l’informazione, quale servizio pubblico? |
Scritto da mauro d'aprile | |||
Martedì 02 Luglio 2013 11:33 | |||
L’articolo di oggi sul Sole 24 Ore di Marco Fortis dal titolo “Quel Cuneo sulla Ripresa” risulta confortevole per tutti coloro che del Sistema Paese hanno una conoscenza induttiva per approfondimenti quotidiani di analisi e lettura di dati statistici,
di comparazioni di giudizi, diversamente da quanti sedimentano così tanto i luoghi comuni dell’imbecillismo televisivo che, nella rincorsa a fare ascolto per la propria sopravvivenza, distorce spudoratamente la verità con sempre più “volgari” e superficiali servizi.
Auspicando che quanto annunciato dal Ministro del Lavoro Giovannini, circa la possibilità che il Governo interverrà sul cuneo fiscale, trovi conferma, il giornalista definisce, questo intervento, un bisogno dell’Italia per valorizzare la propria competitività, il cui potenziale è assai più elevato di quanto comunemente si creda.
Anni di capziosi dibattiti sulla competitività dell'Italia, amplificati dai mas media con approssimazione e superficialità, hanno decantato giudizi sbagliati sul nostro Paese da generare sfiducia e alterare qualsiasi corretta percezione della capacità delle nostre imprese di presidiare con successo i mercati internazionali, vecchi e nuovi. Perciò nella manifattura (dove in realtà siamo secondi solo alla Germania nel mondo occidentale per surplus con l'estero) sembriamo o veniamo considerati dei "brocchi" assoluti; idem nel turismo (dove invece siamo primi in Europa per pernottamenti di turisti extra Ue); e siamo giudicati delle "nullità" anche nell'agricoltura (dove invece il solo Mezzogiorno d'Italia ha un valore aggiunto agricolo quasi uguale a quello dell'intera Germania).
A dispetto di qualunque progresso, l'Italia viene identificata ormai quasi automaticamente come il modello perfetto del fallimento e del declino economico. E si è confusa erroneamente la bassa crescita del Pil italiano con una mancanza (non vera) di competitività esterna, essendo le cause della crescita anemica complessiva del nostro Pil da ricercarsi invece nella debole dinamica del mercato interno, nella scarsa liberalizzazione dei mercati domestici (soprattutto dei servizi), nelle inefficienze e pesantezze della burocrazia e, da ultimo, anche negli assurdi eccessi delle politiche di austerità applicate in rigido ossequio ai dettami europei.
Il bello è che siamo stati noi stessi italiani, con il tradizionale eccesso di disfattismo che ci caratterizza, a rappresentarci ripetutamente come una economia non competitiva agli occhi del mondo. Sicché poi non dobbiamo stupirci se all'estero hanno cristallizzato questa visione negativa dell'Italia, trasformando i semplici luoghi comuni nostrani in veri e propri dogmi universalmente accettati.
Ebbene, di fronte a simili giudizi superficiali e sbagliati, il Governo italiano dovrebbe inoltrare ufficialmente una nota di protesta verso Bruxelles, perché i rapporti della Commissione europea influenzano le opinioni dei governi dei Paesi partner, delle stesse istituzioni europee ed internazionali, degli investitori, delle banche, delle agenzie di rating e dei mercati. E poi ci lamentiamo se lo spread è alto e se all'estero pensano che l'Italia è ad un passo dall'essere come la Spagna o la Grecia?
Sia chiaro: fanno bene le associazioni produttive, a cominciare da Confindustria, a chiedere che siano rimossi i numerosi ostacoli del sistema-Paese che frenano la competitività delle imprese: su tutti, l'eccesso di burocrazia, il caro energia e l'alta imposizione fiscale su chi intraprende e lavora. Ma ciò non toglie che le aziende del "made in Italy" il loro dovere sui mercati mondiali lo hanno fatto e lo stanno facendo tutto fino in fondo. E non è di sicuro per demerito delle imprese esportatrici se il Paese cresce poco.
Inoltre, lo scorso anno su 94 miliardi di euro di surplus manifatturiero con l'estero, l'Italia ne ha generati ben 76,4 (cioè oltre l'80% del totale) con macchine e apparecchi, elettrotecnica, mezzi di trasporto diversi dagli autoveicoli, prodotti in metallo e articoli in gomma e materie plastiche: dunque non certo con beni tradizionali simili a quelli esportati dai Paesi emergenti.
Il cavallo del mercato domestico purtroppo non beve ma quello estero sì. Figuriamoci che cosa potrebbe fare di più in termini di export un sistema manifatturiero come quello italiano (spingendo così l'anemica crescita del Pil) se finalmente il Governo si decidesse a schiacciare il pedale giusto dell'acceleratore, riducendo cioè il costo del lavoro e cominciando proprio dalle imprese esportatrici. Mauro D'Aprile - www.lorizzonte.net - 02.07.2013
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