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ancora sul reddito minimo PDF Stampa E-mail
Scritto da riccardo ugolino   
Giovedì 14 Aprile 2011 13:28

Nel corso degli incontri che abbiamo tenuto sul R.M.G., abbiamo registrato ampie condivisioni, a partire dall’analisi dello stato dell’economia del nostro Paese.

Non poteva essere diversamente: i dati da cui scaturiscono le nostre analisi e le nostre proposte sono ufficiali e abbastanza recenti, riferendosi al 31.12.2010: a quella data il 38,6% degli Italiani tra i 15 e 64 anni era senza lavoro. Nel Sud erano 50,6% (le donne il 62,8%), in Calabria il 56,9%.

Erano, cioè, inattivi, avendo molti rinunciato anche a cercare un impiego.

Se consideriamo i soli iscritti nelle liste di collocamento, i dati non sono più confortevoli: al 31 marzo 2011 i giovani disoccupati erano il 27,8%, tanto da indurre alcuni studiosi a coniare l’espressione: “Benessere alla rovescia”, con ciò intendendo che , per la prima volta negli ultimi 60 anni, i giovani avranno meno diritti, meno garanzie, meno benessere dei loro genitori.

I dati relativi alla povertà assoluta (l’ISTAT alla data del 31/12 stimava in 2.427.000 gli Italiani che non erano in grado di procurarsi cibo e vestiario) sono destinati ad aggravarsi: centinaia di migliaia di Italiani rischiano, nel corso del 2011, di scendere al di sotto della soglia di povertà a causa dell’inflazione, aumentata, nel marzo 2011, del 2,5% rispetto a 12 mesi fa. Le tensioni nel mondo arabo, con il conseguente aumento del greggio, hanno fatto impennare i prezzi: la benzina è aumentata del 12,7%, il gasolio da riscaldamento del 18,5%, l’energia del 4,4%, gli alimentari del 2,3% tanto che il CODACONS, tra aumenti di bollette e inflazione, calcola una stangata di € 1240,00 a famiglia.

Garantire, pertanto, un REDDITO MINIMO costituisce un dovere morale per tutte le forze sociali e politiche che si ispirano alle grandi tradizioni culturali del ‘900: il liberalesimo democratico, il cattolicesimo popolare, il socialismo.

Ampia condivisione dell’analisi e della proposta, dicevamo, ma anche alcune obiezioni, a volte malevoli: il nostro disegno di legge costituirebbe una misura assistenzialistica, una sorta di degenerazione dell’assistenza perché privilegerebbe la beneficienza piuttosto che il lavoro.

Noi ribadiamo che non si tratta di assistenzialismo.

Il R.M.G. non si pone in alternativa al lavoro perché questo governo, con questa politica economica, non solo non è in grado di creare nuova occupazione ma neppure di garantire un lavoro a chi l’ha perduto in questi anni di recessione.

400.000 cassintegrati nel corso del 2011 rischiano di diventare disoccupati come i 40.000 lavoratori impiegati nell’industria delle energie rinnovabili, fortemente colpita dai tagli contenuti nel decreto “Milleproroghe”.

Il R.M. non è alternativo al lavoro, tant’è che il nostro disegno di legge contempla la possibilità che sia trasferito, sotto forma di incentivo, dai soggetti beneficiari alle aziende che intendessero assumere a tempo indeterminato.

Piuttosto, il R.M.G. costituisce un sostegno alla ripresa economica e, quindi, all’occupazione perché 9 MD di euro erogati a 1.500.000 di Italiani e 100 ml di euro a 20.000 Calabresi si tradurranno in maggiori consumi in grado di dare un po’ di ossigeno alle attività produttive.

E il disegno di legge di iniziativa popolare, da noi proposto, non appartiene neppure alle prestazioni assistenziali erogate dallo Stato, perché concepiamo il R.M.G. come un diritto universale, da garantire al pari della salute e dell’istruzione.

L’altra obiezione che alcuni sollevano è relativa alle risorse finanziarie da destinare a questo provvedimento legislativo, che sarebbero aleatorie, almeno quelle necessarie a finanziare una legge nazionale.

Su questo punto bisogna fare chiarezza:

alcuni ritengono che i finanziamenti necessari debbano discendere da un aumento della ricchezza prodotta, perché se più grande è la torta del PIL, una fetta può essere destinata al R.M.

Personalmente, non ritengo auspicabile un’accelerazione delle crescita perché è dimostrato che l’impatto sugli equilibri ambientali sarebbe apocalittico.

Ma, tralasciando le opinioni personali, noi pensiamo che un ulteriore sviluppo delle forze produttive non sia possibile né a breve né a medio termine perché non c’è alcuna volontà di incentivare quei settori che per le loro caratteristiche, si sottraggono alla competizione del mercato globale: i beni culturali, il disinquinamento delle acque, la messa in sicurezza del territorio dai rischi sismici e idrogeologici, l’agricoltura biologica.

E quand’anche si verificasse una crescita, come nei cinque anni precedenti la crisi, l’avanzo di bilancio dovrebbe essere destinato a ridurre dell’8%, entro il 2015, il rapporto tra debito pubblico e PIL, come stabilito nel vertice europeo di Bruxelles del 24-25 marzo.

Ecco perché il R.M.G. deve essere finanziato con le risorse a disposizione, che non sono poche. L’Italia, con un PIL che ammonta a € 1.600 MD, occupa ancora il VII posto nella graduatoria mondiale.

Sono solo distribuite in maniera fortemente diseguale. È più marcata la differenza che oggi intercorre tra il 10% più ricco e quello più povero che non tra il patrizio romano e il suo schiavo.

L’O.C.S.E. classifica i Paesi membri in 5 gruppi e colloca l’Italia, insieme a USA, Polonia, Portogallo nel IV gruppo, definito a forte diseguaglianza, meno diseguale solo della Turchia e del Messico, collocati nel V gruppo, nel gruppo dei Paesi a fortissima diseguaglianza.

Riferita al Reddito la diseguaglianza è tale che il rapporto tra il 10% più ricco e il 10% più povero è pari a 12; la media O.C.S.E. è 9, in Germania 6, nei Paesi Scandinavi 5.

Riferita al Patrimonio (case, terreni, negozi, titoli, azioni,..) è tale che il 10% più ricco possiede il 45%, il 10% più povero possiede solo il 9,7%.

La diseguaglianza, peraltro, tende ad aumentare nel tempo: mentre negli anni della crisi più acuta (2008-2010) il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni si riduceva, mentre aumentava il numero dei disoccupati e dei poveri, il patrimonio delle famiglie più ricche, che possiedono mediamente 1.600.000 euro, cresceva nel 2009 del 19% e di un ulteriore 5.3% nel 2010.

La disuguaglianza economica si determina non solo per l’ingiusta distribuzione del reddito tra salari e profitti( i salari medi degli Italiani sono inferiori non solo ai salari dei Paesi da sempre considerati più ricchi: Germania, USA, Francia, Inghilterra, ma anche a quelli della Grecia e dell’Irlanda) ma anche a causa dell’evasione fiscale, delle imposte indirette e dell’inflazione, a causa della spesa sociale che in Italia è inferiore a quella che si registra in Europa:

nel 2010 si spendeva per la famiglia l’ 1,2% del PIL contro il 2% dell’U.E.

per la Scuola il 4,5% del PIL contro il 5,7% dell’U.E.

per la Ricerca e l’Università l’1,1% del PIL, a fronte del 3%  della Corea.

E allora, per garantire un reddito minimo a coloro i quali sono privi di risorse, non occorre aspettare la crescita ma bisogna intervenire subito attraverso una tassa sui grandi patrimoni, sulle rendite e le transazioni finanziarie:

  • Una tassa dello 0,5% sui patrimoni superiori a 3 mil. di euro aumenterebbe le entrate di 10,5 MD €;
  • La tassazione delle rendite al 23%, in linea con quella dei grandi Paesi europei, consentirebbe un’ulteriore entrata di 2 MD €;
  • La tassazione dello 0.05% sulle transazioni finanziarie internazionali, oltre che contrastare la speculazione, solo all’Italia garantirebbe 4 MD €.

16,5 MD € di euro garantirebbero un reddito di 6.000€ all’anno a circa 2,6 milioni di cittadini italiani.

Il trasferimento di risorse dai più ricchi ai ceti medio-bassi non è solo una misura di giustizia sociale nei confronti di coloro che non hanno mai evaso le tasse né esportato capitali all’estero e che oggi sono costretti a mantenere con i loro magri salari o le loro misere pensioni i figli trentenni disoccupati.

Ma costituisce il contributo più serio al superamento della crisi economica se è vero, come sostengono i più grandi economisti, che la crisi << nasce dalle diseguaglianze >> perché la propensione al consumo diminuisce con l’aumento del reddito; se è vero che la tassazione dei profitti e l’esenzione fiscale dei patrimoni e delle rendite induce il capitale a privilegiare la speculazione finanziaria piuttosto che gli investimenti produttivi.

Il reddito minimo, infine, favorirebbe la mobilità  sociale in un Paese, come l’Italia, nel quale chi nasce povero ha più probabilità di rimanere povero che nel resto d’Europa.

Infatti, solo il 7,3% dei figli della classe operaia entra a far parte della borghesia (che per l’ISTAT comprende imprenditori con più di 7 dipendenti, liberi professionisti, dirigenti).

Ciò a causa della situazione familiare e della scuola che in Italia non costituisce un ascensore sociale:

  • siamo il Paese con il minor numero di laureati (19/100 nella fascia di età compresa tra i 25 e 34 anni ) contro i 30/100 nell’U.E., i 40/100 della Spagna, i 60/100 della Corea;
  • siamo il paese con il maggior numero di abbandoni scolastici
  • siamo il Paese in cui negli ultimi 4 anni le iscrizioni universitarie sono diminuite del 9%.

Il R.M., infatti, potrebbe essere investito in formazione, in istruzione, in ricerca e ciò costituirebbe anche un vantaggio per il nostro Paese che potrebbe avvalersi di talenti e capacità che altrimenti non emergerebbero.

In conclusione, il nostro disegno di legge non solo non è assistenzialistico, non solo non è demagogico ma, al contrario, costituisce un serio contributo:

  • al superamento della crisi economica
  • alla mobilità sociale
  • all’uguaglianza economica

non c’è tempo da perdere

i moti di piazza, la storia ce lo insegna, anche quella recente dell’Egitto , della Tunisia, della Libia, della Siria, sono stati sempre provocati dall’esigenza di soddisfare bisogni materiali, prima ancora che spirituali:

l’aumento del prezzo del pane sta sconvolgendo il Nord Africa e il Medio Oriente.

La mancanza di un reddito, l’umiliazione di dover chiedere a 30 anni i soldi ai genitori per la sopravvivenza quotidiana, potrebbero sconvolgere gli equilibri politici e sociali anche in Italia. Riccardo Ugolino - Pd Azione Democratica - 14.04.2011

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