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una pagina di storia di Belvedere per il 25 aprile PDF Stampa E-mail
Scritto da salvatore fabiano   

Una delle leggi liberticide del regime fascista fu notoriamente l’istituzione del confino per gli oppositori.  Lo conobbero in tanti , in genere intellettuali e militanti politici, ma anche semplici impiegati o artigiani.

I più “pericolosi” come Gramsci, Spinelli o Pertini, finivano sulle nostre isole, altri in paesini lontani dalle loro terre d’origine. La Calabria ne ospitò più di 2500, in gran parte in Provincia di Cosenza, e fra di essi 400 donne. A Belvedere Marittimo è accertato, nonostante la mancanza di documenti comunali fatti sparire dopo la caduta del dittatore, che almeno 11 vi abbiano trascorso un periodo più o meno lungo di soggiorno coatto.

In un mio intervento pubblico di qualche anno fa mi dilungai esponendo particolari e leggendo anche una drammatica lettera di un condannato a morte, tale Romolo Cani, trucidato poi durante la resistenza a Faenza. Stavolta voglio narrare di due “italiani per annessione” come usavano definirsi nei loro scritti giornalistici. In effetti erano di origine istriana ed i loro cognomi lo rivelano. Nino Woditzka (per il fascismo Vodisca) e Rosa Burich (cambiato in Buricca) erano coniugi che, per alcuni anni, soggiornarono nelle nostra Calabria.

Il Woditzka era nato a Zara nel 1898 e fin da giovane  si ribellò all’occupazione italiana dell’Istria. Nel 1923 sposò la Burich , militante del movimento indipendentista giuliano. Nino fu condannato a tre anni di carcere nel 1929 per un articolo giornalistico contro il regime fascista. Fu poi confinato a Ponza ove contrasse la tubercolosi e solo allora fu riportato sulla “terraferma” e ricoverato al Marulli di Cosenza. La moglie, dopo alcune condanne in carcere per la sua attività antifascista, fu inviata a Belvedere Marittimo agli inizi del 1938. Ai due erano concessi alcuni permessi per incontrarsi alternativamente nei due luoghi di confino. Il Woditzka, dopo la fine del conflitto fu vice-presidente dell’INPS.

Un episodio curioso mi fu narrato tempo fa da un testimone oculare, degno di credito e considerazione e verificato attraverso notizie convergenti. La signora Rosa, donna risoluta e battagliera, considerate le condizioni di salute del marito, richiedeva spesso i permessi per recarsi a Cosenza. Lei a Belvedere riusciva a racimolare compensi in danaro ed in generi alimentari con la sua attività di doposcuola ai bambini del posto. Pensava così di alleggerire le sofferenze del marito. Il podestà dell’epoca evidentemente si infastidiva per le sue insistenze e si negava sia al Comune che a casa, nelle cui vicinanze ella abitava. Una mattina si appostò davanti al portone e ne attese l’ uscita. All’ennesimo diniego lo apostrofò in modo deciso minacciandolo di storpiargli l’altra guancia essendo la prima già stata rovinata da una ferita di guerra.  Egli la invitò a tornare la mattina seguente alla stessa ora in quanto le avrebbe consegnato il permesso richiesto. Ebbene il giorno dopo nel portone del Podestà erano appostati alcuni uomini in camicia nera che la coprirono di botte, l’ammanettarono e la condussero nella sede del fascio per la purga di rito.  Fu punita, si disse, perché aveva aggredito il Podestà!

L’episodio ebbe le prevedibili ripercussioni restrittive sulla vita degli altri confinati per un lungo periodo. Cambi di abitazione, frequenti visite notturne e pedinamenti nei rari momenti di libertà.

Tra i confinati a Belvedere è da ricordare Lucio Mario Luzzatto che sarà poi parlamentare per  20 anni. Era un militante del PSI, fu tra i fondatori del PSIUP e, dopo lo scioglimento di questo passò poi al PCI. Fu vice presidente della Camera e membro del CSM.  Celebrò il suo matrimonio a Belvedere.

Salvatore Fabiano - 23.04.2015

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