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le troppe distorsioni da correggere PDF Stampa E-mail
Scritto da mauro d'aprile   
Lunedì 18 Novembre 2013 17:49

Più sollecitato che animato, mi accingo a ricomporre, negli esclusivi interessi della Città, alcune distorsioni apparse anche sugli organi di stampa ed in qualche intervista concessa, inopinatamente, sul recente ritrovamento di ossa umane in un punto preciso della Città:

nel Centro Storico in prossimità della Chiesa di S.Nicola Magno, sino agli anni 50 del Novecento, la Chiesa Parrocchiale principale, storicamente la più importante di Belvedere e non solo.

E certamente non c’è da meravigliarsi se in molti e nei più, venendo meno con gli anni la memoria dei pochi anziani ormai rimasti, perfino un ricordo di appena 60 anni fa, sbiadisce e si disperde, nell’oblio. E questo, soprattutto, quando non si nutre l’amore per la propria storia e la propria Città.

Per nostra fortuna il ruolo di raccoglierne i cocci, soprattutto nel caso specifico, trattandosi di Storia della Nostra Chiesa, è toccato al quanto mai utile Don Cono Araugio, Parroco nel nostro Centro Storico, la cui permanenza in appena un decennio, è servita a svegliare le coscienze, nel tentativo, non semplice, di riscoprire, far conoscere e tessere una attendibile, fondata, seria Storia di Belvedere. Una Storia la nostra,  nel corso degli anni sporadicamente intuita, ma mai culturalmente spiegata. E, in sincerità, non difettando il nostro carattere Belvederese di superficialità ed ingiustificata arroganza, per impostazione alla facile vanteria, rischiamo, anche questa volta, come per tutte le cose  importanti  che ci hanno civicamente  riguardato, non solo la solita stigmatizzazione, ma anche delle approssimazioni, che ci producono seri danni.

Nel libro di Don Cono, Bellumvidere, la circostanza dell’esistenza della Chiesa di San Nicola e della sua importanza è suffragata da documenti, conservati in Parrocchia, rapportati anche ad una nutrita e specifica documentazione con la Sede dell’Arcivescovado. Per la vicenda specifica alla quale è andata incontro questa Chiesa, quella di Don Cono, è al contempo una “coraggiosa” denuncia dei fatti e degli eventi che l’hanno riguardata: la incapacità del Popolo Belvederese a comprendere il valore della struttura di una chiesa dedicata San Nicola Magno, soggiogato per questo da un ignorante notabilato dell’epoca che ha sottratto alla ricchezza della Città il luogo sacro più  prezioso dal punto di vista storico e spirituale, se è vero come è vero che questa insieme alla vicina Chiesa di San Giacomo racchiudesse i reliquari degli splendori delle nostre origini. (Sindaco, la Chiesa di San Nicola non è mai crollata). Essa è incorporata, ancora intatta nella sua funzione portante, nell’attuale Asilo Infantile. Depredata dei suoi averi, di altari in pietra, di campane preziose datate intorno al Mille o giù di lì, sbiancata anche dell’immagine di San Daniele, raffigurato all’interno quale Sacerdote Secolare ancor prima di essere insignito in Eboli direttamente da San Francesco del Saio de Minimi, dismessa a vantaggio della Madonna delle Grazie quale Prima Parrocchia di Belvedere, è stata parzialmente demolita prima all’inizio secolo della parte esterna antistante di un sagrato sotto il quale sono state ritrovate le ossa, e poi anche di un arco Normanno, attestante la tipologia costruttiva di un sistema tipico di questa influenza. Tale orrenda decisione venne assunta, alle spalle di una popolazione assente ed accondiscendente per via di percorsi iloti e di miseria, condivisa da qualche predecessore Parroco, con la sola forte opposizione di Don Erminio, che dei Padri Eremiti Orientali ha scritto fiumi di libri.

Come se non bastasse, proprio perché insoddisfatto dell’approfondimento di Don Cono, avendo io per fortuna memoria visiva, mi accinsi a riscrivere la Storia della Città, volendo dare giustezza, senza spirito di parte e senza enfasi, ai vantaggi delle nobili influenze che ci hanno interessato, ma anche alle negatività di vicende, non sempre piacevoli. E la riscoperta odierna delle ossa, conferma quella mia determinazione precisa di avvolgere San Nicola Magno, insieme a San Giacomo, quali “cenobi” reimpostati nei secoli, prima Longobarde, poi Normanne. L’importanza dei ritrovamenti, è comunque fatto rilevante, perché non solo ribadisce la esistenza di un luogo di culto, la cui memoria a molti di noi risulta dall’adolescenza (ancora in giro ci sono le tessere della Azione Cattolica nella cui Sagrestia praticavamo), ma perché, comunque dovesse essere la loro datazione, a seguito le analisi al carbonio, fissa in modo incontrovertibile che quell’area del Centro Storico resta la più importante  e se si vuole la più simbolica della Nostra Storia.

E’ da me lontano qualsiasi ipotesi propagandistica al mio libro, e non è un caso che ancora appositamente ne ritardo la presentazione, pur avendolo dato in distribuzione, per suscitare almeno le curiosità generali e far scaturire nuove domande per nuove e precise risposte, ma ritengo che una attenta lettura delle pagini riguardante specificatamente l’argomento allevi l’onere di alcune lapalissiane imprecisioni:

Esempio tipico di Motta Normanna con Torre (Mastio) su terrapieno artificiale. Doppio Salto con cortina muraria di cinta su fossati a protezione degli slarghi strategici dove veniva attratto il nemico, facile bersaglio dall’alto. I Fossati vengono superati da passerelle in legno e conducono alla gradinata di accesso al Mastio.

Nel caso di Belvedere il terrapieno non si è reso necessario per la connotazione naturale del terreno in roccia calcarea, degradante tra le zone dell’altopiano di Piazza Castello e Porta di Mare.

La collina del Belvedere offre, tutto insieme, alcuni vantaggi per concepire un’opera difensiva ai fini del controllo strategico del territorio amministrato, in linea con le soluzioni costruttive, diventate canoniche, come l’uso del costruire la torre principale direttamente sulla roccia, lo spessore murario compreso fra 1,40 e 1,60 metri, l’utilizzo di pietra da taglio solo nei cantonali e nelle aperture, la porta di acceso al Mastio ricavata al piano nobile, lo scavo di cisterne per la raccolta di acqua piovana sotto i locali di ingresso.

Per i casi esaminati  1) Motta 2) Castellum resterebbe in pregiudicato la posizione del Mastio da identificarsi nella attuale proiezione sottostante Palazzo Arena-Rogati-Vivona Rachele, posto immediatamente al di sotto del postumo Castello, Angioino prima, Aragonese poi, con ingresso e vista su S.Nicola Magno (oggi in parte Asilo del Sacro Cuore) e S.Giacomo (allora ridotto), già presenti quali presidi di di culto bizantini.  Le attuali gradinate fra Palazzo Nastri e la Chiesa di San Giacomo ricalcano il tracciato di quelle interessanti il collegamento diretto dell’epoca fra il Mastio e il primo salto.

Nel Belvedere il primo salto (bordato da cortina muraria su fossato, come nell’immagine del tipico) segue l’andamento del terreno e corrisponde al taglio di “faglia geologica” che lungo il Corso della Piazza attraversa il Centro Storico da Nord- (casa di Pilerio la Rotonda), a Sud- (Cappella S.Francesco in S.Maria del Popolo).

Si tratta semplicemente di congiungere, sulla aerofotogrammetria del Centro Storico, il basamento dell’attuale Cappella di S.Francesco, in  S.Maria del Popolo, con Palazzo Ferraro.

La retta che unisce i due capisaldi storici del Castello Angioino -Aragonese e i ruderi di Porta di Mare (vedi foto allegata) si viene così a trovare in asse, quasi simmetrico, ai salti ed alle intuibili “vallate”,  in parte ancora oggi visibili (Slargo Cascini-Eredi Leo Servidio Franz-  Forno). Uno spazio, questo, in cui acquistano significato i tracciati  quasi rettilinei delle due odierne strade principali, nella cui mezzeria si  delineava l’unico tracciato funzionale del sistema Normanno che conduceva alla gradinata del Mastio. Il Secondo Salto ricade in prossimità dell’attuale Slargo fra i Palazzi Nocito- Martorelli-Spina.

Alla metà del X secolo, l’attuale superficie (detta del “Praio”) su cui é posizionato il Castello Aragonese, era un ammasso compatto di roccia calcarea, ad andamento, quasi pianeggiante a quota dell’attuale imposta castellaria, con conseguente caduta a picco verso (Est) Montea, divenendo la naturale difesa della stessa Motta, così come in seguito anche per il Castello. Resta superfluo, oltremodo precisare, che il sistema descritto garantiva i coni visuali di osservazione,  presentandosi all’epoca con roccia denudata da fabbricati e vegetazione, se non quella ai margini del pendio.

Rettangolare, accessibile al piano terra, gettante sul piede senza scarpata (la roccia assicurava tenuta), il Mastio, inoltre, era interessato da un vicino-prossimo collegamento dalla attuale scarpata di Casa Leo Giuseppe, al tetto di S.Nicola Magno, posta frontalmente, con ponte a tutto sesto, con evidente funzione di trasporto acqua piovana, dal tetto della Chiesa, alla cisterna di raccolta del Mastio. L’arco apparteneva alla Chiesa e non poteva avere altra funzione. Questo sistema, tipico Normanno, è rimasto visibile, fra le due strutture segnalate fino negli anni 50 del XIX° secolo, successivamente demolito, insieme all’atrio d’ingresso della Chiesa.

Il Mastio con primo piano nobile, nelle epoche successive ancora ampliato, restava circoscritto nell’attuale proiezione di facciata, con spessori murari corrispondenti agli standard, visibili nella ex Bottega Castellano, e pari profondità, ancora demarcata dalla differente tipologia  muraria, visibile  nei Vicoli I° e II° di Castel Ruggero. La struttura appartenuta alla nobile famiglia Palermo, andò incontro a crollo parziale in seguito al sisma del 1783.

Chi scrive ed i contemporanei ricordano perfettamente la Chiesa di San Nicola Magno, perché cresciuti nell’Azione Cattolica della stessa (dal libro Dal Tirone allo Scalone ed oltre...Belvedere Marittimo Storia di una Città). Mauro D’Aprile - 18.11.2013

 

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