscenza!

Giorgio Franco - febbraio 2018

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