Laltrasinistra, Powered by Joomla! and designed by 123WebDesign
facebook e Belvedere PDF Stampa E-mail
Scritto da mauro d'aprile   
Martedì 11 Febbraio 2014 14:40

C’è simpaticamente del tenero e dell’interessante nell’esplosione improvvisa di scrivere degli aneddoti dialettali belvederesi su Facebook, una quasi rincorsa a chi ne sa di più e di più colorite.

Una graduale rincorsa divenuta contagio generale che ci ha trascinato in un solo giorno a cogliere sfumature, sfaccettature, ricordi ma anche desideri e rammarico, delle cose cambiate, di quelle che avrebbero potuto essere e non sono state o non lo sono più.

Un momento che ha rassegnato all’evidenza una disparità di potenzialità espressive fra cittadini di sesso diverso, di epoche diverse, ma soprattutto di aree diverse con netto vantaggio di coloro che hanno potuto fare tesoro dai nonni terranei, quelli legati agli usi e costumi agricoli, agli aneddoti legati alle attività e colture della terra. Una per tutte  quello di Arianna Donato: “Sei di belvedere se almeno una volta ti hanno raccontato che na vota se s'avinnu marita' l'ummini avinna l'assa u zippauni Allu purtauni du suocero si u trasiva si putinnu spusa'”.

Un patrimonio, questo, in possesso di Teresa Rogato ed Olga De Luca che alla materia si sono dedicate dandoci, ormai da anni, felicissimi spaccati di recitazione ed intrattenimento, ma che in balia di una sfrenata e simpaticissima libertà espressiva ha finito per sancire un bisogno di ritrovare tutti insieme le nostre radici. Così nell’inconscio collettivo fra una domenica sera ed il lunedì è scattato il bisogno di ricerca dei nostri valori identitari. Di questo utile spontaneismo di ricerca,chi scrive, non può che non esserne felice, avendo sollecitato il tema con una pubblicazione “ Dal Tirone allo Scalone ed Oltre” ed i cui scopi ed obiettivi sono così riproposti all’attenzione:

“ Vi sono quelli che vedono l’identità di un gruppo (etnico, nazionale, religioso, ecc..) come quell’insieme di caratteri che servono a definire una comunità e i suoi valori, in contrapposizione con altre comunità e altri valori che li attorniano, e da cui ritengono necessario differenziarsi. In questo caso l’identità è un concetto chiuso ed autoreferenziale, che serve a marcare le differenze e ad accentuare le distanze, e il cui fine ultimo non è cooperativo ma conflittuale.

Vi sono d’altro canto quelli che vedono i valori identitari come perfettamente compatibili con una impostazione e uno spirito universalistici. Per loro, l’identità territoriale non si presenta come un fattore di contrapposizione o separazione dal resto del mondo, ma come scoperta o riscoperta di vocazioni territoriali specifiche, come un fattore di specificazione positiva in grado di definire l’angolatura e la particolare curvatura con cui una determinata comunità può partecipare, in modo cooperativo, alla costruzione di un sistema più generale di relazioni e di scambi.  Per questi sostenitori di una identità aperta la base identitaria   non è costituita da un insieme di differenze organiche, o di inamovibili specificità, ma piuttosto esattamente dal modo con cui gli uomini e le donne appartenenti ad un determinato contesto si sono costruiti le loro reciproche relazioni, sviluppando peculiari modi di socialità, di cultura  e di scambio, che rendono facili e feconde  le relazioni tra loro.

L’identità in questo caso non è altro che il grado di coesione sociale di una comunità, la forza dei legami in essa posti in essere, il grado di fluidità- e dunque fiducia interna- di cui una comunità è capace.

Le “identità aperte” tendono a valorizzare tra i fattori identitari quelli che più definiscono una modalità di relazione interna al modo di pensare, di fare e produrre del gruppo con cui ci si identifica.  L’identità è, in questo senso, sancita più dai modi di stare insieme con i propri omologhi, che non dai modi di contrapporsi agli altri.

Di conseguenza, l’identità aperta tende ad essere tanto più forte, sentita  e partecipata, quanto più il sistema territoriale di riferimento si presenta come integrato.

Il contesto, e cioè l’ambiente e la storia, fornisce il modello di riferimento di una simile integrazione. La forza dei valori condivisi si manifesta nell’autoriconoscimento simbolico di un paesaggio, di una serie di tradizioni, di luoghi fisici e mentali di un modo di essere e di vivere che fa tutt’uno col proprio territorio.

C’è, dentro questo rinnovato impegno, una ragionevole convenienza! Negli ultimi tempi, i territori densi di accumuli identitari, soprattutto laddove istituzioni e società locali hanno continuato a coltivarli e rinverdirli, sono stati quelli che hanno conosciuto sviluppo più marcato, malgrado le turbolenze della globalizzazione delle relazioni produttive e dei mercati.

Sarebbe da sciocchi ritenere che le generazioni precedenti non nascondessero gelosie, disappunti, distingui! Ma questa immensa trama di amore che ha unito “tradizioni” ad esperienze religiose, che  ha espresso dal suo seno le opere di “civiltà comunitaria”, infinite schiere di maestri artigiani e creativi lavoranti, comunità fatta di slanci generosi, commovente attaccamento al proprio “precario” lavoro, non può distruggersi nell’oblio di un pressapochismo inconcludente e senza futuro.

Non si può avere la “pretesa” di trascinare nel proprio tramonto quello di una generazione di “costruttori”

di civiltà!

Ciò che abbiamo, appartiene a loro!

Non lasciamolo in eredità ai nostri figli ulteriormente deturpato e quindi inutile!

Solo se si lega l’idea del bene ambientale e quello culturale alla loro capacità di parlarci di un contesto, di

essere portatori di messaggi forti di natura socio-identitaria, otterremo un potenziale tesoro di qualità

inestimabile.

La “messa in rete” di questi fattori costituirà l’armatura del nostro contesto che non ci richiede di essere  quotidianamente presenti ma “insistenti” sul territorio, capaci di agire con la ricca strumentazione di supporto, oggi a nostra disposizione.

Il nostro attuale “precetto”, non quello del “pericolo” Turco derivato dal mare della Storia, si racchiude in un gesto di “coraggio”, di una inclinazione affettuosa dell’animo verso la Città e verso tutte le persone.

Il Tempo non ci aiuta!

Nuovi filosofi ammoniscono che le nostre origini sono importanti, ma non devono essere una gabbia. Bisogna abbandonare quella mancanza ansiogena derivata dall’improvviso venir meno delle tradizionali identità etniche e vivere la spettacolare opportunità del presente, essere sempre gli indipendenti autori di noi stessi.

Il luogo in cui siamo nati e la cultura nella quale siamo cresciuti, perdono di peso di fronte al mondo connesso e globale che ci fornisce materiali ed informazioni da ogni tempo e spazio e spalanca la possibilità di relazioni a tutto campo. Scegliere da sé, fare sintesi personali, non soltanto è possibile ma costituisce un grande salto  avanti evolutivo.

“ L’aneddoto dei moralisti: “una mela non cade mai lontana dall’albero che l’ha prodotta” , Loro dicono, ci paragona agli alberi! Ma noi umani non abbiamo radici che ci legano al terreno, ma piedi e gambe per muoverci, per saltare, per spaziare.

Le nostre origini, non si tratta certo di dimenticarcele: però non devono essere una gabbia. Sono la nostra culla- ci siamo affezionati, ne portiamo con noi l’imprinting- ma guai se ci chiudono la vista dell’orizzonte e se diventano la destinazione finale. Ecco perché quelle culture, quei modelli di pensiero, che enfatizzano il nostro legame con le identità originarie non aiutano proprio per niente a familiarizzare con la natura di un mondo sempre più orientato verso forme di identità espanse. Ma è in questo senso che sta irresistibilmente andando la corrente: ognuno di noi fa ormai la sua playlist di cose nuove ed antiche, di vecchie identità e nuove opportunità connettive, e quello che è davvero importante non è se queste cose sono nuove o antiche, ma è il metabolismo stesso della playlist, che segna il tramonto delle identità generaliste e l’avvento di un mondo di identità espanse”.

Ma ancora, Loro stessi aggiungono: “ Pensare che tutti quanti possano saltare con entusiasmo sull’opportunità di costruirsi da sé la propria identità soggettiva sarebbe ovviamente illusorio: i conflitti etnici, i fondamentalismi religiosi e –su un piano meno drammatico- tutti  gli arroccamenti ideologici e culturali dimostrano fin troppo ampiamente che tanti umani vedono con disagio se non con ostilità questa improvvisa dissoluzione delle identità storiche. D’altra parte nessun grande mutamento nella storia umana è mai avvenuto riscuotendo immediata unanimità fra tipologie umane assai diverse”.

Non c’è scorciatoia per il futuro!

C’è di fronte a noi la paziente opera di tessitura di una trama di affetti, di solidi sentimenti di antiche nuove passioni. Al di fuori di questa presa di coscienza collettiva, nella cattolicità della nostra cittadina, della responsabilità comune di una risposta etica alla crisi che stiamo attraversando, la partecipazione non potrebbe che risolversi in una fuga verso il privato, verso un intimismo che già in precedenti epoche si è ribaltato in disimpegno e che oggi si evidenzia nelle chiusure ermetiche di autoreferenze!

“Nessuno è l’obiettivo di se stesso!”

Solo chi appartiene a qualcuno si appartiene e desidera che qualcuno gli appartenga. Chi non appartiene a

una famiglia, a una città, a una patria non si appartiene e non riesce ad accogliere, perché non sa cosa dare. Può solo prendere e pretendere e, se non ci riesce, recrimina o fugge.

Il Tempo non ci aiuta!

La sua evoluzione è scandita da aritmie sempre più scordanti e confuse: il metro della misura è sempre meno la vita umana!

Quando finisce un’epoca, finisce anche una morale, si verifica una rivoluzione che smantella la vecchia architettura per costruirne un’altra affinché la vita possa proseguire alimentata e incanalata da nuovi limiti, da nuove correnti, da nuove sorgenti. Quando si smonta un’architettura morale senza costruirne un’altra il fiume della vita cessa di scorrere diventando imputridita palude.

Quando si rifiuta di ricordare il passato non si può costruire il futuro, si vive schiacciati da un eterno presente come gli animali che vivono fuori del tempo.

A questa sorte dobbiamo ribellarci, questo pericolo dobbiamo scongiurare!

E’ lo spirito di tutti che deve risorgere!

L’amore che tutto sovrasta è quello verso la vita e il solo peccato pensabile è quello contro la vita, la sua dignità, la sua libertà. Non solo una vita idealizzata, vissuta in pienezza, come un ponte lanciato verso il cielo, ma anche una vita storicamente determinata dagli istinti che si misurano, si combattono, si trascendono, si trasfigurano, diventando passioni e sentimenti analizzati dalla lente della ragione, cioè del pensiero che pensa se stesso e che si vede vivere con qualche appiglio di bene.

Questo pensiero è capace di inventarsi e di raccontarsi molti mondi, è una fabbrica di illusioni che ci aiutano durante il viaggio, di speranze che alimentano la nostra energia vitale, di architetture morali       indispensabili a tutelare nel contesto la nostra socievolezza.

Qui dunque più che altrove le “forme” dell’insediamento umano si sono modellate, tra mare, collina e montagna facendo della natura stessa il proprio presidio.

Qui dunque più che altrove occorre elaborare e connettere i vari segmenti di questa identità.

Qui più che altrove occorre un forte investimento di noi stessi materiale e simbolico, spendere la nostra esistenza, la nostra intelligenza, i nostri saperi delle antiche esperienze.

Qui dunque più che altrove, malgrado le mortificazioni e a costo di una solitudine, impegnarsi per la costruzione di convinzioni collettive condivise, di identificazione in valori ed oggetti comuni, di  identici universi culturali.

Vivremo forse, quali “migranti” nella nostra stessa Città, con la sofferenza atavica, già dolorosa, dei nostri “emigrati”.

I giovani abitano in Belvedere Marittimo, spesso però con l’atteggiamento di chi subisce lo stare in un luogo della dimenticanza del passato, del presente e alcune volte dimentichi anche di se stessi. Si perde il senso del particolare e conseguentemente si vive nell’incapacità di costruirvi il proprio futuro”. ( Don Cono Araugio)

Ed è così che, ancora una volta, passato e futuro si stringono e ci costringono a “rinascere”, a vivere Nuove reciproche relazioni, rese facili e feconde, come nel passato, nel nostro “contesto” fra uomini e donne, con la forza dei legami, in una rinnovata fiducia interna, una “coesione” costruita sviluppando peculiari modi di socialità, di cultura e di scambio.

Tutti, “Insieme” scopriremo che le nostre ricchezze, i nostri giacimenti, le generalità della nostra civiltà, non sono da sbandierare contro qualcuno, ma compatibili con uno spirito universalistico, di vocazioni specifiche, con cui partecipare, in modo cooperativo, alla costruzione di un sistema più generale di relazioni e di scambi,o, se qualcuno preferisce, all’avvento di un mondo di  “identità espanse”.

Così, ancora una volta, capiremo che il Nostro Passato non è una mancanza ansiogena, ma meravigliosamente una “spettacolare opportunità” proiettata nel futuro, uno strumento di navigazione per i  sentieri del Mondo.

E, sarà così che, ancora una volta, gli antichi stretti legami con il nostro “contesto” implicheranno una confortevole riduzione dell’incertezza e dello smarrimento derivati dalla perdita dell’ordine precedente e, solo allora, consolideremo una fiducia nelle aspettative positive, oltre i nostri orizzonti. Mauro D'Aprile - 11.02.2014

e-max.it: your social media marketing partner
 

Questo sito utilizza i cookie per gestire la navigazione ed altre funzioni.Chiudendo questo banner o cliccando su qualunque elemento di questa pagina acconsenti all'uso dei cookie. Per ulteriori informazioni sui cookie che utilizziamo e come eliminarli, visitare la nostra pagina cookies police.

Accetto i cookie di questo sito.

EU Cookie Directive Module Information