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riflessioni dopo la morte di Pietro Ingrao PDF Stampa E-mail
Scritto da salvatore fabiano   
Martedì 29 Settembre 2015 15:56

La dipartita di Pietro  Ingrao, mio compagno nel PCI per tanti anni, mi ha commosso e strappato qualche  lacrima. Era naturale che così fosse e credo che, anche a tanti che non lo hanno condiviso, un sentimento di rispetto lo abbia trasmesso.

Tante frasi poetiche, qualche bella immagine, qualche aneddoto sulla sua vita di militante politico, di partigiano e di uomo delle istituzioni: ho letto e visto di tutto. Non ha fatto molto piacere osservare  che, tra quelli che si dicono di sinistra come i dirigenti PD ai livelli più alti, si sia operato un chiaro distinguo ripetendo ossessivamente la frase “ il suo partito” e nessuno abbia pronunciato la parola compagno ( mi scuso con qualcuno se mi è sfuggito). Ma anche questo per me è scontato. Chi non è genuinamente di sinistra non può sentire suo questo grande personaggio della nostra storia ed il “suo partito”. Ingrao fu contrario alla svolta della Bolognina e previde profeticamente   ( ma non era difficile e non fu il solo a dirlo) la deriva verso il moderatismo. Questa previsione fu anche nella mente e negli scritti di iscritti molto meno importanti di lui.

Un sorriso prolungato e gustoso  però me lo hanno strappato i servizi televisivi e quasi tutti i giornali. Nel voler tracciare il profilo politico di Ingrao si sono sbizzarriti a chiamarlo “comunista eretico”, “spina nel fianco del PCI”, “contestatore”, “anima critica”, “dissidente” nel PCI e via definendo. Le stesse cose le scrissero in morte di Giorgio Amendola o di Luciano Lama, le scriveranno per Giorgio Napolitano,  le dicono da sempre per Cossutta, Natta,  Libertini, Macaluso ed altri.  Ma allora : se tutti questi personaggi, che hanno scritto la storia di un grande partito come il PCI, esprimevano dissenso, critica, eresie, contestazioni che cos’altro significava se non che c’era discussione, confronto di idee e di linee programmatiche da tracciare e perseguire? Dov’era quella che si definiva una massa acritica che seguiva il dettato del capo, fosse egli Gramsci o Togliatti o Longo o, infine, Berlinguer? Per anni abbiamo dovuto dialogare e scontrarci aspramente con i detrattori che ci accusavano di accettare tutto quel che il capo decideva. Delle due l‘una. Il dissenso, la critica, l’eresia la contestazione non si conciliano con l’obbedienza militaresca.  I congressi di partito avevano un loro svolgimento complesso e partecipativo: ipotesi di documento redatta dal Comitato Centrale, discussione nelle cellule (dove c’erano), poi nelle sezioni, quindi nei congressi provinciali ed infine nel Congresso nazionale. Approvazioni, disapprovazioni, emendamenti, documenti alternativi, delegati in base alla consistenza dei voti nelle varie fasi del PROCESSO DEMOCRATICO.  Questo è stato il PCI, non altro.  Il resto era nella mente di chi osservava dall’esterno con un solo intento: denigrare. Vi ho trascorso tanta parte della mia vita ed a questo ho assistito, non ad altro. Magari i  sedicenti “nuovi partiti” fossero così oggi! Ma credo che per trovarne uno di  partito bisognerà far risorgere Diogene e la sua lanterna. Compagno Pietro,  goditi la tua luna che  l’altra sera è diventata rossa per te! Salvatore Fabiano - 29.09.2015

 

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