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‘Cambiare una costituzione non è solo un problema di velocità, ma anche di equilibrio’. Contro il falso nuovismo costituzionale del Governo Renzi PDF Stampa E-mail
Scritto da walter nocito   

“Più che un Governo, una Giunta comunale” è stato il commento che alcuni - pochi - hanno fatto alla nascita dell’Esecutivo guidato da Matteo Renzi qualche mese fa, dopo le ‘primarie aperte’ per la Segreteria nazionale del PD (dicembre 2013)

e dopo il cambio di passo dello stesso PD che ha ‘sfiduciato’ Letta e ‘incaricato’ Renzi all’esito di una crisi extra-parlamentare del tutto inusuale nella prassi costituzionale repubblicana (febbraio 2014).

Il recentissimo ddl cost. (dise­gno di legge di revisione costi­tu­zio­nale) dedicato al “supe­ra­mento” del bica­me­ra­li­smo perfetto (nel testo appro­vato il 31 marzo dal Con­si­glio dei Mini­stri) non solo conferma, ma rende addirittura ottimistica, o eufemistica, quel commento che al tempo appariva una critica sottile, ma non troppo denigratoria, di un’esperienza incentrata sulla baldanza giovanilistica del “Sindaco d’Italia” e sulla carica di entusiasmo e di nuovismo che lo stesso sprizzava (e sprizza sempre) da tutti i suoi pori.

Ma se si dis-mettono le lenti giornalistiche che tutto banalizzano, e ci si discosta dall’elevato (e sempre pericoloso) “tasso di doping” che sopratutto il giornalismo politico italiano sta dimostrando verso lo ‘stil novo’ del Sindaco d’Italia (come, tra gli altri, ci invitano a fare la giornalista calabrese Ida Dominijanni e due grandi Maestri del Diritto costituzionale come Alessandro Pace e Gianni Ferrara, l’uno di cultura liberale l’altro – il secondo - di cultura social-comunista), la verità che emerge è purtroppo un’altra.

E infatti il dise­gno di legge costi­tu­zio­nale “Boschi-Del Rio-Renzi” non ha solo l’obiet­tivo che dichiara (e cioè il taglio dei posti e dei costi “della politica”), ma ne ha altri, ulteriori e strutturali che attengono – direbbero i costituzionalisti che infatti sul punto sono non poco preoccupati – alla forma di Stato e alla forma di governo della Repubblica italiana dalla Costituzione qualificato come ‘democratica’, ‘parlamentare’ e ‘pluralista’.

Non a caso, l’ex-Cavaliere Sil­vio Ber­lu­sconi – secondo molti - ha le sue buone ragioni nel dichia­rare che il ‘dise­gno isti­tu­zio­nale’ di Renzi è molto molto simile quello incor­po­rato nella revisione costi­tu­zio­nale che la Destra politica italiana – meglio le tre Destre italiane (Fini-Bossi-Berlusconi) -  appro­varono, a maggioranza, in Parlamento nel 2005 e che il corpo elet­to­rale respinse nel 2006 con il Referendum costituzionale oppositivo (ex art. 138 Cost.) svoltosi il 26 giugno di quell’anno.

Il no a quella controriforma costituzionale, regressiva e autoritaria, fù espresso allora dal 61,7% del popolo elettore, il quale invece di costituzionalizzare lo spirito ‘forza-leghista’ (e l’era berlusconiana, che allora era ‘il decennio’) si pronunciò (nella inattesa misura del 53,6% di partecipazione al voto) e realizzò la rivitalizzazione del testo costituzionale del 1948 e dei suoi princìpi fondamentali; cosicché, dopo molti anni di quorum referendari mancati, fù proprio quel popolo che riabilitò - proprio sulla Carta fondamentale - l’istituto referendario e la “vigilanza popolare” sulle scelte politiche; in pratica, quel popolo riabilitò la sovranità popolare che questo Governo e questa maggioranza parlamentare oggi invece stanno tradendo cercando di posporre quanto più lontano possibile una vera e solida verifica elettorale nazionale (poco valendo i sondaggi e il chiacchiericcio massmediatico che il buon comunicatore ben sa cavalcare, e non molto valendo il test delle elezioni europee che non possono essere considerate un sondaggio nazionale sulla ‘politica di Renzi’!).

Quali le controprove di questa “vigilanza popolare” sulle scelte costituzionali…?

I Referenda abrogativi del giugno 2011 sul valore dell’acqua come ‘bene comune’; il movimento di difesa della Costituzione – la ‘via maestra’ - del 12 ottobre 2013 (che il “Sindaco d’Italia” oggi ridicolizza definendoli i ‘professoroni’!); il posizionamento dei parlamentari del Movimento 5 stelle contro l’impianto stesso della revisione costi­tu­zio­nale “Boschi-Del Rio-Renzi” in itinere.

Ma se tale revisione fosse veramente “anti-casta” perché dovrebbe bocciarla proprio il M5S che ha il suo motivo fondante nella lotta alle ‘caste politice’ (tutte le caste)?

Se tale revisione fosse veramente “anti-casta” perché taglia i Senatori eletti sostituendoli con le ‘caste’ politiche locali e regionali ben peggiori, per molti aspetti, della ‘casta politica’ nazionale (gli scandali tipo ‘Rimborsopoli’ essendone la viva testimonianza)?

Se tale revisione fosse veramente “anti-casta” perché taglia solo i Senatori eletti e non taglia il numero dei Deputati della Camera (ben 630), i quali invece sono garantiti nella loro figura di ‘nominati’ attraverso la parallela riforma elettorale frutto dell’accordo extra-parlamentare Renzi-Berlusconi (che passerà alla storia come ‘accordo del Nazareno’)?

Se tale revisione fosse “anti-casta” e fosse veramente progressiva e rispettosa del princìpio democratico perché eliminare il Senato elettivo e farne un Assemblea degli eletti nelle regioni e nei comuni (sul modello Bundesrät, malamente copiato!), anziché farne un ‘Senato delle Autonomie e delle Garanzie’?

E infine, se tale revisione veramente progressiva e rispettosa degli equilibri democratici e costituzionali (che erano la bandiera del fronte referendario del 2006)  perché ora la boccia tutta la Sinistra politica che nel 2006 più si espose contro la ‘dittatura elettiva’ (definito ‘premierato forte’ - allora - dai suoi sostenitori) che Berlusconi proponeva come surrogato di un presidenzialismo (sud-americano) senza contrappesi, senza garanzie e senza controlli?

Nel 2006 - giova ricordarlo a quanti, numerosi, l’abbiano dimenticato - ad opporsi al dise­gno delle tre Destre (Fini-Bossi-Berlusconiconi) c’era il futuro Par­tito demo­cra­tico e gli eredi del Patto costituzionale del 1948 (cioè i Popolari della Margherita e i Ds, dalla cui unione - ‘a freddo’ - il Pd è stato costituito come modernizzazione e attualizzazione delle ispirazioni democratiche, cattoliche e socialiste).

Nel 2006. Contro le revisione autoritaria e contro la ‘dittatura elettiva’ .

Oggi invece, a rea­liz­zare quel dise­gno, c’è il Lea­der del Pd e il suo Segretario nazionale contrastato invero da una minoranza interna flebile e al momento ininfluente.

Come ben ci hanno ricordato i sottoscrittori dell’accorato Appello “Verso la svolta autoritaria”, fonte di polemiche e di strali spesso mal articolati e rancorosi (in particolare sui mass-media tradizionali principali del Paese: tipo Repubblica, Corriere, reti Rai e reti Mediaset), sul piano della politica costituzionale, “la responsabilità del Pd è enorme poiché sta consentendo l’attuazione del piano che era di Berlusconi, un piano persistentemente osteggiato in passato a parole e ora in sordina accolto. Il fatto che non sia Berlusconi ma il leader del Pd a prendere in mano il testimone della svolta autoritaria è ancora più grave perché neutralizza l’opinione di opposizione. Bisogna fermare subito questo progetto, e farlo con la stessa determinazione con la quale si riuscì a fermarlo quando Berlusconi lo ispirava. Non è l’appartenenza a un partito che vale a rendere giusto ciò che è sbagliato. Una democrazia plebiscitaria non è scritta nella nostra Costituzione e non è cosa che nessun cittadino che ha rispetto per la sua libertà politica e civile può desiderare. Quale che sia il leader che la propone” (Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti, Stefano Rodotà e Lorenza Carlassare, e altri).

Come costituzionalista che osserva e critica la ‘costituzione materiale’, e la sua ventennale evoluzione (e dunque anche la riforma elettorale in fieri -  il cd. ‘Italicum’ - che di questo Governo è la prima bandiera, epperò essendone anche la ‘spada di Damocle’), ciò è molto tri­ste (per la Costituzione, non per il PD!).

È triste, ma è dove­roso constatarlo, non fosse altro che per dover civico e per ricordare a tutti che la Carta Costituzionale è quello strumento di garanzia che si scrive da sobri e da usare per quando si è ubriachi.

E infatti le riforme costituzionali – cui la inadeguata Ministra sta dedicando le sue pur notevoli energie col supporto di alcuni costituzionalisti che legittimamente la stanno supportando nel suo sforzo riformatore - sempre necessitano di un’analisi sobria e serena della ‘qualità della democrazia’ che una comunità politica vuole perseguire, al di là delle pulsioni e dell’emotività che possono travolgerla nei momenti di crisi.

Come i costituzionalisti più attenti oggi a buon ragione sostengono “le semplificazioni autoritarie sono ingannevoli, la concentrazione del potere nelle mani del solo governo, o di una sola persona, produce l’illusione dell’efficienza e il rischio della riduzione della democrazia. Si sta creando una pericolosa congiunzione tra disincanto democratico e pulsioni populiste (Rodotà, Ferrara, Dogliani, Gambino, Volpi, De Fiores, ed altri ancora ...).

I tanti ‘Soloni’ delle riforme (“Boschi-Renzi”) dovrebbero ricordare, ad ogni buon conto, che “cambiare una costituzione non è solo un problema di velocità, ma anche di equilibrio” (Azzariti).  Walter Nocito, Docente Unical, (articolo pubblicato, in una versione meno estesa, sulla rivista indipendente Fatti al cubo, 7 Aprile 2014)

 

 

 

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