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il valore dell’integrazione PDF Stampa E-mail
Scritto da riccardo ugolino   
Lunedì 13 Gennaio 2014 23:24

La coop. Soc. “Ben-essere” ha voluto organizzare, in collaborazione con Legambiente e con la Federazione degli Studenti, in occasione delle festività natalizie, una serie di incontri:

con giovani, studenti, immigrati, con coloro che stanno pagando il prezzo più alto della crisi in atto, la più grave crisi economica e finanziaria dopo la lunga depressione del 1929.

E‘ una realtà solida quella della Cooperativa “Ben-essere”, di cui sono socio volontario; un’associazione senza fini di lucro che opera non solo a Belvedere ma anche nei Comuni vicini, che dà lavoro a circa 50 soci e dipendenti, ad altri 40 lavoratori che forniscono prestazioni occasionali o stagionali, a decine di disoccupati che si alternano in qualità di supplenti.

Insomma costituisce un pezzo importante dell’economia del nostro Paese.

E‘ un’associazione che ha come scopo principale quello di favorire l’inserimento nel mondo del lavoro di persone svantaggiate:

- per disabilità fisiche, per devianze;

- perché cassintegrati o in mobilità;

- perché donne sole;

- perché giovani senza alcuna esperienza lavorativa;

- perché immigrati.

E’ un’associazione che è impegnata a promuovere l’integrazione sociale attraverso lo sport, la cultura, l’assistenza sociale.

Non potevamo, perciò, rimanere insensibili all’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco il quale, concludendo l’anno della Fede, ha invitato non solo i fedeli ma tutti gli uomini di buona volontà ad avere cura dei più deboli: “ i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i migranti”.

Il Papa, che non manca mai di ricordare di essere figlio di emigrati e di avere sofferto le conseguenze della crisi che colpì l’Argentina nel 1930, ha esortato i Paesi occidentali ad una “generosa apertura” verso i migranti, verso coloro che hanno lasciato i loro paesi d’origine alla ricerca di un lavoro, di condizioni migliori di vita per le loro famiglie.

A loro dobbiamo essere grati perché svolgono mansioni che gli Italiani fanno fatica ad accettare.

Dei 5.186.000 stranieri presenti regolarmente in Italia:

300.000 sono occupati nell’edilizia;

500.000 sono gli addetti alla ristorazione e ai servizi alberghi;

200.000 lavorano nell’agricoltura e nell’allevamento;

10.000 nella pesca d’altura;

30.000 nella sanità;

100.000 nei trasporti;

300.000 nell’industria pesante;

oltre 2.000.000 trovano impiego nei servizi domestici (sono colf e badanti).

Si tratta di impieghi a bassa qualificazione e bassa retribuzione, poco ambiti da noi Italiani.

A loro dobbiamo essere grati perché con la loro presenza colmano il buco demografico provocato dalla denatalità.

A partire dal 1975 in Italia si sono dimezzate le nascite: mentre fino a quella data nascevano 1.000.000 di bambini ogni anno, a partire dal 1975 ne sono nati 500.000.

Di conseguenza, a partire dal 2000 per ogni 10 sessantenni che andavano in pensione c’erano solo 5 giovani nati 20 anni prima.

Questo buco demografico è stato colmato dagli immigrati, i quali hanno consentito che la popolazione dell’Italia aumentasse da 56 a 60 milioni e l’età media si abbassasse.

La condizione degli immigrati merita un’attenta riflessione anche a Belvedere, dove, a partire dal 1990, a seguito della caduta dei regimi comunisti, iniziano ad arrivare immigrati dall’Est europeo, in prevalenza rumeni, occupati nell’edilizia e nell’assistenza domiciliare.

La popolazione del nostro Paese, che nel 1971 era scesa a 8296 abitanti, aumenterà, anno dopo anno, sino a tendere ai 10.000 abitanti.

Anche a Belvedere l’immigrazione costituisce un problema; non c’è, infatti, vera integrazione tra noi, nati in Italia, e le comunità straniere che lavorano e vivono nel nostro Paese.

Eppure non sono pochi: senza contare i soggiornanti non comunitari e coloro che hanno acquisito la cittadinanza italiana, Belvedere ospitava, alla data del 10 settembre 2013, 94 cittadini rumeni, 40 bulgari, 19 polacchi e altri di nazionalità diversa per un totale di 169, in maggioranza donne (105 per la precisione, pari al 62%).

Eppure alle loro cure affidiamo i nostri genitori, i nostri nonni.

Ciò nonostante è raro incontrare queste persone nelle feste, negli eventi sportivi, nelle manifestazioni pubbliche.

Dobbiamo trarre ispirazione, nei nostri comportamenti quotidiani e nelle politiche istituzionali, dalle culture sulle quali è stata edificata la civiltà europea dopo la seconda guerra mondiale: il cattolicesimo sociale, il socialismo democratico, il liberalismo, culture che non sono disponibili ad assecondare pulsioni xenofobe e tentazione razzistiche.

Già all’inizio del 1941, il Presidente degli Stati Uniti d’America, F.D. Roosevelt, tenne un celebre discorso in cui indicò le quattro libertà fondamentali: non solo la libertà “di”, ma anche la libertà “da”: non solo libertà di culto e di parola, ma anche libertà dalla paura e dal bisogno.

E le Costituzioni dei Paesi europei, scritte nel dopoguerra, si ispirarono a quei principi e sancirono, come in Italia nell’art.3, la volontà di intervenire per “rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Gli anni che vanno dalla fine della seconda guerra mondiale al 1979-1980 furono definiti dal grande storico Eric Hobsbawm, i “30 anni d’oro”.

Attraverso un sistema fiscale proporzionale e fortemente progressivo (anche in questo caso ci viene in soccorso Papa Francesco che nella sua esortazione apostolica ha condannato l’evasione fiscale come un peccato contro il prossimo) parte del reddito prodotto veniva trasferito dal decile più ricco della popolazione ai ceti medio bassi, in particolare nell’Europa centro-settentrionale.

I Governi in tal modo garantivano l’inclusione e l’integrazione, limitando le disuguaglianze sociali.

Nei 30 anni gloriosi si operò una scelta di civiltà: il disoccupato, il povero, l’immigrato non furono considerati inferiori.

Elmut Kohl, il cancelliere tedesco, in una famosa seduta del Bundestag, per contrastare la latente avversione nei confronti degli immigrati, ebbe a dire: “se domani partissero tutti gli stranieri, la Germania si fermerebbe, dagli ospedali alle fabbriche, dagli alberghi alla nettezza urbana, dai trasporti al commercio, dall’agricoltura alla pesca”.

Anche in Italia, anche a Belvedere dobbiamo essere consapevoli che i lavoratori stranieri non rubano il posto agli Italiani, coprono fette di mercato che altrimenti resterebbero scoperte.

Se ne sono accorti tanti anziani; ce ne siamo accorti tanti figli che non ce la saremmo potuti cavare senza badanti rumene, bulgare, polacche.

In quegli anni in Italia si registrarono tassi di crescita mai più realizzati, soprattutto negli anni della ricostruzione post-bellica e del cosiddetto “miracolo economico” (1958-1963).

Quel miracolo fu reso possibile anche dal sacrificio di tanti Italiani sparsi nel mondo, che nel cercare alloggi trovavano la scritta umiliante “non si affitta agli Italiani”.

Erano gli anni in cui l’Italia esportava uomini in cambio di carbone e accadevano tragedie immani come a Marcinelle, in Belgio, quando l’8 agosto del 1956 morivano 262 minatori, di cui 136 Italiani.

Anche Belvedere conobbe le lacerazioni sociali e umane che accompagnano sempre i fenomeni migratori.

L’analisi demografica condotta sulla popolazione belvederese tra il 1951 e il 2011, mostra come negli anni del “boom economico” il movimento migratorio abbia assunto i caratteri di un vero e proprio esodo di massa: tra il 1960 e il 1961 circa 1500 Belvederesi lasciarono il nostro Paese e la popolazione in due anni passò da 10.472 abitanti a 8882.

Con le crisi petrolifere del 1973 e del 1979, che provocarono un aumento dei costi dell’energia e delle materie prime, con l’adeguamento dei salari italiani a quelli medi europei, il PIL cominciò a registrare tassi di crescita sempre inferiori e, in coincidenza con l’ascesa di Reagan alla Presidenza degli USA e della Thatcher in Inghilterra, hanno inizio i “30 anni ingloriosi” del liberismo senza regole, del “mercato divinizzato” per usare un’altra espressione di Papa Francesco.

All’insegna delle nuove parole d’ordine: “meno Stato, più mercato”, “privato è bello”, i governi abdicarono alle loro funzioni di decisori delle grandi scelte economiche e di redistributori della ricchezza: i ricchi sono diventati più ricchi, i ceti medi si sono impoveriti, i poveri sono diventati sempre più poveri, anche a causa della contrazione dei salari provocata dall’offerta di manodopera a basso costo proveniente dall’Est europeo.

Le diseguaglianze sociali sono aumentate (la differenza salariale tra un operaio e un dirigente, che precedentemente era stata di 1 a 20, passa a un rapporto di 1 a 400).

Padre Alex Zanotelli denunciava, in occasione del conferimento della laurea honoris causa a Bari, l’assurdità di un mondo in cui 300 famiglie posseggono l’equivalente del PIL di 43 Stati africani, di un mondo in cui 1 milione di neonati muore nel primo giorno di vita.

Nel corso degli anni che vanno dal 1979-1980 al 2007, dalle politiche inclusive si è passati all’esclusione.

Il rischio di malattia, disabilità, disoccupazione, povertà, l’emigrazione sono ridiventati una vicenda privata.

Il trentennio vissuto all’insegna del privato, del mercato senza regole, ha avuto effetti disastrosi sulla protezione sociale: milioni di Italiani vivono oggi in condizioni di povertà relativa, altri sono considerati poveri assoluti, cioè non riescono ad acquistare i generi alimentari di prima necessità o i farmaci di cui hanno bisogno.

I 30 anni ingloriosi hanno avuto conseguenze negative sull’economia: il trasferimento di ricchezza dai ceti medio-bassi a quelli più ricchi ha ridotto i consumi di massa, generando, a partire dal 2007-2008, una crisi di sovrapproduzione e una disoccupazione di massa nella quale ancora ci dibattiamo.

La crisi ha colpito maggiormente gli stranieri:

- perché le loro famiglie guadagnano in media il 56% di quanto guadagna una famiglia italiana;

- perché sono quasi sempre monoreddito;

- perché hanno figli piccoli;

- perché i lavori in cui si sono impiegati riguardano settori, come l’edilizia, in cui la crisi ha colpito più duramente: infatti il tasso di disoccupazione (14%) è aumentato di due punti percentuali nell’ultimo anno, coinvolgendo 382.000 persone e superando di 4 punti quello degli Italiani; mentre in 13 famiglie su 100 non è presente alcun occupato.

La crisi ha colpito gli stranieri non solo sul lavoro, dove il 41% è sottoinquadrato, dove è diffuso il lavoro nero, soprattutto in agricoltura, tanto da scatenare, nell’estate scorsa, il boicottaggio dei nostri prodotti agricoli, dove molto elevata è l’incidenza degli infortuni (15.9%) (senza contare gli infortuni non denunciati, che secondo l’INAIL sono oltre 160.000 ogni anno).

La crisi colpisce gli stranieri sugli affitti che incidono sul loro reddito per il 40% (per gli italiani meno del 30%) che trovano con difficoltà e spesso nelle aree più degradate, con contratti non sempre regolari.

La crisi colpisce gli stranieri nella sanità (sono soltanto sei le regioni che si sono impegnate ufficialmente a superare le disuguaglianze di accesso degli immigrati ai servizi sanitari).

Li colpisce nella scuola (dove sono carenti gli interventi di sostegno per l’apprendimento della lingua italiana), nello sport dove si riscontrano, sempre più frequentemente, atti di discriminazione (699 episodi di razzismo nel campionato di calcio 2012-2013).

Oggi che si colgono i primi timidi segnali di ripresa economica, vogliamo riproporre il modello di sviluppo neoliberista che ha provocato la crisi del 2007?

Il Papa, incontrando a Cagliari i lavoratori dipendenti e i cassintegrati, invita ad uscire dagli scenari del pensiero unico.

Muove una critica fortissima contro la globalizzazione che mette al centro “l’idolatria del denaro”, “l’antico vitello d’oro”.

Dice, testualmente: “Non vogliamo questo sistema economico globalizzato che ci fa tanto male”-

Nell’esortazione apostolica parla della dittatura di una economia senza scopo umano “che uccide” perché prevale “la legge del più forte”, che ha creato la cultura dello “scarto” con gli esclusi, che non “sono sfruttati ma rifiuti, avanzi”.

Bisogna pensare ad un nuovo modello di sviluppo ch rinunci “all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredisca le cause strutturali della inequidad”.

C’è bisogno di un nuovo modello di sviluppo che ponga al centro la persona, in cui il possesso privato dei beni si giustifica solo “se servono meglio al bene comune”, una società inclusiva che non è solo un’espressione metaforica.

Il Papa, visitando un centro per gli immigrati, ha detto parole impegnative: “Aprite con coraggio i conventi chiusi alla solidarietà”, “I conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e fare soldi”.

Ha aggiunto che le iniziative di accoglienza e integrazione hanno bisogno di supporti economici che dovranno essere il frutto di una vita più sobria e fraterna.

Il che significa una redistribuzione del reddito dai più ricchi ai più poveri, meno consumi superflui, meno spese improduttive (non si possono spendere 1.752 md di euro per armamenti; solo in Italia 26 md nel 2012).

Ciò significa maggiori investimenti nella formazione, nei beni culturali, nella ricerca, nella prevenzione dai rischi idrogeologici e sismici, nelle fonti energetiche alternative.

Una crescita ecosostenibile, unitamente al taglio delle spese superflue libererà maggiori risorse per l’integrazione.

Dobbiamo convincerci, infatti, che l’immigrazione è anche un valore economico: nel 2011 gli introiti dello Stato, derivanti da tasse e contributi previdenziali pagati dagli immigrati, sono stati pari a 13.3 md di euro; le uscite sostenute, peraltro non per l’integrazione ma per interventi di contrasto o di gestione dei flussi, sono state 11.9 md di euro, con una differenza in positivo pari a 1.4 md.

Altri luoghi comuni bisogna sfatare:

- non è vero, come è stato ampiamente dimostrato, che “rubano il posto agli Italiani”: svolgono mansioni che gli Italiani non accettano svolgere;

- non è vero che con l’arrivo degli immigrati sono aumentate le devianze: gli stranieri regolarmente presenti hanno un tasso di criminalità inferiore a quello degli Italiani.

Se liberiamo le nostre menti da questi pregiudizi possiamo intraprendere un cammino virtuoso.

La Coop. Soc. “Ben-essere”, contando sulla collaborazione dell’associazionismo laico e cattolico, intende attuare alcune iniziative, già sperimentate in Italia, come le cene multiculturali, le feste etniche ma, soprattutto, intende attivare alcuni servizi per favorire il processo di integrazione: uno Sportello per gli immigrati, un Laboratorio creativo per bambini, un sostegno per la partecipazione ad attività sportive, corsi di alfabetizzazione.

Non sarà facile riabituarsi all’integrazione ma la Calabria è da sempre una terra di accoglienza; da quando era terra di insediamenti per popolazioni provenienti da altri Paesi o Continenti ( Brezi, Greci, Romani, Arabi..).

Noi eravamo abituati a vivere fra diversi e a integrarci fra diversi.

Dobbiamo riabituarci, con la consapevolezza che “vivere insieme fra diversi è una cosa normale, non il frutto della bontà di qualcuno”.

In tal senso ci può aiutare una storiella che circola tra coloro che si occupano di integrazione: è la storia di un bambino italiano che ha, tra i suoi compagni di classe, un bambino nero.

Mostrando al padre una foto di gruppo, si sente chiedere: “ Come si chiama quello?”. E il figlio: “Chi? Quello nero?”.

Dopo qualche tempo il bambino mostra un’altra foto al padre. E’ con i suoi compagni di classe che gioca a calcio.

E il padre, indicando sempre il bambino nero, chiede: “Come gioca quello?”. Il figlio questa volta rispose: “Chi, quello con il maglione rosso?”. Riccardo Ugolino - 13.01.2014

Sintesi della relazione tenuta al convegno del 4 gennaio 2014:

“Il valore dell’integrazione. Incontro con gli immigrati”, organizzato dalla Coop. Soc. “Ben-essere” e dalla Parrocchia Maria SS del Rosario di Pompei

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