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le ragioni della sinistra PDF Stampa E-mail
Scritto da riccardo ugolino   
Venerdì 20 Dicembre 2013 20:29

Abbiamo seguito tutti, con molta attenzione, il confronto tra i candidati della segreteria nazionale del Partito.

Personalmente non ho colto differenze profonde sulla svolta che intendono imprimere al modello di sviluppo del Paese. Non poteva essere altrimenti, considerando che militano nello stesso partito. E’ sui temi economici che la distanza tra i candidati mi è parsa più netta; e la posizione di Cuperlo sulle disuguaglianze sociali, sulla patrimoniale e la spesa pubblica, ritengo sia la più condivisibile.

Su l’Unità  nei giorni scorsi si leggeva una sua dichiarazione che cito testualmente:”la crisi non ha colpito tutti allo stesso modo, la diseguaglianza è cresciuta e ora bisogna redistribuire la ricchezza”. Penso che questa dichiarazione sia più efficace di qualsiasi analisi sulla crisi, sulle sue cause e conseguenze, sulla necessità di riproporre le ragioni della Sinistra, sui limiti del governo Letta.

Abolire l’IMU, anche per le fasce più alte di reddito, è stata una scelta di classe, che contrasta con le politiche di redistribuzione della ricchezza, le quali non rispondono solo ad esigenze di giustizia sociale ma sono anche le uniche politiche che possono garantire una ripresa dei consumi e quindi della produzione e dell’occupazione. Piuttosto che abolire l’IMU, perché non sono state investite maggiori risorse per ampliare la platea dei fruitori del reddito minimo garantito?

Gianni Cuperlo, nel denunciare la crescita delle disuguaglianze, ripropone con forza le ragioni della Sinistra che per molto tempo ha smarrito le sue idee e i suoi valori, ha pagato la sua subalternità agli avversari.

Dobbiamo recuperare la nostra autonomia culturale. Per troppo tempo non siamo stati in gradi di reagire all’affermazione di un liberismo senza freni e vincoli, all’affermazione di un’economia piegata alla speculazione finanziaria.

Nella fase di transizione, dai 30 anni gloriosi del secondo dopoguerra all’ascesa di Bush e della Thatcher, è maturata la nostra sconfitta culturale e politica: abbiamo pensato, con Blair, Rutelli, Veltroni, che il compito della Sinistra fosse  limitato a temperare gli effetti sociali del modello neoliberista, ci siamo proposti, per dirla con Gianni Cuperlo, di essere il volto buono della Destra.

Nostra grande responsabilità è stata la rinuncia a “criticare” le idee-guida della politica economica dei “30 anni ingloriosi”, quelli precedenti la grande crisi scoppiata nel 2007-2008.Negli anni ’40 e fino agli anni ’70, socialdemocratici, liberali, conservatori avevano trovato un compromesso attorno allo Stato Sociale.Gli economisti di scuola keynesiana (Polanyi, Habermas, Putnam) avevano teorizzato che nell’economia di mercato lo Stato avrebbe dovuto produrre le risorse per l’inclusione e l’integrazione, evitando così gli effetti corrosivi, per la democrazia, delle disuguaglianze e dell’esclusione.

I governi, in particolare nei Paesi dell’Europa centro-settentrionale, grazie al Welfare, garantivano non solo la libertà economica, ma anche democrazia politica e protezione sociale.Nei “30 anni gloriosi”, come furono definiti dagli storici, si moltiplicarono le possibilità di vita delle persone, come mai era accaduto nella storia.Grazie al welfare si operò una scelta di civiltà: il disoccupato, il povero non furono considerati “inferiori”.Il rischio sociale (la malattia, la disoccupazione, l’inabilità) venne trasformato da rischio privato a rischio pubblico.Anche in Italia vennero realizzate conquiste di grande civiltà: la riforma sanitaria, l’equo canone, il regime dei suoli, la scuola media unificata, il piano casa.

La tassazione proporzionale e progressiva consentiva di finanziare le riforme, restringeva la forbice tra i più ricchi e i ceti medio - bassi, attivava una mobilità sociale che l’Italia non aveva mai conosciuto fino ad allora. Oggi meno dell’8% dei figli degli operai ha la possibilità di cambiare la condizione sociale di provenienza.Ieri era possibile, ai figli dei lavoratori,modificare lo status di provenienza, attraverso lo studio e il merito.

La responsabilità della Sinistra è stata l’acquiescenza, negli anni ’70 e ’80 e per tutto il ventennio berlusconiano, al pensiero unico dominante: la scuola austriaca (Von Mises, Hayek) e la scuola di Chicago con il guru Milton Friedman.La Sinistra non è riuscita a contrapporsi alla retorica neoliberista: lo Stato sottrae spazi alla libertà individuale, lo Stato è sprecone, il privato è bello.

Neppure la Sinistra radicale e antagonista la quale, considerando lo Stato Sociale una “condizione naturale dell’esistenza”, orientava le proprie lotte esclusivamente a favore delle identità escluse (donne, gay, minoranze etiche).

La conseguenza di trent’anni di liberismo senza vincoli, e della rinuncia a svolgere il ruolo di Sinistra, ha prodotto la crisi attuale: ricchi sempre più ricchi, ceti medi impoveriti, poveri sempre più poveri, un Paese bloccato sia nei rapporti nord-sud, sia nella mobilità sociale intergenerazionale, una democrazia a rischio di derive autoritarie.

Ciò proprio a causa dell’incapacità della Sinistra di difendere le buone ragioni della sua storia: il ‘900 non è stato solo il secolo dei totalitarismi e delle tragedie belliche; è stato anche il secolo dei successi ottenuti dalle democrazie, che furono costruite o ricostruite su basi più solide, ancorando ai valori democratici le classi medie che nella prima metà del ‘900 avevano sostenuto i regimi fascisti.

Oggi bisogna riproporre i valori della Sinistra, un modello sociale fondato non sull’istinto predatorio, sulla logica del profitto fine a se stesso, ma basato sull’etica del pubblico e del mercato.Questo sistema economico non può basarsi sulle privatizzazioni, sulla conflittualità con il sindacato contrapposto ai disoccupati, sulla conflittualità con i Partiti contrapposti alla mitica società civile, sulla conflittualità tra i padri pensionati e i figli disoccupati.

Oggi bisogna pensare ad uno Stato che ritorni ad esercitare le sue funzioni di decisore delle grandi scelte economiche, di redistributore della ricchezza, di garante dei beni comuni. La messa in sicurezza del territorio dai grandi rischi (idrogeologici, sismici), la valorizzazione dei beni culturali, la tutela del paesaggio naturale,l’efficienza e la diversificazione degli impianti energetici, non solo agiscono come moltiplicatori di ricchezza ma sono destinati a migliorare la qualità della vita e a lasciare in eredità alle generazioni future un pianeta in cui sia ancora possibile vivere. Riccardo Ugolino - 20.12.2013

n.b.Il testo che sottopongo alla riflessione dei lettori de laltrasinistra costituisce la relazione tenuta al convegno del 5 Dicembre scorso a sostegno della candidatura di Gianni Cuperlo alla Segreteria nazionale del Pd.

 

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