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spesa sanitaria, sperimentazione di una nuova cultura di governo organizzativa PDF Stampa E-mail
Scritto da vincenzo cesareo   
Mercoledì 09 Novembre 2011 00:00

Quanto conta la partecipazione e l’influenza dei cittadini  e delle comunità sui processi decisionali della sanità?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso la dichiarazione di Alma Ata del 1978, la Carta di Ottawa del 1986, la Dichiarazione di Jakarta del 1998,  la Carta di Bangkok del 2005, la Carta di Tallinn del 2008, ha affermato e ribadito di frequente, che l’azione di comunità ed il coinvolgimento del cittadino sono pre-requisiti per la salute. Il “Programma di azione comunitaria in materia di salute pubblica 2008-2013”, attualissimo, prevede che la partecipazione e l’influenza dei cittadini sui processi decisionali, costituiscono i valori su cui si fonda la strategia comunitaria (Commissione delle Comunità Europee, 2007). A livello del nostro Paese, il Piano Sanitario Nazionale 2006-2008, tutt’ora in vigore, afferma che la partecipazione ed il coinvolgimento sono volti ad erogare cure efficaci ed appropriate sia sotto il profilo clinico, che sotto il profilo etico e, nel contempo, garantire il massimo livello possibile di equità nell’uso delle risorse. Bene, se dovessimo rispondere al quesito iniziale, in riferimento a quanto accade oggi in Calabria, dovremmo amaramente  prendere atto che né i cittadini, né le forze sociali e politiche, né i tecnici di settore contano nulla, né i sindaci e la loro conferenza!

Tutto è nelle mani di un Commissario Straordinario, nominato dal Governo forse anche in modo illegittimo per incompatibilità, che ha presentato un piano di rientro dal debito sanitario operando tagli selvaggi di risorse, chiusure di ospedali in modo discriminatorio e non organico, ma, soprattutto, senza neanche creare le pre-condizioni di Livelli Essenziali di Assistenza e, quindi, senza garantire il diritto costituzionale alla salute. Il Forte Apache dentro il quale cerca tutela, è rappresentato dal problema della spesa sanitaria fuori controllo e dai costi crescenti, sempre più gravosi sul bilancio della collettività e su quello del singolo cittadino. La storia ci ha descritto la fine del forte in questione e degli uomini che lo presidiavano! Infatti, a  questi temi di indubbia criticità economica, si accompagna una sempre maggiore insoddisfazione da parte dei cittadini per i servizi offerti ed una critica sempre più diffusa alle disfunzioni ed alle carenze del servizio sanitario: sprechi, malasanità, disorganizzazione, burocrazia, migrazione. Sorge spontaneo, tuttavia, un interrogativo: l’approccio basato esclusivamente su indicatori e strumenti di tipo economico e finanziario, senza tenere conto delle molteplici variabili culturali, sociali e del contesto locale, rappresenta la soluzione più appropriata a risolvere la contingenza economica e strutturale della sanità calabrese? Il limite di un approccio esclusivamente economicistico rivolto ai problemi finanziari della sanità è che la sola prospettiva economica di per sé è riduttiva e, quindi, porta spesso a soluzioni ed a risultati di breve respiro.

Non è solo tagliando i costi che si riuscirà ad investire in sanità. Se si pota una pianta, essa, cresce sicuramente più rigogliosa e rivitalizzata, l’intervento va fatto, però, nel periodo e nella quantità appropriata. Se si tagliassero le radici, la pianta, di certo, non riuscirebbe a sopravvivere. I problemi correlati alla crescita costante della spesa e della domanda sanitaria, non possono essere risolti solo con dei tradizionali interventi congiunturali, con una mera bonifica delle aree di spreco e d’inefficienza, requisito necessario ma insufficiente, o con dei legittimi richiami all’appropriatezza, opportuni per promuovere e diffondere processi gestionali  virtuosi, ma che si rivelano scarsamente influenti sulle vere dinamiche di contenimento della spesa. Non vi è dubbio, quindi, che è necessario unire ai necessari sforzi di risanamento, la sperimentazione di una nuova cultura di governo organizzativo. Pertanto l’obiettivo principale deve essere quello di individuare ed approntare le necessarie misure per rientrare da un deficit economico e finanziario accumulatosi negli anni.

Allora un piano di rientro secondo modalità imprenditoriale e la sua declinazione in obiettivi strategici, azioni operative, modalità di raggiungimento degli obiettivi, azioni vitali per la tutela ed il miglioramento dei livelli di salute dei cittadini, operando, di fatto, un recupero consistente della migrazione sanitaria e, quindi, economico. La riorganizzazione della rete ospedaliera così come proposta nel D.R. n. 18 del 28.10.2010, peraltro soggetto alla validazione dei tavoli tecnici ministeriali che, ad oggi, non hanno inteso approvare, contrasta con quanto sopra. La Calabria destinata ad essere sempre figlia di un Dio minore? È vero anche che i piani di rientro sono interventi complessi, densi di implicazioni tecniche, economiche, organizzative, sociali e politiche, perché rappresentano una limitazione dell’autonomia, in una parola della sovranità delle Regioni interessate. Questo comporta un rischio molto alto di strumentalizzazione politica. Un clima del genere, evidentemente, non facilita una corretta e serena analisi, valutazione e definizione di soluzioni ai problemi, complessi per definizione, della sanità. E questo vale sia per le prese di posizioni aprioristicamente accusatorie, sia per quelle di autoreferenziali, più affini a dati di realtà virtuale piuttosto che reale. È proprio in questi casi che emerge la necessità di considerare la componente umana, nei suoi aspetti individuali e sociali, perchè, questi ultimi, possano costituire un reale ed efficace supporto ai processi di pianificazione, programmazione e gestione dei servizi sanitari. Il ruolo delle persone è, infatti, basilare poiché la condivisione di un progetto e la loro collaborazione consente di far funzionare anche sistemi tecnicamente perfettibili, com’è quello della sanità calabrese, mentre la loro mancanza, di fatto, ne impedisce il funzionamento, anche di quelli tecnicamente ineccepibili.

La cultura può, anzi deve essere tenuta sempre in considerazione in tema di gestione della sanità, per la sua capacità, come insieme di valori, credenze, concezioni, di influenzare i comportamenti nelle situazioni operative come nelle scelte di carattere strategico e nella loro attuazione. La vera sfida consiste nel cambiare la mission della sanità calabrese che, negli anni, è stata gestita in primo luogo in funzioni di interessi personali e poi, se restava tempo, si pensava alle esigenze dell’utenza. Paradossalmente l’allarme per la spessa sanitaria sotto controllo, ha creato le condizioni perché si possa mettere mano, seriamente, ad una riconversione della sanità calabrese, che dovrà essere necessariamente e prioritariamente organizzativa e gestionale ma, se non si vuole correre il rischio di fallire, dovrà anche essere di carattere culturale. La competizione che ci attende è quella di rimettere in moto un circuito virtuoso per un vero rinnovamento dei servizi sanitari calabresi, a partire da valori condivisi, da regole per la condotta sociale e da un senso comune di responsabilità civica che rende la nostra società non una semplice collezione di individui, ma una collettività. È salutare che da subito si prendano decisioni consapevoli, perché per troppo tempo sono state sempre effetto, non previsto, di azioni indirizzate a scopi poco nobili, che è impensabile abbandonarsi al fatalismo ed alla passività. Lo spazio al dovere ed alla responsabilità deve restare sempre aperto, ma da parte di tutti, soprattutto di coloro che sono impegnati nelle istituzioni. dott.Vincenzo Cesareo - responsabile nazionale LiberiAmo l'Italia movimento politico-culturale - 09.11.2011

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