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Unione Europea e crisi: spunti di diritto e politica (europea e internazionale) PDF Stampa E-mail
Scritto da walter nocito   

Grazie all’Elsa per l’invito a questa interessante iniziativa seminariale rivolta agli studenti dei Corsi di laurea in Giurisprudenza e Scienze Politiche.

Il titolo dell’iniziativa di oggi può destare non poca preoccupazione a chi deve relazionare, in quanto è/sarebbe per tutti impossibile dare una risposta minimamente completa sulle conseguenze per il diritto e per la politica internazionale dei fatti recenti che sono nello stesso titolo riportati, e cioè:

- la  crisi dell'Unione europea, intesa come crisi plurima o multi-dimensionale (cui si aggiunge dal 23 giugno 2016 la Brexit)

- e la nuova “Presidenza Trump” negli Usa con le implicazioni di politica internazionale che può implicare, e che sta già implicando, su tutte le area geo-politiche del globo.

Non è possibile, in verità, neanche tentare di rispondere e di individuare anche solo le principali conseguenze (per il diritto e la politica europea e internazionale) di queste due significativi fatti accaduti nell’anno passato.

Epperò è forse possibile aggiungere che alla considerazione di questi due fatti internazionali (che possono avere, invero, risvolti interni ai singoli Stati di non poco momento), altri se ne potrebbero aggiungere per avere un quadro completo della scena, o meglio dell’arena internazionale, che oggi sarebbe opportuno conoscere anche per valutare le ipotesi e gli obiettivi di politica estera che come Stato italiano potremmo e dovremmo perseguire.

Ai due significativi fatti accaduti nell’anno passato, sarebbe possibile aggiungere, invero, altre tre contesti di significativo rilievo internazionale o geopolitico.

Ciò in quanto la loro considerazione può direttamente aiutare a considerare alcuni degli effetti per il diritto e per la politica comparata, europea e internazionale, dei due fatti menzionati nel titolo.

Tra l’altro, da qualche tempo, il “diritto comparato come geopolitica” ha assunto un discreto rilievo anche negli studi italiani diritto comparato (vedi P.G. Monateri Geopolitica del diritto. Genesi, governo e dissoluzione dei corpi politici, Roma-Bari, 2014, e anche A. Somma. Introduzione al diritto comparato, Roma-Bari, 2014, p. 70 ss).

Le tre situazioni da aggiungere al nostro discorso sarebbero l’evoluzione della Cina e della sua politica estera, il nazionalismo della Russia e dell’India e gli sviluppi della politica estera della Turchia.

1) in Cina deve segnalarsi la cd. “Nuova Via della seta”, poco nota finora, ma che è un’iniziativa strategica della Cina per il miglioramento dei collegamenti e della cooperazione tra paesi nell’Eurasia. Ricomprende le direttrici terrestri della  zona economica della via della seta e la  via della seta marittima del XXI secolo, ed è conosciuta anche, nel linguaggio internazionale, come “una zona, una via”  (che nell’acronimo inglese diventa OBOR one belt, one road). E’ stata lanciata nel 2013 dal Presidente cinese Xi Jinping e sarà messa a tema, operativamente, nel prossimo Summit di Pechino del 14 e 15 maggio, Summit nel quale 28 tra capi di Stato e di Governo saranno presenti (ci sarà anche il Presidente italiano Gentiloni). Con la delegazione italiana saranno presenti circa 1200 delegati provenienti da 110 Paesi (tra cui imprenditori, funzionari, finanziatori e rappresentanti di 61 organizzazioni internazionali). Il Summit di Pechino sarà forum “ad hoc” per la cooperazione lungo l'antica via della seta e svilupperà due precedenti summit organizzati dalla Cina: 1) il vertice dei leader dei Paesi Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation) del novembre 2014,  2) e il G20 di Hangzhou del settembre 2016, Summit che hanno già  prodotto una nuova immagine della Cina sul palcoscenico internazionale evidenziando gli interessi geopolitici del Paese più popoloso del mondo.

Per il 14 e 15 maggio il Governo cinese ha identificato tre grandi aree di negoziazione e discussione internazionale: a) ricerca del consenso sui principi di cooperazione; 2) identificazione delle aree di cooperazione e quelle che avranno una priorita' piu' alta; 3) attivazione di progetti specifici cooperazione (sul web si trovano già delle mappe descrittive delle ipotesi).

La Nuova Via della seta si compone ad oggi di un Fondo creato, nel 2014, appositamente per i progetti lungo la Via della Seta (il Silk Road Fund), e di una Banca regionale di Sviluppo (la Aiib Asian Infrastrutture Investment Bank) lanciata ufficialmente a Pechino nel gennaio 2016 e che ha già promosso 12 progetti di sviluppo infrastrutturale nell'Asia centrale e meridionale.

2) con riferimento all’evoluzione dello Stato Russo (CSI) e del subcontinente Indiano (Repubblica federale) è noto come entrambi siano sempre più  marcati da una leadership politica molto spinta verso obiettivi nazionalisti (“ultra-nazionalisti” per alcuni aspetti) e limitativi della globalizzazione selvaggia che appiattisce e mercatizza tutti i fattori della produzione e della vita. Putin e Morsi sono i due noti leader che impersonano questo indirizzo politico che in alcuni casi assume le vesti dell’azione geopolitica ‘imperiale’ (si pensi alla Crimea nel 2014!)

3) con riferimento all’evoluzione dello Stato Turco, rilevano gli sviluppi ben noti di tutta l’area medio-orientale e nord-africana, sulla quale non possiamo soffermarci in questa sede, ma per la quale le vesti e le forme dell’azione geopolitica neo-ottomana (dunque ‘imperiale’) son sempre più evidenti.

Allargando lo sguardo a tutta la politica internazione ed alla politica comparata dei regimi politici dovremmo, come scenario generale, segnalare con una certa evidenza che solo tra il 2000 (anno dell’acme della globalizzazione liberl-liberista) e il 2016 (anno della Brexit e poi della elezione di Trump) ben 27 Paesi-Stati hanno abbandonato il regime della democrazia liberal-democratica formale attraverso Golpe militari (come in Egitto e in Tailandia) o attraverso lo svuotamento dall’interno delle istituzioni costituzionali, come è avvenuto in Ungheria, in Turchia, o da ultimo nelle Filippine (che ha costruito una autocrazia o “democratura” affatto liberale!).

Una prima avvertenza, dunque,  può essere esplicitata: e cioè ritenere, come alcuni ancora ritengono, che le democrazie liberali siano irreversibili e che siamo alla “fine storia” è una pericolosa illusione dalla quale bisogna tenersi lontani. Anche perché, nel recente passato, in molti sono caduti purtroppo in questa illusione in quanto hanno creduto alle eleganti e suggestive formule che, nella letteratura scientifico internazionale, aveva lanciato il politologo americano Fukuyama  in La fine della Storia e l’ultimo uomo, Milano, Rizzoli, 1992, (edizione orig. The End of History and the Last Man, New York, The Free Press, 1992), opera cui, nel post-1989, è stato dato in sorte di conoscere uno successo tanto planetario quanto illusorio.

Svolta questa avvertenza, possiamo svolgere qualche riflessione sulla crisi multi-dimensionale dell'Unione europea (Ue, e Uem,) alla quale crisi le reazioni in essere dovrebbero opporre misure di superamento da parte dei singoli Stati e da parte delle Istituzioni Ue.

Utilizzando la Brexit del 23 giugno 2016 come una delle principali epitomi di questa crisi (… ma non è così!!), negli ultimi mesi molti analisti hanno convenuto nel sostenere che quella data sarà ricordata, in futuro, come la data di morte (esaurimento) del progetto europeo contenuto nei Trattati di Maastricht, di Lisbona e di Nizza, in quanto quel progetto neo-liberale da parte dei popoli europei ha incontrato e incontrerà forti resistenze (in varie forme, intensità e occasioni) culminate nella Brexit.

Fissata quella “data di morte” il vero punto da analizzare è se allora quel Referendum (con il processo negoziale che si è aperto) possa essere, oltreché la “data di morte” dei Trattati post-Maastricht, anche la data di nascita di un nuovo progetto europeo più vicino a quello del Trattato di Roma e agli ideali dei Padri fondatori.

Ovviamente, molti analisti e commentatori (eurocritici, o europeisti mainstream) ritengono di si (con varie posizioni).

Altri analisti e commentatori (antieuropei) ritengono di no (con varie posizioni).

In questa sede, è opportuno non scendere nel dettaglio degli argomenti in favore dell’una o dell’altra opzione (e delle posizioni che si possono assumere), ma è forse opportuno andare a valutare l’unico atto che le Istituzioni hanno prodottosul futuro dell’Europa”, e cioè il Libro Bianco sul futuro dell’Europa che la Commissione europea ha presentato il 1 marzo 2017 in vista del 70 compleanno della UE celebrato a Roma il 25 marzo 2017 in Campidoglio come tutti abbiamo visto e seguito.

Il testo (ben accolto dagli europeisti mainstream) presenta 5 scenari, 1) “Status quo”, 2) “solo Mercato Unico”; 3) “chi vuole fare di più fa di più”, 4) “fare meno meglio”; 5) “fare molto di più insieme”.

Ognuno è corredato con una descrizione su come potrebbe essere la UE nel 2025.

Il testo è, purtroppo, molto deludente rispetto alle aspettative e rispetto ai fatti e ai cambiamenti di dimensione in atto nel mondo e nelle altre geo-politiche in fermento.

Il testo, per larga parte dei commentatori ‘eurocritici’ (tra cui chi scrive), evidenzia la mancanza di un minimo di ambizione da parte del Presidente Juncker (e della sua fiacca ‘squadra’) il cui intento sembra quello di un contabile ansioso di risparmiare e di non disturbare i “manovratori”, cioè gli Stati.

La Commissione in questo Libro Bianco svolge la funzione di un think-tank qualsiasi,   (di  un Segretariato neutrale) che presenta i suoi 5 scenari, nella convinzione che da oggi al 2025 sarà possibile per la Ue mantenere politiche di continuità con quelle attuali (a eccezione di qualche coloritura sociale e ambientale), senza indicare lo scenario per il quale impegnarsi esercitando, tra l’altro, il ruolo di iniziativa e di stimolo rispetto all’interesse comune degli Stati europei, che è  attribuito alla Commissione dal Trattato.

Insomma, nel suo Libro Bianco la Commissione non ha il coraggio di delineare e di scegliere una via da seguire né dal punto di vista delle politiche né dal punto di vista delle istituzioni.

Dopo la presentazione del Libro Bianco, alcuni commenti, nel dibattito e in letteratura, hanno reclamato  la necessità di andare nella direzione di un sesto scenario non è contemplato dal deludente Libro della Commissione Juncker.

Il riferimento è per esempio al Manifesto di Diem25 (Democracy in Europe Movement2025, movimento fondato da Yanis Varoufakis) dal titolo L’Europa sarà democratizzata. O si disintegrerà! (qui il testo:///C:/Users/Walter/Desktop/diem25%20%20(italian).pdf) il cui ispiratore – l’ex Ministro greco – ritiene che “l’Europa è ormai un campo di battaglia diviso fra un establishment in bancarotta e nuovi nazionalismi reazionari” (cfr. Y. Varoufakis e L. Marsilii, Il terzo spazio. Oltre Oltre establishment e populismo, 2017).

Altro riferimento, tra i vari, è Democratizzare l’Europa! Per un Trattato di democratizzazione europea” dei francesi Stephanie Hennette, Thomas Piketty, Guillaume Sacriste, Antoine Vauchez (Milano, 2017, edizione originale francese Edition de Seuil, 2017).

In queste ipotesi di un “sesto scenario” l’Europa è unita ma è sopratutto democratica e portatrice di politiche, e pratiche, decisionali radicalmente diverse da quelle attuali, e in rottura con le politiche di continuità post-Maastricht e post-2011 (con scelte forti in favore del modello sociale protetto e protezionista, e di riconversione economica-ambientale); politiche e pratiche decisionali da raggiungere attraverso la ripresa dell’iniziativa “costituzionale” e una forte mobilitazione in vista delle elezioni europee del 2019. Nell’opzione 6, il governo Ue democratico e sovranazionale deve esser capace di portare le politiche comunitarie fuori dalla cieca austerità e verso un’azione di trasformazione dell’economia e della società in senso ecologico e democratico, mettendo in primo piano la solidarietà, la redistribuzione del redito, i lavori verdi, l’efficienza energetica, e la lotta al cambiamento climatico.

Se la Commissione non è in grado di prendere decisioni e se gli Stati membri non sono coesi e omogenei, può essere il Parlamento europeo a  farsi carico di essere il luogo dove iniziare a sviluppare una discussione sul futuro e sulle politiche prioritarie dell’Unione europea che vada al di là delle opzioni della debole Commissione Juncker e che sia aperta alla società civile (in questo senso Monica Frassoni, http://sbilanciamoci.info/libro-bianco-juncker-futuro-dellue).

Non è detto poi che il Parlamento europeo e la società civile riusciranno ad uscire dallo stallo europeo e dall’impasse attuale nella quale 27 discussioni nazionali sono concentrate, con toni e temi vieppiù nazionalistici e populistici, sui fragili rapporti di forza fra i Governi nazionali.

Se però l’obiettivo che si vuole perseguire è quello di prevenire la deflagrazione dell’Unione Europea, porre termine alle politiche economiche dell’austerità e contrastare le diseguaglianze in Europa il vero tema politico è – come ben sostengono Hennette, Piketty, Sacriste, Vauchez – “democratizzare il governo dell’eurozona” e cioè riscrivere un nuovo Trattato (un testo è presentato e commentato dai quattro francesi citati), che istituisce un’assemblea parlamentare per tutelare e promuovere la giustizia sociale e fiscale. Il nuovo “Trattato di democratizzazione della governance economica dell’eurozona”, il cui testo integrale è proposto da  Hennette, Piketty, Sacriste, Vauchez  ha infatti la proposta centrale  nella creazione di un’Assemblea parlamentare dell’eurozona che non sia un vuoto bis dell’esistente Parlamento (“un Parlamento di secondaria importanza” dicono gli autori)  ma che sia un organo eletto dai cittadini che contribuisca a stendere l’ordine del giorno dei vertici dell’eurozona, a decidere il programma semestrale di lavoro dell’Eurogruppo o le raccomandazioni Paese per Paese, a scegliere i massimi dirigenti dell’eurozona. Un organo   che soprattutto abbia quella effettiva capacità di iniziativa legislativa che sta oggi nelle mani della Commissione e del Consiglio dei Governi.

Come esplicita il Manifesto di Diem25 – oggi dopo dieci anni di crisi e depressione – i cittadini europei “comprendono pienamente che una scelta radicale si avvicina a grandi passi: tra la democrazia autentica e la disintegrazione insidiosa”.

Se il futuro all’Unione Europea può essere un obiettivo credibile e perseguibile da parte di ogni cittadino e ogni forza politica e sociale che sia popolare, non elitista e non antidemocratica, nel gioco degli scenari, il messaggio che si può oggi lanciare appare semplice nella sua secchezza.

Il messaggio è il seguente: se non si cambiano le maggioranze nei parlamenti nazionali ed europeo, se non si cambiano le politiche che governano questa Ue, e questa Uem, e se non si abbandona il vincolo del voto all’unanimità, non ci sarà per tutti noi cittadini europei di secondo grado altra scelta che quella di un settimo scenario certo, quello della morte rapida (“disintegrazione”) della UE e prima ancora della Uem.

Come, con la usuale chiarezza  esplicita la filosofa calabrese Ida Dominijanni  (“Contropopulisti transnazionali, unitevi!” in www.lindiceonline.com/osservatorio/economia-e-politica/balibar-crisi-europa-ordoliberale/), oggi il vecchio continente, l’Europa politica a 27 Stati “si trova nella situazione che Gramsci avrebbe definito “di interregno”, in cui il vecchio muore ma il nuovo stenta a nascere. Spostare all’indietro le lancette dell’orologio è illusorio, così come è illusorio, a livello mondiale, sperare che sia una improbabile de-globalizzazione a risolvere i problemi del mondo globale. Restare fermi significa arrendersi alla deriva di auto-dissoluzione dell’Unione, alimentata dai “fronti del rifiuto” che crescono al suo interno.

È necessario un salto in avanti: non meno ma più Europa, ma non un di più di questa Europa.

Ancora non si vede all’orizzonte il soggetto politico in grado di assumersene la sfida, eppure “un’altra Europa, solidale e democratica, è possibile”, vive nei movimenti di resistenza alla disciplina del debito e dell’austerità, ed è “fra gli strumenti di cui abbiamo bisogno per agire controcorrente nellasulla globalizzazione””. Walter Nocito, docente UniCal Relazione al Seminario organizzato da Elsa-Unical “La crisi dell'Unione europea e la Presidenza Trump: quali conseguenze per il diritto e la politica internazionale?” (Sala Stampa-Aula Magna UniCal, 4 maggio 2017)

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