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attualità e attuazione della Costituzione nell’opera di Silvio Gambino PDF Stampa E-mail
Scritto da walter nocito   

Il tema che in questa Giornata vorrei richiamare, sia pur per cenni, all’attenzione dei convenuti a questo Convegno internazionale è un tema probabilmente non semplice, e certamente impari rispetto alle capacità di chi vi sta parlando.

Chi vi sta parlando ha avuto la fortuna, 25 anni or sono, di imbattersi nell’insegnamento del Prof. Silvio Gambino all’interno di un corso di “Istituzioni Diritto Pubblico” di primo anno tenuto - in quell’anno - dal prof. Albino Saccomanno nella allora Facoltà di “Scienze Economiche e Sociali” presso questa sede Accademica che allora era una sede accademica di medie dimensioni ove il rapporto docente-studente poteva essere diretto, intenso e fecondo fin dal primo anno dei corsi.

Ricordo bene infatti come dopo il Seminario svolto in Aula quel giorno di novembre 1991 la discussione sia proseguita al bar dell’Unical-Polifunzionale, perché l’interesse al tema di quel seminario (“sistemi elettorali e partiti politici”) aveva coinvolto me un mio collega e il  Professore oltre la fine del Seminario stesso.

25 anni dopo, svolgere qualche riflessione in tema di “Attualità e attuazione della Costituzione italiana nell’opera di Silvio Gambino”, per chi vi parla, rappresenta una soddisfazione ed uno sforzo non irrilevante.

Una riflessione sul tema in oggetto (non solo per chi vi parla, ma  forse per tutti) implica uno sforzo analitico e ricostruttivo dagli esiti ‘aperti’, in progress, o meglio .. in fieri. Cioè implica - direbbero tra gli allievi e i colleghi del prof. Gambino i più sensibili al ‘Metodo comparatista’ e al ‘Metodo storico’ - uno sforzo non solo di “law in books”, ma anche di “law in action”.

Tale sforzo è attualmente tanto più difficile, o fors’anche impossibile, in ragione di tre specifiche motivazioni, di cui due uniche ed irripetibili, ed una invece di sistema o di contesto (si potrebbe dire di ‘cultura giuridica’).

Le prime delle due motivazioni è costituita dalla vasta Opera scientifica (e civile) del prof. Gambino stesso, la quale Opera – che definirei opus in senso latino, ma anche munus in senso latino – ha avuto nei riguardi della tematica in oggetto una attenzione costante, approfondita ed direi anche appassionata; un’attenzione ‘sincera’ secondo quello che alcuni hanno definito un “principio di sincerità” nella scienze e nelle giurisprudenza costituzionale (il riferimento è al noto saggio del prof. Massimo Luciani pubblicato in Politica del Diritto, volume n. 4 del 2010; saggio in cui il lemma “sincerità” è rapportato dall’Autore ai lemmi assai prossimi, quali lealtà, correttezza, trasparenza, genuinità, autenticità, verità, che credo ben descrivano l’opera sulla quale oggi siamo chiamati a riflettere.

La seconda motivazione è costituita dallo specifico ‘momento costituzionale’ che il Paese, tutt’intero, sta vivendo in questi lunghi mesi di “scelta referendaria” sul testo della Costituzione. Scelta sulla quale in questa sede di certo non è opportuno riflettere specificatamente con le categorie analitiche necessarie a simile riflessione, che sono le categorie non solo del Diritto costituzionale, ma anche le categorie della Dottrina dello Stato, le categorie delle Dottrine politiche, le categorie della Scienza della Politica, e soprattutto le categorie della Storia costituzionale.

La terza e ultima motivazione non ha invece natura contingente, ma si pone in stretta relazione con gli aspetti del Metodo scientifico, e direi anche del modus operandi accademico (e non) del Prof. Gambino, intendendo per modus operandi lo stile, da tutti riconosciuto, che denota e connota l’operare dello stesso.

Questa terza motivazione costituisce non solo una delle cause della difficoltà di svolgere oggi una riflessione che sia compiuta e sorvegliata sul tema in oggetto, ma costituisce anche una delle cause della attuale difficoltà, forse della impossibilità, di svolgere una riflessione scientifica che sia percepita, e percepibile, come utile a tutti in sede sia di discussione accademica, sia di discussione pubblica.

Utilizzando il titolo di un saggio del prof. Gaetano Azzariti del 2010 (“I costituzionalisti al tempo di Babele”, Relazione introduttiva al Seminario su “La Costituzione e il ruolo dei costituzionalisti”, organizzato dalla Rivista “Costituzionalismo.it” a Roma nel maggio del 2010, relazione poi pubblicata in Diritto Pubblico), potremmo dire che viviamo oggi in tempi che richiamano il biblico “tempo di Babele”.

Tempi in cui varie trasformazioni - formali e sostanziali - stanno coinvolgendo la scienza costituzionalistica accrescendo forme progressive di de-formalizzazione delle categorie giuridiche, del linguaggio e della sintassi propria dei pubblicisti e dei costituzionalisti in particolare.

Mentre nei decenni passati il dialogo tra gius-costituzionalisti poteva esser garantito in quanto “chiara, distinta ed oggettivamente data” era la consapevolezza di tutti sulla posta in gioco, attualmente una simile consapevolezza sembra -  almeno a tratti  - venir meno, o quanto meno sembra ridursi nel tempo.

E ciò in ragione non tanto di una semplice “perdita delle categorie” (che pure molti denunciamo), ma in forza di una “moltiplicazione incontrollata delle categorie” (così espressamente Azzariti), che accresce il rischio di una difficoltà di dialogo tra i gius-pubblicisti (ed attualmente anche, e in particolare, tra i gius-costituzionalisti).

In altri termini, nello svolgere una riflessione sulla Attualità e attuazione della Costituzione, il rischio che può rendere più difficile lo sforzo analitico da tentare è quello per cui il linguaggio dei gius-costituzionalisti sembra divenire a tratti “inconsapevole” ovvero, e la cosa non è migliore, “legato alle esigenze del momento presente” (Azzariti, 2010), eclettico, empirico, come se si volesse legittimare il discorso gius-pubblicistico in base al fatto, secondo una concezione della teoria e del diritto costituzionale che potremmo definire ‘mimetico’ o adattivo.

Come ben si è rilevato un diritto costituzionale come “scienza empirica, senza più dogmi, ma anche senza più metodo. Tendenzialmente – fors’anche – senza più principi” (Azzariti, 2010).

Di tali e tanti rischi l’opera degli ultimi anni del prof. Silvio Gambino è stata ed è certamente avvertita; profondamente e passionalmente avvertita.

Pur se non con esplicita denuncia, in vari luoghi e in vari momenti (penso alla fase della discussione sulla cd. Costituzione europea del 2003-2004, penso alla fase delle riforme costituzionali del 2004-2006 solo per citarne le più significative), l’opera del prof. Gambino ha insistito molto, e sempre più intensamente negli ultimi anni, sulle categorie scientifiche della “rigidità”, della “essenzialità”, delle “effettività” del diritto e dei diritti costituzionali.

Ciò è avvenuto nei vari campi in cui Egli ha potuto spaziare (diritto europeo, forme di stato e di governo, amministrazioni pubbliche), ma in particolare ciò è avvenuto nel campo (cui è dedicata la nostra Sessione) del rapporta tra “Democrazia e Costituzione”. Invero, questa Sessione, se fossimo stati del tutto fedeli al suo Metodo, avremmo potuto definirla anche al plurale: “Democrazie e Costituzioni”, e ciò proprio in forza del Metodo comparato proposto e utilizzato.

Ma al ‘Metodo comparato’ di cui già si è discusso nella Sessione precedente, possiamo ora anche aggiungere un’altra importante “fonte di ispirazione” sempre richiamata e sempre trasmessa (direi incessantemente trasmessa) dal prof. Silvio Gambino, tanto nel suo insegnamento tanto nella sua produzione (l’ opus, ma anche il munus).

Ci riferiamo alla categoria di ‘Costituzione materiale’, ed al connesso “metodo Mortatiano” che supera ed integra il ‘metodo orlandiano’ nell’analisi del diritto pubblico interno, e cioè del diritto dei fatti e degli atti costituzionali che reggono e che regolano una comunità politica integrata, smendianamente integrata, attraverso il vincolo costituzionale scritto che altro non è se non il congiunto pactum unionis e pactum subiectionis che da origine ad ogni Stato Costituzionale (secondo il costituzionalismo storico che affonda nelle Dottrine politiche della modernità).

Alla luce di tale metodo, e della categoria di ‘Costituzione materiale’ (integrata poi nel richiamo ‘attuativo’ ed ‘applicativo’ - essendo i due istituti distinti - di un “diritto mite” sempre sorvegliato e mai abusato nelle prospettazioni del Prof. Gambino), non possiamo fare a meno di rilevare come la “Costituzione italiana del 1947” sia sempre stata al centro del suo interesse. E lo sia stata come “documento politico concreto” che può e deve essere studiato (‘colto’ secondo lo studium latino che integra il negotium) dal punto di vista del giurista positivista e del gius-costituzionalista neo-positivista avvertito tanto dei rischi del cd. ‘neo-costituzionalismo’, tanto dei rischi delle applicazioni poco sorvegliate del cd. “diritto mite” (entrambe le fonti di rischio molto diffusesi negli ultimi due decenni, decenni ai quali si riferiscono molti degli spunti ricostruttivi in questa Relazione presenti).

La Costituzione italiana come documento politico concreto (letto alla luce dei lavori dell’Assemblea Costituente di cui in questi tempi si sente la nostalgia per molti!), può e deve essere studiata, secondo i metodi letteral-originalisti, sistematici, evolutivi e crisafulliani che la ‘stressano’ (con verbo molto caro all’Autore, verbo che implica acutamente ‘stilizzazione’ ed ‘essezializzazione’ degli atti e dei fatti, attività analitiche che poi - è ben noto - sono i fini ultimi della scienza giuridica più avvertita) producendo quella che è nota come l’interpretazione normativa “magis ut valeat”.

Cioè quell’interpretazione che propone (e impone) un ‘costituzionalismo normativo’, o un ‘positivismo ben temperato’ (secondo la proposta metodologica del. Prof. Alessandro Pace in particolare), distinto dall’interpretazione per valori che può correre il rischio di cadere nella “tirannia dei valori” (e qui il richiamo è ovviamente al Carl Schmitt del “Seminario di Ebrach” dell’ottobre 1959 organizzato dall’allievo Ernst Forsthoff).

Nell’attuale tempo di Babele secondo l’approccio che qui si sta tentando di ri-costruire, sarebbe proprio l’oggetto unitario in questione, e cioè  la Costituzione italiana del 1947-1948 come documento politico concreto che avrebbe la funzione di unificare la scienza e l’esperienza costituzionale ponendosi quasi come fattore di riconoscimento disciplinare necessario o almeno auspicabile.

Necessario o almeno auspicabile fattore di riconoscimento disciplinare in quanto sempre ‘attuale’ e sempre ‘da attualizzare’.

Probabilmente, se il “riconoscimento nella Costituzione” ha rappresentato per anni il maggiore tra i fattore unificanti dei gius-pubblicisti italiani (di essi come ‘ceto’, ma non solo di essi!), al momento dobbiamo constatare che non è del tutto controvertibile (cioè falsificabile in senso popperiano) che non sia così.

Il già citato momento costituzionale che il Paese ed il Corpo elettorale come ‘corpo politico’ (Corpo elettorale inteso come organo costituzionale ex artt. 1, 48, 49, 138 e 139) stanno vivendo in questi mesi di scelta referendaria sul testo della Costituzione credo che sia prova provata di quanto ora asserito.

Usando stringate formule interrogative (che riducono i passaggi argomentativi e i tempi) credo sia possibile o necessario, attualmente, porsi i seguenti interrogativi al fine di meglio apprezzare ora e nel futuro l’opera del Prof. Silvio Gambino:

1) Se un tempo in forza del “riconoscimento di tutti nella Costituzione” di fronte alla Costituzione tutto arretrava (la politica e le forze politiche in primo luogo), oggi è ancora così?

2) Sono ancora attuali i tempi in cui la scienza costituzionalistica italiana aveva superata (negli anni ’60 e ‘70) la originaria diffidenza verso un Testo normativo e rigido (ex artt. 138 e 139 Cost.) ed aveva come scopo prioritario l’attuazione costituzionale attraverso la rete dei poteri e la griglia dei diritti (costituzionali ed ora euro-integrati, secondo i canoni ben presenti nella produzione del prof. Gambino); attraverso la “interpositio legislatoris” e la applicazione amministrativa e giudiziale (cioè ad opera del Legislatore, delle Pubbliche amministrazione e dei Giudici)?

3) Possiamo ancora dire che sono attuali i tempi in cui la scienza costituzionalistica considerava il Testo “rigido” ma ‘aperto all’interpretazione’  in quanto – anche in costanza di integrazione europea, ovvero come contro-limite a essa – associa e contiene al suo interno, inestricabilmente: la ‘forma e la forza della legge’ e la materialità dei rapporti sociali, i valori e i principi, le disposizioni e le norme?

4) Possiamo dire che sono ancora attuali i tempi in cui la scienza costituzionalistica s’impegnava per un’interpretazione espansiva, magis ut valeat del Testo e dei Principi fondamentali in esso contenuti negli artt. 1-12?

5) Possiamo in definitiva dire che sono inattuali i tempi in cui esisteva un ceto dei costituzionalisti che era ‘unito’ non solo nell’integrale riconoscimento nella Costituzione (o almeno nel “consenso per intersezione” sul testo), ma che era anche ‘riunito’ dal fine della attuazione della Costituzione (nella sua prima e seconda parte)? O se non ‘ri-unito’ dal fine, almeno sufficientemente compatto verso quel “fine” inteso come scopo comune o scopo ultimo? … o anche per alcuni ‘presupposto legittimante’ stante la natura kelsenianamente prescrittiva delle norme costituzionali “superiori in grado” alle norme ordinarie frutto del gioco politico fondato su regole comuni procedurali e sostanziali?

Poste queste 5 articolate e tra loro connesse domande (invero ciascuna non semplice in sé, né in relazione o in combinato con le altre … ), soprattutto in tempi di campagna referendaria, credo non occorra oggi, in una riflessione (avvertita sia pur “aperta al fatto”) in tema di “Attualità e attuazione della Costituzione italiana”, fare i nostalgici, … ovvero i “laudatori dei bei tempi antichi”.

E’ opportuno cioè evitare di apparire tali in quanto strenui sostenitori di un ‘costituzionalismo normativo’ fuori dal tempo e fuori dallo spazio (... alcuni potrebbero anche dire: “non siamo in Germania e non abbiamo la GG, siamo in Italia e il momento della “scrittura costituzionale” non può essere perfetto!”).

Rinviare il discorso sulla Costituzione inattuale perche - per tratti - ‘inattualizzata’ (secondo il bel lemma che è stato posto alla base del Convegno di Ferrara del gennaio 2013, Convegno che aveva per titolo proprio la domanda: “dalla ‘costituzione inattuata’ alla ‘costituzione inattuale’?” ) sarebbe forse cosa opportuna anche in questa sede.

Ma se lo rinviassimo al dopo, saremmo ingiusti nei confronti dell’opera, e del munus, del Prof. Silvio Gambino.

Ciò in quanto egli, nei tornanti della storia costituzionale italiana repubblicana (come l’attuale momento del 2013-2016, come il 2004-2006, e fors’anche come nella fase degli anni 1993-1997 che vide il cambio di regime politico in costanza di testo costituzionale vigente), ha sempre corso e corre, consapevolmente, il rischio di essere percepito (nel dibattito pubblico ed accademico, che in questo momento stanno in fase di sovrapposizione), come un “nostalgico”.

Un “nostalgico” che guarda al passato, ma anche al futuro, in quanto sostenitore convinto di alcuni “principi supremi della Costituzione”, o meglio di alcuni ‘principi primi del Costituzionalismo moderno’ (che pur sotto attacco .. può ancora “sopravvivere”, per usare il titolo del noto saggio di Gaetano Azzariti del 2013).

Principi rispetto ai quali Egli è stato, e continua ad essere, difensore strenuo e sostenitore arguto (e battagliero):

- dei Principi costituzionali fondamentali come principi ‘espansivi’, e soprattutto irregredibili (artt.1-12 cost.it.);

- della centralità costituzionale del lemma “lavoro (che si badi ricorre diciannove volte nel testo della Costituzione mentre nove volte ricorrono le parole “lavoratori, lavoratore, lavoratrice”) nelle politiche costituzionali e nella attuazione costituzionale del testo soprattutto nella sua prima parte;

- della necessaria (smendiana, mortatiana ed espositiana) legittimazione delle istituzioni politiche “come l’alfa e l’omega della costituzione” in senso sia formale che materiale (legittimazione che tutti i costituzionalisti dovrebbero aver sempre presente per evitare di divenire meri “ingegneri della Costituzione”);

- della validità della teoria della costituzione materiale, che non deve esser ridotta a causa di giustificazione e di legittimazione di ogni cambiamento politico,   subordinando il diritto “più alto” (quel diritto che è nato per “limitare il potere”), alle congiunturali trasformazioni della politica (o addirittura della cd. politique politicienne, che procede ad usi congiunturali, tattici, del testo della Costituzione);

- dell’integrazione costituzionale (certo smendiana e mortatiana, ma anche ingraiana, passando dalle letture giovanili dei ‘Quaderni piacentini’) attraverso le politiche dell’uguaglianza come politiche dell’attuazione dei diritti costituzionali e fondamentali;

- della democrazia parlamentare progressiva (fondata sui partiti politici organizzati democraticamente);

- della distinzione tra il “principio di maggioranza” e la “logica maggioritaria” di funzionamento costituzionale delle istituzioni di governo rispetto alle istituzioni di garanzia (negli anni 1993-1999 ben presente nella sua opera);

- della irriducibilità della “fondazione” di ogni Costituzione in senso moderno alla mera e sola “garanzia del dissenso delle minoranze” e alla mera e sola “rivendicazione individuale dei diritti”, alle quali secondo alcuni oggi dovrebbe ridursi - tramontate le ideologie - la “affectio” individuale alla Costituzione, la “consuetudine di riconoscimento” e il “patriottismo costituzionale” all’italiana;

- sostenitore, infine, del disegno delineato nel testo costituzionale del 1947 che prevede (nella sua essenza di ‘parlamentarismo democratico-sociale’, con chiara eco ‘kelseniana’ abbinata alla eco ‘keynesiana’) un meccanismo complesso di produzione della decisione pubblica, che muove dai Cittadini-elettori (titolari ognuno di diritti politici e sociali qualificabili come “frammenti di vera sovranità popolare”), passa attraverso i Partiti e i movimenti (intesi come strumenti di partecipazione e di emancipazione democratica), si concretizza congruamente nelle Assemblee rappresentative (come luogo del confronto qualificato, non solo dello scontro irriflessivo e mass-mediatico), e si definisce compiutamente in sede di Governo nazionale della Repubblica pluralista, e cioè ..

- sostenitore, in altre parole, della complessità strutturale e funzionale delle vere, efficaci ed efficienti “democrazie rappresentative”, che sono irriducibili alla sola questione totemica della “governabilità” o al solo tabù culturale della legittimazione (pretesamente) diretta degli esecutivi per il quale il rilievo della governabilità precede le esigenze della rappresentanza politica con corto circuiti ripetuti sulla rappresentanza degli interessi.

Conclusioni

Se mi fosse consentito trarre una conclusione in relazione all’oggetto della comunicazione che sta per terminare, l’asserzione che potrei sostenere è quella per cui non si cade in errore se, nei confronti dell’opera del Prof. Silvio Gambino in tema di attualità ed attuazione della Costituzione, si riconosce come la Costituzione italiana (al pari di tutte quelle degli “Stati sociali di diritto”) è stata intesa da questo Autore non solo come “limite dell’interpretazione”, ma anche, e con maggior forza, come  “fondamento dell’interpretazione”, e dunque “della attuazione costituzionale progressiva” alle condizione storicamente e materialmente date (del Paese e del Mondo).

Non si cade in errore, dunque, se si sottolinea come nell’opera del Prof. Silvio Gambino, tutte le Costituzioni novecentesche degli “Stati sociali di diritto” (ed anche la Costituzione italiana del 1947; nelle Lezioni di diritto pubblico comparato editate da Giuffré negli anni ‘2000 l’insegnamento è limpido sul punto), costituzioni frutto del patto costituente post-bellico (ma anticipate da quella di Weimar del 1919, cui l’Autore guarda come ideal-tipo o paradigma), sono da lui intese, ovvero “colte”, non come meri “strumento di legittimazione del reale”, ovvero come “Costituzioni-bilancio” per usare il termini usato dagli storici del diritto, ma come  “garanti e promotrici della trasformazione sociale” e del connesso “sviluppo del persona” e della personalità, e cioè come “Costituzioni-programma” in senso martinesiano e mortatiano.

“Costituzioni-programma” che si iscrivono nel novero dei “poteri costituiti” in quanto sono dotate, e sono limitate, dai ‘Principi supremi’ che – è ben noto - sono sottratti alla disponibilità delle forze e delle volontà politiche (tendenzialmente sregolate, per come l’Autore spesso ha scritto).

“Costituzioni-programma”, dunque, espressioni di un costituzionalismo non certo irenico, e che però, essendo iscritte nel novero dei poteri costituiti sono sempre strette (talvolta molto strette, si pensi alle fasi di invocazioni del primigenio “potere costituente”) tra il fuoco della “sovranità popolare” effettiva, e il fuoco dei “limiti costituzionali” alla sovranità politica effettivizzata.

Tra questi due fuochi risiede la categoria di “democrazia costituzionale” alla quale il nostro Autore fa continuo riferimento, mai dimenticando il peso assiologico di cui il primo sostantivo dispone alla stregua dell’aggettivo che lo qualifica.

E mai dimenticando anche l’insegnamento espositiano sopra cennato sulla democrazia politica per il quale: “il contenuto della democrazia non è che il popolo costituisca la fonte storica o ideale del potere, ma che abbia il potere; non già che esso abbia solo il potere costituente, ma che a lui spettino poteri costituiti; e che non abbia la nuda sovranità (che praticamente non è niente) ma l'esercizio della sovranità (che praticamente è tutto)” cfr. Carlo Esposito, La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, pp. 226-227.

Per chiudere questa breve (e frammentata) comunicazione, con una asserzione forse apodittica alla luce dei pochi argomenti conferiti allo scopo, ma si spera (sia l’asserzione) comunque utile per approfondire in futuro quanto dal prof. Silvio Gambino per oltre un quarantennio è stato insegnato (a migliaia di studenti, tesisti e colleghi), Egli si iscrive pienamente alla scuola del “costituzionalismo democratico europeo e italiano” che ha illustri e ben noti Maestri in Italia e in Europa (Francia, Germania e Spagna in particolare).

Se dunque, Egli invoca spesso la “democrazia costituzionale”, il sostrato, e il non detto, della sua Opera è anche il “costituzionalismo democratico” che se si vuole del primo è il reciproco.

Questa scuola (senza la s maiuscola), nel suo intrinseco pluralismo metodologico, culturale e politico, parte da un presupposto che è quasi un assioma, e che può esser considerato - ad avviso di chi scrive - un presupposto auto-evidente in un approccio scientifico e culturale che sia laico, illuminista ed anche realista.

Secondo tale presupposto costituisce una “pia illusione”, il pensare che il potere, anzi “il Potere”, anzi “i Poteri” (con la P maiuscola), si auto-limiti o si auto-limitino.

Tutti i Poteri, tanto quelli pubblici tanto quelli privati (sui quali la riflessione scientifica è ancora statu nascenti).

La funzione del costituzionalismo democratico nella storia, e ancora oggi, è, secondo questi approcci, proprio quella di limitare – cioè di porre limiti precisi -  al Potere, anzi ai Poteri.

Chi vi parla crede che esista, nella scienza e nella storia costituzionale, un chiaro, semplice e fecondo “principio di dottrina politica” per il quale deve essere il popolo ad imporre la Costituzione al governo, e non viceversa (sia nel procedimento di formazione che nel contenuto della decisione/statuizione costituzionale, dal latino: “constituere” = “porre insieme”).

Tale principio, secondo l’insegnamento che ho tratto da 25 anni di libero dialogo e di faticoso apprendimento col prof. Gambino, costituisce oggi come nel passato l’essenza del costituzionalismo democratico che vale la pena coltivare per il presente ma anche per il futuro.

Grazie a tutti per l’attenzione. Walter Nocito Università della Calabria, Aula Magna, 26 ottobre 2016

Relazione  al Convegno internazionale di Studi  “Costituzioni, Diritti, Europa. Giornate in onore di Silvio Gambino” (Sessione II, “Democrazia e Costituzione”) Università della Calabria, Aula Magna, 26 ottobre 2016

 

 

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