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referendum consultivo per l'autonomia di Lombardia e Veneto, intervista al prof.Walter Nocito PDF Stampa E-mail
Scritto da maria francesca fortunato - il quotidiano del sud   

Di seguito si pubblica un estratto dalla intervista a Walter Nocito apparsa su Il Quotidiano del Sud, di  sabato 3 giugno 2017, realizzata a cura della giornalista Maria Francesca Fortunato

Il calendario a volte gioca strani scherzi. Pochi giorni fa, il governatore della Lombardia Roberto Maroni ha firmato il decreto di indizione del referendum consultivo per l’autonomia, che si terrà il 22 ottobre 2017 insieme al Veneto. Lo ha fatto nel giorno dell’orgoglio lombardo (il 29 maggio ricorre la battaglia di Legnano e la data è festa regionale dal 2013) e la coincidenza, ovviamente, era voluta.

Il caso vuole, però, che la firma sia arrivata anche alla vigilia di un’altra storica ricorrenza, che ricorda il referendum istituzionale del 2 giugno 1946: la Festa della Repubblica. Carlo Azeglio Ciampi la ripristinò nel 2000, dedicandola all’unità della patria. Ieri è stata festa in tutto il Paese, con l’eccezione degli amministratori leghisti che hanno aderito all’appello di Salvini e si sono astenuti dalle celebrazioni, come segno di protesta verso l’arrivo dei migranti.

Come tenere insieme, in questo clima, unità nazionale e spinte autonomiste?

Lo abbiamo chiesto al professor Walter Nocito, docente di diritto pubblico e di diritto regionale dell’Università della Calabria.

Domanda: Che significato dà al Referendum voluto da Lombardia e Veneto, che percorre una strada rimasta finora solo una previsione costituzionale?

Risposta: Il referendum consultivo voluto e fissato per il 22 ottobre 2017 dalle due Regioni ordinarie che sono il polmone economico del Paese è un tema molto delicato. Purtroppo, al momento, è sottovalutato dalle forze nazionali, mentre dai mass-media è confinato a “notizia regionale”.

Così non è affatto. Le due Regioni – da parte loro - non stanno alzando i toni sul tema, scientemente.

In Lombardia domenica 22 ottobre gli elettori troveranno sulla scheda elettorale il quesito secco “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”. Ciò significa che se vinceranno i SI in entrambe le Regioni (i referenda sono distinti, ma sono contestuali) Zaia e Maroni, i due Presidenti regionali, potranno avviare una negoziazione con il Governo centrale per ottenere un regionalismo definibile “asimmetrico” e “funzionalmente differenziato”.

Nella negoziazione sulle risorse fiscali e sulle competenze normative le due regioni “ricche” potranno ottenere in più rispetto alle regioni ordinarie spazi speciali di autonomia in settori delicati come la “tutela e sicurezza del lavoro”; le “professioni”; la “ricerca scientifica e tecnologica”, la “protezione civile e governo del territorio”; la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali”; le “casse di risparmio e casse rurali”. E soprattutto - va sottolineato - la “tutela della salute” (cioè il SSR), e la “istruzione”, pubblica e privata (indicate all’ Art. 117 al 2 comma, lettera n)). Ma anche la “tutela dell'ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (alla lettera s).

Questi tre ultimi ambiti “differenziabili” richiamano molto gli obiettivi che il “Ministro delle Riforme e della Devolution”, l’on. Bossi, volle perseguire, senza esiti congruenti, negli anni tra il 2003 e il 2006 all’epoca del Governo Berlusconi II.

Se finora (dal 2001 in poi) il regionalismo asimmetrico è rimasto senza attuazione nonostante alcuni tentativi solo progettati (la Toscana nel 2003), il 22 ottobre 2017 il corpo elettorale lombardo-veneto potrà dare una forte (… quanto?) spinta politica ai due Governatori, e sarà altamente probabile che si avvieranno negoziazioni attuative per quegli obiettivi sensibili richiamati (sanità e scuola).

Domanda: In prospettiva, cosa comporta?

Risposta: Le negoziazioni Centro-Regioni che, su istanza regionale, svilupperanno due forme (o un’unica?) di regionalismo asimmetrico per perseguire “obiettivi sensibili” (sanità, scuola e non solo) hanno due vincoli costituzionali stretti che sono le risorse disponibili e il consenso delle popolazioni/istituzioni locali.

Qui il piano dell’analisi si deve divaricare in quanto, sul piano formale, il sentiero verso la Devolution appare molto stretto, mentre sul piano sostanziale (rapporti di forza economica e politica) il sentiero può essere, o può divenire, più largo e può divenire fonte di rischi o almeno di “stress istituzionali” (la garanzia dei principi di cui all'articolo 119 sarebbe, probabilmente, la fonte di stress maggiore per la tenuta unitaria della Repubblica).

Sul piano sostanziale gli esiti del 22 ottobre sono poi legati alla svolgimento della campagna elettorale (con un possibile incrocio tra turno regionale e nazionale), e soprattutto alla partecipazione al voto degli elettori lombardi  e veneti.

Maggiore sarà il tasso di partecipazione elettorale, maggiore sarà la legittimazione di Zaia e Maroni ad avviare le negoziazioni istituzionali attuative dell’iter procedurale indicato dall’art.116 della Carta che deve sempre concludersi col controllo parlamentare e con una legge rinforzata “per contenuto” e “per procedimento” (“La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”).

Domanda: Perché indire un referendum consultivo secondo lei? L’iniziativa è delle Regioni, dice la Costituzione, sentiti gli enti locali.

Risposta: I due referenda regionali non possono non avere valore consultivo in quanto il potere di avviare le negoziazioni attuative dell’asimmetria risorse/competenze è, secondo la Carta, dei Governi regionali. Il voto popolare serve solo a rafforzare la legittimazione a negoziare dei due Presidenti, o “Governatori regionali” come preferiscono essere chiamati.

L’art.116 della Carta pone due vincoli “sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119”.

Entrambi i vincoli sono fonti di problemi serii per la Repubblica che il 2 Giugno tutti festeggiamo.

Il raccordo Regione-Enti locali, in tutta Italia, è molto politicizzato e perciò è volubile e conflittuale nonostante le previsioni di appositi organi di raccordo chiamati CAL (“Consigli delle autonomie locali”, che sono organi di “consultazione fra la Regione e gli enti locali” secondo l’art 123 della Carta).

Sul tema delle risorse tributarie e dunque fiscali, il riparto del gettito e delle spese, da tanti anni, è fonte di incertezze e conflittualità endemiche tra Stato e Regioni ordinarie (il “federalismo fiscale” del 2009 è in regime sempre provvisorio).

Lombardia e Veneto possono però superare i problemi indicati, a differenza di altre regioni ordinarie che sono troppo deboli per avviare tentativi di negoziazione sulle competenze e sulle risorse.

Qui però entrano in scena (o nell’arena politica) soggetti e soggettività che impediscono di fare previsioni, e che rendono il piano dello svolgimento dei fatti e degli atti molto fluido, quasi ectoplasmatico, e perciò abbastanza rischioso.

Ma le istituzioni, secondo la mia opinione, non possono essere ectoplasmatiche in uno Stato costituzionale di diritto, in quanto se sono istituzioni legittime e funzionali devono ridurre le complessità e le ridondanze, non generarle o moltiplicarle.

Domanda: Il quesito non chiarisce su quali materie le Regioni chiederanno maggiore autonomia. La gestione delle risorse fiscali, però, è l’aspetto centrale, come dimostrano anche alcune slide che circolano sui siti dei promotori del Sì. Lombardia e Veneto non vogliono essere “solidali”. Che ripercussioni si possono prevedere per le regioni del Sud?

Risposta: Le materie per le quali le due Regioni chiederanno maggiore autonomia sono in astratto tante, come abbiamo visto, ma solo alcune sono politicamente e finanziariamente sensibili.

Le ripercussioni per le regioni in ritardo di sviluppo o arretrate (Sud) sono invece il tema più delicato del processo che i due referenda innescano. In verità, in rapporto alla coesione nazionale ed alla solidarietà territoriale (previste nell’art. 119 della Carta), per fare corrette ipotesi e previsioni sulla finanza territoriale bisogna consultare gli economisti specializzati e bisogna leggere alcuni documenti previsionali e alcuni rapporti della Corte dei Conti, che è un organo oggi molto attento ai temi della macro-finanza pubblica.

Domanda: Lombardia e Veneto guardano al modello delle regioni a statuto speciale. È un rischio?

Risposta: Qui entriamo nel regno delle opinioni, ed anche delle suggestioni assistite da venature storiche ed etniche (la “Serenissima”, il modello Catalano, etc…).

Personalmente ritengo che le 5 Regioni a Statuto speciale non siano la soluzione dei problemi politici della Repubblica italiana, ma siano in taluni casi la causa di alcuni mali pubblici coi quali è però difficile “fare i conti” per tutti. La riforma che il popolo italiano ha bocciato nelle urne a dicembre 2016, tra i vari aspetti di manchevolezza, aveva appunto la mancata riforma delle Regioni a Statuto speciale che per alcuni costituiscono, oggi, un esempio molto positivo cui tendere e, per alcuni aspetti, lo sono anche (le Province autonome di Trento e di Bolzano).

In definitiva, credo che rispetto ai rischi di asimmetrie funzionali che i due referenda produrranno, le negoziazioni che ci saranno - eventualmente - potranno essere ben gestite da un Governo centrale che sia forte e determinato nella difesa della unità nazionale cui il referendum lombardo pure si riferisce. Il problema è che, oggi, il Governo centrale è in scadenza di mandato.

I rischi, dunque, sono del tutto palesi in termini sia elettorali sia istituzionali.

 

 

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