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un nuovo modello di sviluppo. Lavoro, reddito, formazione, sostenibilità PDF Stampa E-mail
Scritto da riccardo ugolino   
Martedì 31 Dicembre 2013 17:26

Nel III trimestre del 2013 la ricchezza del Paese (il PIL) non ha subito flessioni, per la prima volta dopo oltre due anni.

Gli osservatori prevedono che alla fine del IV trimestre, che oramai volge al termine, il PIL sarà cresciuto dello 0,2%, nel 2014 aumenterà presumibilmente dell’1%, nel 2015 del 2%.

Insomma dovrebbe essere iniziata la ripresa, seppure senza effetti ancora tangibili sulla condizione di vita degli italiani.

Ma qualora fossimo in procinto di uscire dal tunnel della crisi economica e finanziaria che affligge il Paese dal 2007-2008; qualora riprendessero i consumi e quindi la produzione e l’occupazione, dovremmo riproporre il modello di sviluppo dei trent’anni che hanno preceduto la crisi?

Il Dopoguerra, se si riflette attentamente, può essere suddiviso in due periodi, dalla durata pressoché uguale, ma tra loro profondamente diversi:

i “30 anni d’oro”, come li ha definiti il grande storico Eric Hobsbawm, che vanno dalla fine della guerra al 1979-1980;

i “30 anni ingloriosi” che hanno inizio alla fine degli anni ’70 e giungono sino al 2008.

Nei primi 30 anni i Governi dell’Europa Occidentale hanno svolto una funzione decisiva nelle grandi scelte economiche e nella redistribuzione della ricchezza nazionale.

Già all’inizio del 1941, il Presidente degli Stati Uniti D’America, F.D. Roosevelt tenne un celebre discorso in cui indicò le quattro libertà fondamentali: non  solo la libertà “di”, ma anche la libertà “da”:non solo la libertà di culto e di parola, ma anche libertà dalla paura e dal bisogno.

E poi Lord Beveridge, nella Gran Bretagna impegnata in un grande sforzo bellico, proclamava la necessità che lo Stato accompagnasse i cittadini dalla “culla alla tomba”.

Le Costituzioni dei Paesi europei, scritte nel dopoguerra, si ispirarono a quei principi e sancirono, come in Italia nell’articolo 3, la volontà di intervenire per “rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Attraverso una sistema fiscale proporzionale e fortemente progressivo, i Paesi occidentali hanno trasferito parte del reddito prodotto dal decile più ricco della popolazione ai ceti medio-bassi. Erano stati gli economisti di scuola Keynesiana (Polany, Habermas, Putnam) a teorizzare che nell’economia di mercato lo Stato avrebbe dovuto produrre le risorse per l’inclusione e l’integrazione, evitando così gli effetti corrosivi, per la democrazia, delle disuguaglianze e delle esclusione.

I governi, in particolare nei Paesi dell’Europa centro settentrionale, grazie al Welfare, garantivano non solo la libertà economica, ,ma anche la democrazia politica e la protezione sociale.

Nei “30 anni gloriosi”, come furono definiti dagli storici, si moltiplicarono le possibilità di vita delle persone, come mai era accaduto nella storia. Grazie al Welfare si operò una scelta di civiltà: il disoccupato, il povero non furono considerati inferiori. Il rischio sociale ( la malattia, la disoccupazione, l’inabilità) venne trasformato da rischio privato a rischio pubblico.

Anche in Italia vennero realizzate conquiste di grande civiltà: la Riforma sanitaria, lo Statuto dei Lavoratori, l’Equo canone, la Scuola media unificata e il

Diritto allo studio, attraverso lo strumento del presalario universitario, il Regime dei suoli, il Piano casa, la Legge antisismica.

La tassazione proporzionale e progressiva consentiva di finanziare le riforme, restringeva la forbice tra i più ricchi e i ceti medio-bassi, attivava una mobilità sociale che l’Italia non aveva mai conosciuto fino ad allora. Oggi meno dell’8% dei figli degli operai ha la possibilità di cambiare la condizione sociale di provenienza. Ieri era possibile, ai figli dei lavoratori, modificare, attraverso lo studio e/o il lavoro, lo status sociale della propria famiglia.

Con le crisi petrolifere del 1973 e del 1979, che provocano un aumento dei costi dell’energia e delle materie prime, con l’adeguamento dei salari italiani a quelli medi europei, il PIL comincia a registrare tassi di crescita sempre inferiori e, in coincidenza con l’ascesa di Ronald Reagan alla presidenza degli USA e della Thatcher in Inghilterra, hanno inizio i “30 anni ingloriosi” del liberismo senza regole, teorizzato dalla scuola di Chicago di Friedman e dagli economisti austriaci (Von Mises, Hayek).

All’insegna delle nuove parole d’ordine: meno Stato e più mercato, privato è  bello, i governi abdicarono alle loro funzioni di decisori delle grandi scelte economiche e di re distributori della ricchezza: i ricchi diventano sempre più ricchi, i ceti medi si impoveriscono, i poveri diventano sempre più poveri. Si allentano i vincoli preposti alla tutela del territorio, con  il condono di ogni abuso edilizio, diminuiscono le risorse destinate ai servizi pubblici: alla sanità, all’istruzione ( in Italia solo 17 sono i laureati su 100 giovani compresi tra i 24 e i 35 anni).

Le diseguaglianze sociali aumentano ( la differenza salariale tra un operaio e un dirigente, che prima era di 1 a 20, passa a un rapporto di 1 a 400).

Dalle politiche inclusive, si passa all’esclusione.

Il rischio di malattia, disabilità, disoccupazione, povertà ridiventa un rischio privato.

Dopo 30 anni di neoliberismo, che ha delegato al mercato il destino degli uomini e del pianeta, gli effetti sull’ambiente sono diventati devastanti ( si pensi ai milioni di tonnellate di rifiuti tossici interrati nel casertano) e hanno fatto impennare gli indici delle malattie tumorali.

Il trentennio vissuto all’insegna del privato e dell’esclusione, ha avuto effetti disastrosi non solo sull’ambiente ma anche sulla protezione sociale: milioni di italiani vivono in condizioni di povertà relativa, altri sono considerati poveri assoluti, cioè non riescono ad acquistare i generi alimentari di prima necessità o i farmaci di cui hanno bisogno; la povertà colpisce non solo i ceti tradizionalmente disagiati ma anche i piccoli imprenditori, gli autotrasportatori, il popolo delle partite IVA organizzato nel movimento dei “Forconi”.

I trent’anni “ingloriosi” hanno avuto conseguenze negative sull’economia: il trasferimento di ricchezza dai ceti medio- bassi a quelli più ricchi, ha ridotto i consumi di massa, generando una crisi di sovraproduzione e una disoccupazione di massa, soprattutto giovanile.

E ‘ accaduto, tra il 2007 e il 2013 quanto precedentemente sperimentato  alla fine dell’800 con la “lunga depressione” e nel 1929 con la “grande depressione”: le disuguaglianze sociali, oltre ad essere immorali provocano la contrazione dei consumi, il restringimento della base produttiva, la disoccupazione di massa.

Oggi che si colgono i primi timidi segnali di ripresa economica, vogliamo riproporre il modello di sviluppo neoliberista che ha provocato la crisi del 2007?

Penso proprio di no.

Bisogna pensare ad un nuovo modello di sviluppo che abbia gli obiettivi che gli studenti hanno indicato in questo convegno: del lavoro-reddito-formazione-sostenibilità.

Perché questi obiettivi possano essere garantiti, occorre restituire allo Stato le proprie funzioni di indirizzo e di controllo del mercato nonché di intervento nelle scelte economiche.

Il Governo, attraverso la lotta all’evasione e all’elusione fiscale(130 md di euro ogni anno vengono sottratti al Fisco), attraverso l’eliminazione della spesa improduttiva (non solo i costi della politica ma anche le spese militari: sono stati commissionati aerei da guerra, gli F35, per un valore di 15 md di euro)potrà ridurre la tassazione che grava sui profitti e sul lavoro dipendente, e quindi potrà rendere più competitive le nostre imprese, riducendone i costi, e rilanciare i consumi di massa, aumentando il potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionati.

La redistribuzione della ricchezza dovrà avvenire anche a favore degli oltre 2 milioni di giovani che non studiano né lavorano e neppure cercano un lavoro, semplicemente perché scoraggiati.

Il Governo con la Legge di stabilità ha introdotto in via sperimentale il reddito minimo Garantito nelle città con popolazione superiore a 250.000 abitanti.

Questo diritto alla Cittadinanza, già garantito in tutti i Paese europei, ad eccezione della Grecia e dell’Ungheria, deve essere esteso a tutti i giovani italiani; nell’ipotesi di un reddito mensile di 500 euro, il costo sarebbe di circa 9 miliardi di euro all’anno per 1,5 milioni di beneficiari.

E’ una cifra sicuramente importante, ma occorre considerare che 9 milioni di euro corrispondono al 60% della spesa programmata per gli F35 e corrispondono a 1/15 dell’ammontare complessivo delle tasse evase.

Il governo non dovrà limitarsi a incentivare la domanda privata; dovrà sostenere la ripresa aumentando la domanda pubblica, con investimenti selettivi.

E’ prioritario investire nella messa in sicurezza del territorio che, come dimostrano i disastri provocati anche da una semplice perturbazione atmosferica, è a forte rischio idrogeologico: le frane, gli smottamenti, le alluvioni comportano ogni anno gravi costi in termini di vite umane, di infrastrutture, di insediamenti abitativi e produttivi.

E‘ stato calcolato che per la messa in sicurezza del territorio necessiterebbero 50 md di euro; la Legge di Stabilità prevede soltanto pochi milioni di euro.

E ‘ fondamentale la messa in sicurezza del patrimonio edilizio, pubblico e privato, soprattutto nei centri storici, e degli edifici scolastici.

L’Italia, che è tra i Paesi al mondo più soggetti a rischio sismico, possiede un  patrimonio edilizio che non è a norma, essendo stato costruito per oltre il 62% prima della Legge antisismica.

E ‘ necessario ridurre la produzione di rifiuti ( ogni Italiano ne produce in media 1,4 kg al giorno e circa 500gr sono costituiti dalla frazione organica, cioè da residui alimentari), eliminando i consumi superflui: siamo il Paese che consuma più acqua minerale, e quindi plastica, pro-capite al mondo.

E ‘ necessario raccogliere i rifiuti in maniera differenziata, recuperarli e valorizzarli.

E’ necessario ridurre i consumi energetici, con impianti più efficienti e facendo ricorso a fonti alternative ( il fotovoltaico, l’eolico).

E’ necessario investire nella scuola, nella cultura, nella formazione perché è dimostrato ampiamente che per ogni euro investito nell’istruzione c’è un ritorno economico di 3 euro; d’altra parte, nella divisione internazionale del lavoro, l’Italia non può competere con Paesi, come la Cina, dove il costo della manodopera è irrisorio, producendo le tradizionali manifatture.

L’Italia, nel mercato globale, può competere con beni ad alto valore aggiunto, prodotti con tecnologie d’avanguardia, con l’inventiva, la creatività che solo la scuola può favorire.

Nel mondo globalizzato si può competere con beni che non sono soggetti a concorrenza, perché unici e non riproducibili, come i beni culturali ( l’Italia possiede il 50% del patrimonio archeologico e artistico dell’umanità), il paesaggio, la qualità eccelsa delle nostre produzioni agroalimentari.

La domanda aggregata, pubblica e privata, insieme alla riduzione dell’orario di lavoro ( in Italia si lavora mediamente per 1700 ore all’anno contro le 1500 ore della Francia, le 1400 ore della Germania), potrebbe garantire la piena occupazione.

Quanti lavoratori potrebbero essere impiegati nella messa in sicurezza del territorio, nel recupero dei centri storici, nella ristrutturazione del patrimonio edilizio, nella raccolta differenziata, nella costruzione di parchi eolici, nella valorizzazione dei beni culturali, nelle produzioni agroalimentari di qualità!

Avremmo così un sistema economico e sociale rispettoso dei diritti della natura, del diritto di ogni cittadino a disporre di un reddito, di un lavoro gratificante, di una formazione qualificata. Riccardo Ugolino

p.s. La presente relazione costituisce una sintesi dell’intervento tenuto al Convegno organizzato dalla Federazione degli Studenti del Tirreno Cosentino, il 20 Dicembre 2013 a Belvedere marittimo.

Gli atti del Convegno, con le relazioni degli studenti dei Licei di Belvedere marittimo e dell’IISS di Diamante, saranno pubblicati in un apposito articolo.

 

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