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22 giugno: assassinio mafioso di Giannino Losardo PDF Stampa E-mail
Scritto da prc circolo di bonifati   
Martedì 25 Giugno 2013 07:08

Il 22 Giugno dovrebbe essere dichiarato da Mario Oliverio lutto cittadino in tutto il Tirreno Cosentino,

in tutti gli uffici pubblici dare disposizione di abbrunare la bandiera nazionale e le attività commerciali ed edili fermarsi per alcuni minuti e soprattutto le sirene dei pescherecci a Cetraro e San Lucido dovrebbero stridere tutte assieme.

Contemporaneamente il Vescovo Bonanno dovrebbe far rintoccare le campane di tutti i suoi Parroci del Tirreno che praticamente mai parlano di ‘ndrangheta dai loro pulpiti, anche perche’ probabilmente non conoscono la storia di Giannino Losardo.

Il 22 Giugno del 1980 moriva il già Sindaco Comunista (nonche’ Segretario Capo della Procura di Paola) Giannino Losardo che alcune ore prima era stato letteralmente fucilato da alcuni delinquenti della cosca mafiosa che controllava all’epoca il commercio del pesce e la speculazione edilizia e successivamente anche il traffico degli stupefacenti in armonico accordo con le altre mafie a nord ed a sud del Tirreno Cosentino.

Invece sul mare dei cosentini il 22 Giugno nulla si è fermato, tantomeno a Cetraro, Bonifati e Verbicaro dove si sono tenute le manifestazioni, peraltro completamente scoordinate fra  di loro, tanto da creare forte imbarazzo in alcuni relatori (in particolare del PD) che hanno disertato all’ultimo momento spesso senza spiegazioni.

Addirittura a Cittadella nell’arco di duecento metri dalla manifestazione in piazza Losardo si tenevano tre raduni enogastronomici all’insegna di Raul Casadei e Raffaella Carrà e qualunquismo imperante, altro che giornata di lutto e riflessione sul fenomeno mafioso.

Perdipiù fra Paola e proprio Bonifati nei mesi di maggio e giugno 2013 sono stati perpetrati una serie di attentati politico-mafiosi per i quali nessuna istituzione politica ha pensato di interpellare con fermezza quella immobile Procura di Paola che in 33 anni ancora non ha individuato mandanti ed esecutori del feroce assassinio politico-mafioso del suo Segretario Capo.

Certamente la sensibilità antimafia sul Tirreno Cosentino è ormai minima se in un giorno tanto luttuoso si indicono banchetti e raduni di ballo liscio e deve farci riflettere se alle tre nobilissime manifestazioni per l’eroe Losardo non presenziassero se non poco più di un centinaio di cittadini.

Dobbiamo riflettere sull’efficacia delle fondazioni, dei premi, delle intitolazioni, se poi le Istituzioni non si mobilitano in modo totale e permanente contro il fenomeno mafioso.

Bisogna riflettere sulla triste constatazione che, come ha sottolineato più volte l’Avvocato Rodolfo Ambrosio – allievo del Senatore Martorelli parte civile nel peraltro inutile processo Losardo -, i beni confiscati non vengono richiesti dai Comuni del Tirreno.

L’educazione alla legalità nelle scuole del Tirreno Cosentino va fatta direttamente ed esplicitamente sull’insegnamento riguardante la figura di Giannino Losardo, cioè sulla ‘ndrangheta che ancora ferma lo sviluppo economico e quindi sociale di questi martoriati 100 km di costa.

La cosiddetta politica deve e può richiedere la riapertura delle indagini sull’assassinio di Giannino Losardo, nostro eroe della lotta alla mafia.

Martorelli dimeniticato

E ci fa arrabbiare molto che nessuno voglia più minimamente parlare di Francesco Martorelli di cui è stato anche disperso in una bibliotecuccia di paese lo straordinario patrimonio documentario già assegnato formalmente e solennemente alla Biblioteca giuridica “Tarantelli” dell’Università della Calabria, dove può e deve in tempi brevi essere collocato a disposizione di tutti e soprattutto con la consulenza di alto valore che l’UNICAL può garantire a studiosi e semplici cittadini. Circolo Prc di Bonifati - 22.06.2013

 

Se il povero Giannino Losardo è morto di polmonite di Eugenio Furia

«Altrimenti, l'anno prossimo in un nuovo anniversario dell'omicidio di Giovanni Losardo si dichiarerà che il nostro compagno è morto di polmonite, chiedendo scusa per il referto sbagliato di venti anni fa»: il ventennio paventato da Francesco Martorelli – “Ciccio” per chi ancora oggi lo ricorda con affetto, a quasi 5 anni dalla scomparsa – non s'è ancora concluso, dunque tutto è possibile. “Il senatore” scriveva questo nel luglio del 1999. Uomo di legge e di ottime letture ma con la propensione alla battuta icastica e al sorriso che d'improvviso gli si spalancava in volto rendendo gli occhi due fessure, l'avvocato aveva visto lungo. Come sempre. E all'orizzonte aveva scorto l'insidiosa palude del revisionismo storico-giudiziario.

Per il «povero Giannino», così spesso definiva il comunista assassinato nel giugno del 1980 «dalla 'ndrangheta» – perché Martorelli non era certo uomo da mezze parole –, il rischio “damnatio memoriae” è sempre stato dietro l'angolo. Proprio nella sua Cetraro. «Vogliono rimuovere anche la memoria», ammoniva Ciccio Martorelli quando, nel 2002, si parlava di cacciare – la brutalità del termine è voluta – da piazza del Popolo la statua eretta in ricordo di Losardo. «Questo gesto, se si verificasse, sarebbe indegno come la distruzione del campo di Ferramonti», commentava.

Formazione classica inculcatagli insieme all'antifascismo e alla laicità da papà Eugenio, il senatore sapeva bene che un “monumento” è qualcosa che va oltre il manufatto fine a se stesso, il totem che fa ombra alle piazze d'Italia o, in tempi più recenti, si presta ai TVB scritti a spray. Come nella stessa radice della parola, il “monumentum” fa da ammonimento. Inchioda alla memoria, àncora al reale il flusso incontrollato di idee e opinioni, proprio come una sentenza mette nero su bianco l'ostinazione dei fatti.

La testimonianza di Martorelli fu – tradotta dalla militanza “politica” alla fedeltà al mestiere dell'avvocatura e al primato della Legge – il suo essere parte civile negli omicidi che avevano scosso gli anni roventi con cui la Calabria aveva tragicamente salutato il decennio nero apertosi coi Moti di Reggio e deflagrato, nel resto d'Italia, nella guerra civile del terrorismo (fenomeno nei confronti del quale, per inciso, il garantista Martorelli non diventava certo benevolo per ragioni di “bandiera”, tutt'altro: tanto che spesso i suoi stessi “compagni”, e non solo Giacomo Mancini secondo cui «Martorelli vuole arrestare tutti», lo indicavano come epigono della destra del Pci nella sua indole più «forcaiola», come si direbbe oggi). Ecco, per “Ciccio” Martorelli difendere Rocco Gatto e Giuseppe Valarioti in un'aula di tribunale andava oltre la professione, diventava quasi un obbligo di testimonianza. Io sto da questa parte.

Io sto contro la mafia. Tutto ciò, in anni in cui la 'ndrangheta non era ancora nota e certificata come l'organizzazione più potente a livello planetario, l'antimafia non aveva ancora la partita Iva e le 'ndrine non erano protagoniste assolute di un intero settore di pubblicistica nazionale. E soprattutto: i “negazionisti” erano più di quanti oggi possiamo immaginare. Anche in Calabria, soprattutto in Calabria.

Venticinque anni prima del delitto Fortugno, ai funerali di Losardo toccò a Enrico Berlinguer pronunziare l'orazione funebre per il «povero Giannino»: «Quest'assassinio è il più grave delitto politico-mafioso accaduto in Calabria». No, non fu certo una polmonite. Cittadella del Capo (Cs), Piazza Giannino Losardo 22\06\2013

 

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