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a proposito dell’articolo diciotto PDF Stampa E-mail
Scritto da franco perre   

Napoli terzo congresso della C.G.I.L. parla il segretario Giuseppe Di Vittorio  e, per la prima volta, affrontando il problema della condizione del lavoratore all’interno dei luoghi di lavoro annuncia la necessità di una legge che tuteli la dignità del lavoratori nell’azienda”,

E’ un tema centrale nel dibattito non solo tra i lavoratori ma anche tra i giuristi e gli intellettuali sia di matrice laica che cattolica.

Sono stati necessari venti anni di dibattiti, manifestazioni e lotte in Parlamento e nel Paese perché quella esigenza primaria di dare dignità al lavoro  prendesse corpo quello che in gergo venne chiamato lo statuto dei lavoratori. Perché statuto?

Gli statuti sono quelle leggi fondamentali che regolano la vita di una comunità e che per il contenuto vengono assimilati alle Costituzioni. Ecco appunto lo Statuto dei Lavoratori come la Costituzione all’ interno dei luoghi di lavoro.

Oggi sentiamo i sostenitori dell’abrogazione dell’articolo diciotto ripetere una lezioncina imparata a memoria:  il mondo è cambiato; è prioritario  vuole dare diritti a chi non ne ha; l’abolizione dell’articolo diciotto non scalfisce affatto la tutela del lavoro.

Gli argomenti sono tanti e mi scuso con il lettore se sarò un po’ lungo ma l’importanza del tema merita un minimo di riflessione.

Che dare diritti a chi non ne ha sia necessario toglierli a chi li ha conquistati lungo l’arco di vari decenni è un argomento che non riesco a capire e che, a mio avviso ha un solo scopo, quello della contrapposizione generazionale.

Certo i tempi sono cambiati, ma tale affermazione non basta, E’ necessario capire come sono cambiati e perché. Per capire in quale direzione sono cambiati bastano alcune riflessioni.

Mio padre, impiegato dello Stato, quando andò in pensione con la buona uscita acquistò una casa. Oggi si propone di utilizzare la buona uscita per fare ripartire i consumi, come dire, utilizzarla per la spesa quotidiana. Un tempo, il  quadro legislativo privilegiava il contratto a tempo indeterminato. Certo esisteva anche il contratto a termine ma quest’ultimo veniva considerato un’eccezione a cui  fare ricorso unicamente in presenza di particolari esigenze: (stagionali in agricoltura o nel settore turistico, i dipendenti assunti in sostituzione degli assenti per specifiche motivazioni). Essendo il contratto a termine una eccezione era necessario che fosse motivato e l’assenza di motivazione trasformava il contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. Oggi il contratto a termine è la regola e le motivazioni sono diventate un  fatto formale e non sostanziale. L’obbiettivo  di fondo è la volontà di rendere  tutto il mondo del lavoro precario, rendere la vita una interminabile precarietà, e attraverso la precarietà riprendere quei margini di potere che il movimento operaio era riuscito a conquistare. E per convincere che la precarietà è necessaria, anzi è bella, si afferma un falso, si dice che attraverso la precarietà si fa ripartire l’economia e quindi l’occupazione. Attraverso questo meccanismo si spostano in dietro le lancette della storia, si torna a epoche che si ritenevano superante per sempre.

Quale diritto potrà essere rivendicato in una situazione di precarietà diffusa? Potrà il precario rivendicare un maggior rispetto della sicurezza sul  lavoro, il diritto alla maternità, un giusto salario, un orario di lavoro concordato? Certamente no perché è cosciente che qualsiasi rivendicazione avrà come conseguenza il mancato rinnovo del contratto. Eliminare l’articolo diciotto in questo contesto avrà il significato di abbattere definitivamente la differenza tra contratto a tempo indeterminato e contratto a termine. Anche in presenza di un contratto a tempo indeterminato la possibilità di licenziamento senza giusta causa consegnerà il lavoratore incatenato nelle meni del datore di lavoro che potrà disporne a suo piacimento.

L’articolo diciotto ha una funzione cardine, una funzione cerniera perché è lo strumento attraverso il quale il lavoratore  dipendente  rivendica il rispetto di un suo diritto senza temere la reazione del licenziamento. La cancellazione dell’articolo diciotto equivale quindi alla cancellazione di tutti i diritti che il mondo del lavoro ha conquistato nel tempo.

Ma mi sia consentito un’ ultima riflessione. Cosa significa senza una giusta causa. Da poveri cultori della lingua italiana dobbiamo arrenderci a una realtà. Senza giusta causa significa una solo cosa che il licenziamento sarà possibile e ritenuto valido anche se la causa che lo ha determinato sarà una causa ingiusta. Un fatto ingiusto viene codificato e sollevato a rango di legge. E’ la negazione dei più elementari principi del diritto. Che tale affermazione venga sostenuta e codificata da uomini e donne che dicono di operare nel mondi della sinistra è pura aberrazione. Franco Perre - 26.10.2014

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