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una domenica al borgo PDF Stampa E-mail
Scritto da salvatore fabiano   

Pochi rintocchi di campana giungono dalla Chiesa dell'Annunziata. Sono le sei del mattino e la sagrestana Rosinella ha suonato il mattutino con insolita dolcezza, come se avesse timore di svegliarci in un giorno dedicato al riposo.

E' un'alba qualsiasi di una domenica qualsiasi. Pochi minuti ancora e dalla vicina Chiesa del Rosario giunge il primo annuncio della imminente Santa Messa. Il vicolo che ospita la mia dimora è a pochi passi e stavolta il rumore lo odo molto più distintamente. Poi suonerà “ la seconda” indi la “terza”.

Inizia così la giornata festiva del mio borgo antico che mi ha ospitato dalla nascita al matrimonio. Fra poco i vicoletti saranno invasi da tanta gente vociante durante il loro girovagare operativo. La grande Piazza, detta For' a Porta, sarà occupata in ogni suo  angolo da ceste piene di mercanzie, da carretti e persino da animali da soma legati alle  tozze colonnine della grande balaustra che circonda i due spiazzi distinti, ma inseparabili.

Le prime voci che si odono sono quelle delle lattaie che, con la loro “sporta”  posata sulla “crauna” ed in bilico sulla testa, distribuiscono ai loro clienti il latte fresco e qualche loro prodotto caseario quali le lunghe ricotte  nelle “fuscelle”di giunco. Sulla soglia di ogni porta trovano una bottiglia vuota ed esse la sostituiscono con quella piena. Bussano alla porta con tocchi convenzionali annunciando così l'avvenuta sostituzione e proseguono il loro giro.

Ad esse si uniscono i primi contadini, quelli più poveri, che vendono origano o camomilla, peperoncini, altre spezie o fascine di legna da ardere. Urlano cantilenando per  marcare la loro presenza inconfondibile. In genere sono vecchietti non più in grado di produrre come un tempo, offrono ciò che la terra produce spontaneamente e che, non senza fatica, riescono a raccattare. Devono sbarcare il lunario e lo fanno come possono. Sono già aperti i bar che devono mandare in pressione le loro rudimentali macchine da caffè, le cantine non sono da meno con i loro mezzi quartini in bella mostra sul bancone per fornire gli assaggi di vino agli infreddoliti avventori.

E' aperto anche il laboratorio del buon Don Gaetano con i susumelli natalizi ed i torroncini di produzione propria da accompagnare al caffè od anche al moscatino.

Nella via Florello Dini, detta impropriamente “a chiazza “, le donne di campagna prendono posizione sui gradini del Rosario, lasciando un varco per l'ingresso dei fedeli molte vanno sulla scalinata di Santa Maria del Popolo più capiente delle altre e sul sedile del Parlamento ancora integro come il Medioevo lo ha tramandato.

E' domenica mattina ed a noi abitanti del vecchio centro storico è mancato il fischiettare modulato di Giovanni, spazzino comunale, e la presenza di Saveria e Nicoletta sue collaboratrici instancabili. Entreranno in azione nel pomeriggio per ripulire le strade dall'immondizia lasciata dalle “vindiole”.

Con lo sbuffo nerastro e maleodorante è giunto in piazza il “postale” delle otto ed ha regalato al panorama le donne di Diamante che prendono posto sotto la Porta della Piazza con le piccole tinozze piene di alici e sarde salate.  Con esse è sceso anche Micuzzo, di Santa Domenica Talao,  che esporrà, su un tavolo preso a prestito da un bar, i suoi prelibati formaggi freschi o stagionati e persino quello con i vermi da caglio che acquistano i buongustai. La sua vera prelibatezza è una ricotta affumicata che va a ruba.

Gli stagnini del posto marcano la loro presenza con coperchi, pentoloni, utensili da cucina che hanno prodotto nei loro miseri laboratori ubicati negli scantinati dei vicoli. Siamo nei pressi del Natale e la bassa temperatura invita i venditori ambulanti ad un passaggio da Antonio e Lucia per una “presa di sambuca” o una mescolanza di rhum, cognac e moscatino, regalandosi caldo e buonumore. Negozi e laboratori artigianali non osservano il riposo settimanale perchè la domenica è il vero giorno delle vendite e della riscossione dei crediti pregressi.

Giungono dal borgo marinaro i pescivendoli che adagiano le “spaselle” sui muri delle Piazza o su quel tavolone in muratura detto “ a vasca”. E' un brutto manufatto in cemento consistente in quattro pilastri a forma di parallelepipedo sormontati da una mensola con canalina di scolo sfociante in un grata da tombino interrato. La loro mercanzia è povera: alici, sarde, fanni. E' destinata a mense di famiglie poco danarose. I pesci pregiati raggiungono per altra via le case  dei ricchi quotidianamente.

Le ore passano, gli acquisti e le vendite si moltiplicano e giunge così l'ora delle Sante Messe nelle Chiese delle due Parrocchie: Santa Maria e la Madonna delle Grazie. Il panorama a questo punto muta arricchendosi. Piccoli gruppi si dirigono verso la Chiesa Madre sfoggiando abiti eleganti che contrastano con quelli dimessi  presenti finora in tutto il percorso. Sono le famiglie dei ricchi, del presunto nobilato e dei lori accoliti che si accompagnano. I contadini salutano deferenti ed ossequiosi come era d'uso per atavica formazione.

Dalla campagna alcuni produttori hanno portato i barilotti di vino  legati a bilancia ai fianchi dei loro asinelli. A spalla li trasportano al domicilio degli acquirenti. Le bestie vengono portate alle “Scale” o sul piazzale della Chiesa del Crocifisso ove non c'è ancora l'Ufficio Postale. Da ogni muro di sostegno sporgono gli anelli di ferro ancorati ad un perno che li assicura alla parete.

E' il momento in cui la monelleria del posto, in cui sono ben inserito, entra in azione. I contadini hanno legato i loro somari con le briglie corte rispetto al sostegno per evitare il contatto tra di essi. Il gruppo opera una breve ricognizione del “genere” e , sciogliendo e scambiandoli di posto, si allungano le briglie e..... qualcosa di osceno facciamo che accada. Per noi un grande divertimento, per i proprietari delle asinelle la bella sorpresa dopo qualche mese. Noi non lo sapremo mai. Possiamo immaginare!

Nei vicoli, in piazza, nelle chiese c'è tutta la gente del borgo. Resta a casa solo chi deve provvedere al desinare. Intanto le Messe son terminate e la comparsa del sole invita a fare la consueta passeggiata in piazza. Avanti ed indietro dalla  circolare vasca dei pesci fino al bar, per alcuni, e in quella minore per altri. La divisione la determina l'appartenenza politica più che sociale. Guelfi con guelfi e ghibellini con ghibellini.

Intanto la buona Rosinella ripete, con maggior forza stavolta,  i rintocchi delle campane per annunziare il mezzogiorno. Ultime battute tra venditori ed acquirenti, piccole mediazioni mentre le bancarelle chiudono i battenti. La squadra dei monelli si apposta  per assistere alle sorprese dei proprietari delle bestie da soma che non hanno mantenuto il loro posto. Qualche lite, tanto disappunto ed il nostro divertimento continua. Non c'è ancora la televisione ed allora qualcosa noi ragazzi dobbiamo inventare. E la fantasia non manca.

Il pensiero di tutti è rivolto a questo punto al pranzo ed alla successiva uscita pomeridiana per noi del posto. E' domenica, c'è il Campionato di calcio, ci sono due posti di raduno per ascoltare la voce possente di Niccolò Carosio che trasmette la radiocronaca  della partita. Si la partita, una sola, la più importante della giornata, con alcune interruzioni per aggiornamenti dagli altri campi, che egli riceve via telefono.  Gli adulti giocano a carte, prendono un caffè, e acquisiscono il diritto di ascoltare la radio dei bar (uno dei quali con intitolazione calcistica). I giovani squattrinati ed i ragazzini possono stare in piedi in gruppo o seduti sui muri davanti  all'edicola in legno di Ciccio, posta nel bel mezzo della Piazza piccola.

Così, tra un urlo di gioia ed un'arrabbiatura, giungiamo al tramonto. Rosinella la sagrestana scandisce con le campane, che acquistano ora un suono malinconico, il giungere del Vespro dalla vicina Annunziata. Si deve rincasare per la cena.

Ho pensato di descrivere questa giornata festiva del mio borgo natio, le abitudini di un tempo passato, la vita dissolta di un mondo sparito mosso solo da un grande amore che stenta a svanire. Ho riesumato dai nebbiosi meandri del mio cervello quanto ancora resiste, sebbene coperto da incrostazioni, ruggini indelebili, ma piacevolmente da rivivere per me e per gli altri. Salvatore Fabiano - 05.12.2016

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