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oltre la crisi. Dall'austerità alla crescita PDF Stampa E-mail
Scritto da riccardo ugolino   
Lunedì 23 Settembre 2013 14:41

Nonostante i dati macroeconomici siano ancora negativi (nel secondo trimestre il PIL registra uno 0,3% in meno congiunturale e un 2,1% in meno tendenziale, l'Italia scende dal 42° posto al 49° nella classifica delle economie più competitive del pianeta, i consumi anche alimentari sono tornati agli anni '60,

il reddito disponibile della popolazione è pari a 1.032 MD di euro, inferiore a quello di cui poteva disporre nel 1988, cioè 25 anni fa, le persone a rischio di povertà e esclusione sociale costituiscono circa il 30% della popolazione, una percentuale inferiore solo alla Grecia ) “l'Italia può uscire dalla recessione”, come ha dichiarato a Cernobbio, nel FORUM AMBROSETTI, il ministro dell'economia Saccomanni. Anche il Centro Studi della Confindustria condivide il cauto ottimismo del ministro: il PIL fermerebbe la propria discesa nel quarto trimestre del 2013 e registrerebbe uno 0,7 in più nel 2014(la Confesercenti prevede l'1% in più), gli investimenti aumenterebbero dell'1,2%, come le esportazioni di beni e servizi, e i consumi delle famiglie residenti registrerebbero uno 0,5% in più. Ma per evitare che ulteriori tagli lineari alla spesa pubblica e un'ulteriore pressione fiscale sui ceti medio-bassi, soffochino questi timidi segnali di ripresa, bisogna convincersi:

a) che la ripresa non deve avvenire riproponendo lo stesso modello di sviluppo affermatosi nei “30 anni ingloriosi”, come gli storici definiscono il periodo che va dall'avvento della Thatcher e di Reagan (1979-1980) alla crisi del 2007,

b) che la crescita non potrà avvenire riducendo drasticamente la spesa pubblica, con misure di cieco rigore, e, soprattutto, senza introdurre elementi di equità sociale, come è avvenuto negli ultimi 5 anni.

In altri termini non si può guarire da una lunga malattia utilizzando per la cura gli stessi rimedi che l'hanno prodotta o aggravata:

1) saccheggio delle risorse ambientali non riproducibili,

2) dimagrimento dello Stato sociale con tagli ai servizi, alla ricerca, all'istruzione,

3) allargamento della forbice tra il decile più povero e quello più ricco della popolazione (nell'ambito dei Paesi OCSE l'Italia è tra i paesi più disuguali, sia in riferimento al reddito che al patrimonio).

Più precisamente, occorre superare il neoliberismo, imposto negli ultimi 30 anni dal “pensiero unico” della Scuola di Chicago e dalle politiche della Thatcher e di Reagan che sono all'origine della crisi attuale, la più grave dopo la “grande depressione” del '29, crisi dovute, entrambe, alle forti disuguaglianze sociali e all'idolatria del mercato. Oltre a cambiare il modello di sviluppo (il benessere non si misura solo in PIL ma con la qualità della vita), occorre superare le politiche di austerità (termine che oggi evoca sofferenza, come confessa il Presidente del FMI), politiche imposte all'Europa in nome del neoliberismo e che hanno messo in ginocchio la Grecia, Cipro, la Spagna, hanno impoverito l'Italia, hanno fatto emergere un crescente senso di malessere nei confronti dello stesso processo di costruzione dell'Europa. Il governo Letta non ha segnato una cesura netta con il trentennio liberista: basti pensare all'abolizione dell'IMU, anche sulle abitazioni più prestigiose, che costituiva la sola forma di tassazione del patrimonio e il contestuale aumento dell'IRPEF, provvedimento che è stato aspramente criticato dallo stesso Mario Monti, pure liberista e liberale per formazione. Non stupisce, considerata la variegata base parlamentare del suo governo. Ma se Letta avrà superato indenne lo scoglio Berlusconi, non potrà appiattirsi sulle posizioni del PDL. L'Austerità sarà anche un valore, ma nel significato nobile che Berlinguer attribuiva all'espressione: oggi in cui si parla di decrescita, di spreco zero, di nuovi parametri per misurare il benessere di un Paese ( non più solamente la quantità di beni e servizi prodotti, il PIL, ma anche la qualità della vita), il pensiero di Enrico Berlinguer appare profetico.

E poi necessitano politiche Keinesiane di investimenti pubblici nella messa in sicurezza del territorio, nella valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, quindi del turismo, nella formazione, nella scuola, nella ricerca, nel recupero del patrimonio edilizio esistente, che nei Centri Storici riveste anche un'importante valenza culturale, nell'agricoltura di qualità (la Confederazione italiana degli agricoltori ci informa che a fronte di una riduzione del 4% dei consumi alimentari convenzionali, nel corso del 2013 i prodotti bio sono cresciuti dell'8%).

Necessitano misure di equità sociale con l'introduzione di un reddito minimo di cittadinanza come avviene in gran parte dei Paesi dell'U.E. Per far fronte all'aumento della spesa pubblica,che comunque a medio termine sarebbe compensata dall'aumento delle Entrate fiscali grazie all'allargamento della base occupazionale, è indispensabile una più incisiva lotta all'Evasione Fiscale, come peraltro ci sollecita l'Unione Europea. Questi argomenti dovranno essere considerati prioritari non solo dal Parlamento ma anche dagli amministratori regionali e locali e dovranno, altresì, essere posti al centro del dibattito congressuale del PD.

Anche a Belvedere, che si avvia alla campagna elettorale per l'elezione del Sindaco e per il rinnovo del Consiglio Comunale, bisogna superare il liberismo senza regole che ha contrassegnato gli ultimi vent'anni, con l'eccezione dell'amministrazione D'Aprile. Bisogna rivisitare e riqualificare la spesa pubblica: oggi per incarichi legali si spendono annualmente 100.000 euro, per energia si spendono più di 500.000 euro ( si potrebbe risparmiare la metà con impianti più efficenti e a basso consumo). I tributi comunali devono essere commisurati alla capacità contributiva dei cittadini, rendendo più incisiva la lotta all'evasione che consentirebbe ai contribuenti di pagare meno e all'Amministrazione di investire nella tutela dei beni culturali, nella valorizzazione del paesaggio rurale, nella riqualificazione del turismo. Io penso che il cambiamento è possibile, che Belvedere può risalire la china del baratro nel quale è precipitata, a condizione che le forze migliori del Paese siano disponibili a rinunciare alle proprie ambizioni, anche legittime, e a mettersi al servizio di una grande causa: la rinascita economica, sociale e culturale del Paese. Riccardo Ugolino - 23.09.2013

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