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cattolici e politica: Emilia Romagna, domani a Bologna incontro sul "dopo Todi" PDF Stampa E-mail
Scritto da mauro d'aprile   

Un incontro “dopo Todi”, “per rilanciare a livello regionale quanto emerso al convegno e interrogarci su come proseguire nel cammino intrapreso”. È l’iniziativa della Consulta regionale per la pastorale sociale e il lavoro dell’Emilia Romagna, che si terrà domani (17 dicembre) a Bologna (ore 9-12.30, Villa Pallavicini) sul tema “La buona politica per il bene comune: cattolici protagonisti in Emilia Romagna”.

La giornata di Todi, spiega nella lettera di convocazione il direttore della Consulta, don Ottorino Rizzi, “ha rappresentato per i cattolici italiani un passo importante nella direzione di nuove modalità di coordinamento e iniziativa comune. Lo ha sottolineato il card. Angelo Bagnasco nel suo intervento al Forum, per poi ricordare ai presenti un passaggio centrale del documento conclusivo della Settimana Sociale di Reggio Calabria: ‘Noi tutti, come Chiesa e come credenti, siamo chiamati al grande compito di servire il bene comune della civitas italiana in un momento di grave crisi. Vedercelo affidato può stupire e richiede prudenza, ma non deve generare paura o peggio indifferenza”. L’appuntamento bolognese verrà aperto dal saluto di mons. Tommaso Ghirelli, vescovo di Imola e delegato della Conferenza episcopale regionale per la pastorale sociale e il lavoro, e sarà coordinato dal segretario del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali, Edoardo Patriarca.

Intanto si è tenuto a Roma Martedì 13 Dicembre in Via della Conciliazione 5, il convegno “Verso un Nuovo Umanesimo, Economia e sostenibilità sociale” patrocinato dalla Provincia. Di seguito alcuni significativi passaggi, rimanendo disponibile l’intera documentazione per chi interessato ( Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. ).

“Una politica economica finalmente fondata sul concetto di ‘umanesimo’ può favorire la coesione sociale e può ridurre i danni causati dei fallimenti prodotti sia dai mercati sia dall’azione pubblica”. L’analisi del preside della Facoltà di Economia dell’università La Sapienza di Roma, Giuseppe Ciccarone, ha fatto da filo conduttore alla sessione mattutina dei lavori. Ovviamente occorre intendersi sul significato profondo di un concetto impegnativo come ‘Nuovo Umanesimo’ e sul modo di declinarlo in ambito economico. “L’umanesimo in economia – spiega Ciccarone – non è importante solo per stimolare lavoro e politiche sociali. Significa invece un ritorno al passato. A quando, fino alla prima metà del Novecento, il benessere sociale era il fine della politica economica. Bisogna, in buona sostanza, abbandonare la deregolamentazione dei mercati finanziari, che ha prodotto effetti devastanti sulla coesione sociale e ha provocato alti tassi di disoccupazione, con riflessi drammatici sulla coesione sociale”. Ovviamente, il nuovo approccio avrebbe riflessi positivi anche sul livello occupazionale: “Applicare il concetto di umanesimo al mercato del lavoro – osserva Ciccarone – significa quindi rimettere l’uomo al centro del sistema. Garantendo ad esso tre diritti minimi: contratto di lavoro unico, reddito minimo garantito e sussidio di disoccupazioni. “Costruire un nuovo umanesimo a livello internazionale significa quindi attuare finalmente un sistema di solidarietà globale”. Ma nei Paesi occidentali, nonostante la crisi economica attuale, il livello di vita si mantiene comunque piuttosto elevato. Le riflessioni che possono valere per loro non necessariamente si possono adattare alla situazione del resto della popolazione mondiale. Di quel miliardo di persone che ancora oggi soffre la fame.

“La situazione attuale è figlia di tre fattori estremamente negativi”, analizza Alexander Muller, vicedirettore generale della FAO. Diseguale distribuzione della ricchezza, spreco di cibo e climate change. “In primis, un’ineguale distribuzione della ricchezza, in cui il 20% della popolazione mondiale più ricca detiene l’83% delle risorse e il 20% più povero ha a disposizione solo 1,5% del Pil mondiale. In secondo luogo, un sistema che favorisce lo spreco di cibo: su un capitale di 4600 Kcal prodotte ogni giorno nei Paesi sviluppati, se ne perdono 2600 tra nutrizione animale e falle nella catena distributiva. Infine, ci sono i cambiamenti climatici, che già da tempo provocano danni enormi alle popolazioni più povere, concentrate in massima parte nell’Africa Sub-sahariana e in Asia. Ecco perché, a livello internazionale, è indifferibile la costruzione di una solidarietà globale, che dia risposte alle esigenze di tutela delle risorse naturali e di sicurezza alimentare”.

Il concetto di ‘Nuovo umanesimo’ in tal senso si sposa con la costruzione di un modello di progresso sostenibile. Inevitabilmente connesso con i principi di giustizia sociale e ambientale. Ne è convinto Maurizio Franzini, professore ordinario di Politica economica all’Università La Sapienza di Roma: “Gli aspetti di equità sociale e ambientale sono fondamentali per la costruzione del nuovo modello”, spiega Franzini. “Anche perché sono due delle aree in cui il modello attuale, che sperimentiamo da decenni, ha abbondantemente fallito. Sono settori che richiedono interventi importanti, che per realizzarsi necessitano di precondizioni ancora non a portata di mano. Questi argomenti, soprattutto, devono essere riconosciuti come fondamentali da parte dei decisori nazionali e internazionali, che possono davvero adottare le riforme mondiali”.Un terreno sul quale c’è ancora molto da lavorare. “Le vicende recenti sull’ambito delle disuguaglianze e della sostenibilità ambientale non fanno ben sperare per cambiamenti a breve”, ammette Franzini. “Ma gli spazi sicuramente ci sono. La speranza è che si affermi questa consapevolezza dalla quale dipende il nostro benessere sociale sia nell’immediato che nel futuro”.

“ Noi viviamo solo per consumare? E’ l’unica cosa che dà senso all’individuo, ne siamo sicuri?”. “Il vecchio modello di sviluppo è stato egoista, sia nei confronti del pianeta che delle nuove generazioni. La rabbia che stiamo vedendo attualmente nelle piazze ci spinge ad un momento di riflessione: il nuovo modello di sviluppo non sarà più basato sulla materialità delle cose prodotte ma sulla qualità dell’ambiente e della vita sociale. L’Europa non sarà mai più ricca come negli ultimi 60 anni, sia tra le popolazioni che vivono nelle campagne che quelle delle grandi città:  l’aggregazione nelle metropoli non ha prodotto un vero miglioramento della qualità della vita. “

“Paragonerei il sistema economico attuale alla tragedia personale di Erisittone” ha commentato il Alfonso Cauteruccio, nel suo intervento. “Costui tagliò un bosco sacro a Demetra, che per punizione lo condannò ad una fame inesauribile. Erisittone, dopo aver divorato tutto ciò che poteva ed aver dilapidato tutti i suoi beni, a mangiar se stesso. Questo mito greco rappresenta il paradigma dell’economia odierna, fondata su un percorso di crescita indefinita e infinita che porta inevitabilmente ad un processo cieco di demolizione delle risorse e della natura. Una economia vorace, di una voracità che appare incontrollabile, che obbliga a una serie di interrogativi e di riflessioni cui non è possibile sottrarsi perché non si possono ignorare. Eccoci dunque a suggerire questo laboratorio di idee e di proposte che dovranno generare ampi dibattiti per portare poi a conclusioni operative”.

Parole chiave: “redistribuire e decrescere”. “Redistribuire lavoro, ricchezza, potere, sapere, tutele. E decrescere, per svincolarsi dal giogo della finanza e dell’economia quantitativa e dalla schiavitù di una crescita perversa”. E’ la proposta che il sociologo Domenico De Masi, docente di sociologia delle Professioni all’università La Sapienza di Roma. Una proposta, quella del sociologo De Masi, che potrebbe riuscire ad attenuare, se non a sconfiggere, la tirannia del denaro: “una tirannia per cui gli interessi della politica, della società, dei valori e delle arti si trovano ad essere subordinati a una finanza che a sua volta mangia l’economia”. Cruciale, secondo De Masi, è che la politica ritorni a prendere il suo posto nella società, “tornando a una visione lungimirante. Se la politica è l’arte dei tempi lunghi deve riuscire a contrastare lo strapotere della finanza, che è l’arte degli sviluppi attimo per attimo. Di questo compito sono investite tutte le componenti della società. Dagli intellettuali alla politica, alla religione. Tutte, tranne quelle della finanza, che ovviamente difende le posizioni di potere acquisite”.

“L’economia, strumento dell’uomo, ha reso strumento il suo artefice, capovolgendo in tal modo i suoi scopi, ma oggi si scontra con questa sua profonda contraddizione”, aggiunge monsignor Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, che ha sottolineato il rischio di un rilancio dell’economia attraverso un ritorno indiscriminato ai consumi: “Se l’eccesso di consumo di risorse limitate comporterà il declino del consumismo, e per far fronte alla crisi finanziaria tutti i governi lavorano incessantemente al rilancio dei consumi senza alcuna distinzione fra l’utile, l’inutile, il superfluo, il dannoso, avremmo creato tutti i presupposti per una ben più grave crisi innescata dal costo delle risorse. E questa nuova crisi moltiplicherebbe i conflitti per l’accaparramento di materie prime sempre più scarse, spesso provenienti da paesi poveri che ne subirebbero le peggiori conseguenze in termini sociali, politici, con limitazioni della sovranità nazionale e della partecipazione democratica, ed anche in termini ambientali, vedendo così sfumare definitivamente qualsiasi speranza di sviluppo”.

Il ribaltamento dei rapporti di forza tra politica e economia egemonizzata dalla finanza, passa, secondo monsignor Toso, anche per un rinnovato impegno dei cattolici. “E’ giunto il momento per impegnarsi nell’elaborazione di un nuovo pensiero che spinga alla costruzione di un’autorità politica a livello mondiale, senza la quale non si potrebbero avere strutture e istituzioni, anche giuridiche, capaci di servire il bene comune”.

Ma, tra le componenti del “Nuovo Umanesimo” c’è anche un importante impegno sul fronte della riduzione dell’impatto umano sull’ambiente: “Oggi gli stimoli per la ripresa non possono essere semplicemente capaci di farci uscire dalla crisi, per poi tornare, una volta usciti, al modello di crescita che prima del 2008 aveva tanto aumentato PIL e popolazione globali”, avvisa infine Laura Castellucci, docente di Politica economica all’Università di Roma La Sapienza. “Il modello di crescita seguito dalla rivoluzione industriale in poi, oggi e globalmente, non è più sostenibile”. Da qui la proposta di un green new deal. “Questa nuova ricetta, però, per essere efficace deve avere una dimensione globale e non può essere pensata solo come mezzo per uscire dalla crisi ma come strumento per cambiare modello di produzione e di consumo.Mauro D’Aprile

 

 

 

 

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