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le ragioni del No referendario contro il “futurismo costituzionale” governativo PDF Stampa E-mail
Scritto da walter nocito   

La legge di revisione costituzionale imposta da Governo Renzi ed approvata dal Parlamento italiano (pubblicata in Gazzetta ufficiale il 18 aprile) sarà oggetto di un controllo popolare attraverso lo svolgimento di un Referendum oppositivo

che chiamerà il Corpo elettorale alle urne (senza alcun quorum di validità della consultazione). Ciò avverrà nel mese di ottobre 2016 (domenica 16 potrebbe essere la data utile per la consultazione).

Tale Referendum è a tutti gli effetti un esercizio di sovranità popolare nel quale il popolo potrà o meno opporsi ad un esercizio di “futurismo anti-costituzionale” di una classe di governo approssimativa che scarica sulla Costituzione difetti politici e insufficienze che sono suoi propri.

Diciamo “futurismo anti-costituzionale” in ragione del fatto che i toni della narrazione governativa che accompagna la riforma costituzional-elettorale (narrazione governativa che corrisponde all’attuale narrazione renziana, che ha superato la primigenia narrazione della ‘rottamazione’!) sono stati caratterizzati da uno spensierato futurismo basato sulla “retorica della velocità” e sulla marinettiana “bellezza della velocità” che esaltava futuristicamente  – come può ricordarsi  - il “il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno”.

Sinistra Italiana e le sue componenti, nelle sue Assemblee regionali e locali è oggi quella forza politica che più deve attivare nella società un impegno forte,  preciso, passionale e razionale, contro questa narrazione.

Un impegno che deve rafforzare la campagna referendaria che è già avviata e che si chiuderà il 16 ottobre.

Le ragioni per votare “NO” - con passione e raziocinio - nel Referendum del prossimo ottobre sono certamente tante.

Ora vorrei solo esplicitarne alcune, distinguendo tra quelle più ‘politiche’ (che personalmente condivido essendo d’istinto refrattario a progetti approssimativi e neo-autoritari), quelle più ‘costituzionali’ e quelle più ‘tecnico-costituzionali’.

Queste ultime due tipologie stanno già da tempo circolando nel Paese (e nella pubblica opinione) ad opera del “Comitato nazionale per la democrazia costituzionale” costituitosi nell’estate del 2015 a Roma e presieduto dai proff. Alessandro Pace e Gustavo Zagreblesky (quelli chiamati “professoroni” dalla Boschi nel 2014!).

Di recente la terza tipologia ha avuto una ampia diffusione anche in forza del “Documento sulla riforma costituzionale” lanciato dai proff. Valerio Onida ed Enzo Cheli e firmato da 56 costituzionalisti – tra cui chi parla – che nei giorni scorsi è stato ampiamente diffuso sui mass-media, sui social net-work e (spero lo sarà), nella società civile ma anche nelle più varie sedi politiche di discussione e di proposta.

Ragioni politiche del “NO”

Tra le ragioni politiche del “NO” al progetto politico ‘implicito’ contenuto nella Revisione costituzionale governativa (abbastanza) neo-autoritario e (certamente) sgangherato, certamente includerei il fatto che sarebbe al minimo disdicevole ed inopportuno che  i vari Renzi, Verdini, Boschi e Alfano (al momento ascrivibili al Partito della Nazione) assurgano al ruolo di nuovi padri costituenti, inducendo in forte – ed insuperabile -  imbarazzo quanti sanno che i padri costituenti del 1946-47 (Piero Calamandrei, Umberto Terracini, Pietro Nenni, Alcide De Gasperi, Giuseppe Dossetti, Palmiro Togliatti, Concetto Marchesi, Costantino Mortati, Aldo Moro e altri) sono stati soggetti di alto rigore morale i quali settant’anni mostrarono, in sede di Assemblea Costituente, un effettivo ‘spirito costituente’ e non un modesto ‘spirito di parte’.

Quei padri costituenti, in quella sede, distinguendo il piano della politica da quello delle ‘regole costituzionali comuni’, scrissero una Costituzione democratica  caratterizzata da “Principi fondamentali” molto chiari e netti; una Costituzione molto avanzata che, nel suo complesso, è ancora equilibrata e il cui perfezionamento richiede non grandi riforme ma solo alcuni piccoli (ma mirati e condivisi) interventi manutentivi e di aggiornamento.

Come usiamo spesso dire da almeno un ventennio la Costituzione democratica va applicata e perfezionata non stravolta!

Ragioni  costituzionali del “NO”

Vengo ora alle ragioni più costituzionali del “NO” allo sgangherato progetto costituzionale governativo. Qui devo usare termini più soft e dirò che il progetto politico ‘implicito’ da contrastare agisce sia sulla forma di Stato che sulla forma di governo, e che i pericoli maggiori sono insediati nel secondo aspetto più che nel primo …

In termini molto espliciti, la revisione costituzionale introduce un forma di presidenzialismo strisciante (che non è un Premierato all’interno di una forma di governo parlamentare) … ma lo introduce senza dirlo!

Il progetto politico ‘implicito’ è infatti omesso nella lettera della revisione, ma si ricava dall’agire congiunto delle stessa con la nuova Legge elettorale la quale è il vero “non detto” (anche perché frutto del patto del Nazareno) di questa Revisione renziana.

Ragion per cui se “cadono, … cadono insieme”. Ragion per cui il Referendum oppositivo di ottobre è anche un esercizio di sovranità popolare contro l’ “Italicum(ma meglio sarebbe chiamarlo il “Super-porcellum”, cioè la l. n. 52 del 2015) che impone un sistema elettorale sotto diversi profili in-costituzionale.

I 56 costituzionalisti prima richiamati (ma sono molti di più nel Paese, pur se ancora non ‘esposti’ nel dibattito pubblico!) hanno usato toni ancora più soft e hanno parlato di “appannamento di alcuni dei criteri portanti dell'impianto e dello spirito della Costituzione" e dell’insieme delle modifiche come di “una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale”. Il tutto in un processo di riforma costituzionale, in astratto “originato da condivisibili intenti di miglioramento della funzionalità delle nostre istituzioni”.

Si badi che tutti loro - come anche una forza che sia di “sinistra di governo” - sono ben convinti dell'opportunità di interventi riformatori su alcune parti del testo costituzionale che “investano l'attuale bicameralismo e i rapporti fra Stato e Regioni”, e non indicano questa riforma come la sicura anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una deriva verso un autoritarismo di vecchio o nuovo conio.

E tuttavia (anche a partire dalle critiche dei 56 costituzionalisti che a breve richiameremo) se valutiamo l’agire congiunto della riforma costituzionale con la riforma della legge elettorale iper-maggioritaria (legge che è la vera “costituzione materiale” del Paese) e se applichiamo in tale valutazione una buona dose di sano realismo politico, non possiamo fare a meno di considerare che il ‘pacchetto Boschi-Renzi’ è alquanto lontano da quanto il costituzionalismo democratico ha sempre perseguito (nella “lotta per il diritto”).

Il “cuore” del costituzionalismo democratico-sociale, deve ricordarsi, oggi come nel passato, non è stato e non deve esser mai funzionale all’esigenza di “semplificare per governare”. Il “cuore” del costituzionalismo, al contrario, è stato e deve esser finalizzato a “dividere il potere” e ad “assicurare i diritti” per come ha prescritto l’articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 che è l’atto costitutivo del costituzionalismo moderno e democratico. Tale articolo, ben 227 anni fa, prescriveva che:  “Ogni società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri fissata, non ha una Costituzione”.

In questa ottica, lo “spensierato futurismo” (forse a-costituzionale forse anti-costituzionale) di cui sopra si allontana  da quanto il costituzionalismo democratico ha storicamente perseguito, e cioè una “adeguata separazione/articolazione dei poteri” che impedisca la sovranità indivisa e la concentrazione del potere politico-economico in un unico soggetto o organo.

In questa ottica, dobbiamo constatare come, a partire dal 2013-14, la peculiare crisi ita­liana ha prodotto un feno­meno di “populismo all’italiana” acutamente definito -  da Marco Revelli – un “rozzo stil novo”, un popu­li­smo cioè viru­lento ma nello stesso tempo isti­tu­zio­nale, in quanto emer­gente non “al mar­gine” del sistema di potere ma nei cen­tri del potere.

Il  costituzionalismo liberal-democratico del 900 ci ha insegnato, d’altra parte, che la Costituzione è lo strumento di garanzia che si scrive da sobri e da usare per quando si è  ubriachi per cui è proprio momenti in cui si tende ad essere ubriachi, che le riforme non devono andare alla ricerca della semplificazione palingenetica o della governabilità sacralizzata come “valore in sé”. E ciò anche in quanto il costituzionalismo democratico-sociale non ha mai sterilizzato o “ghettizzato” il conflitto e i conflitti all’interno delle società pluraliste, cercando invece di garantire la dialettica dei diritti e la loro composizione nelle arene parlamentari, discorsive, giurisdizionali ed amministrative.

In assenza di sicure ed effettive Istituzioni di garanzia, il combinato tra l’Italicum e la revisione renziana  produrrà, al contrario di quanto sopra indicato,  effetti opposti a quelli indicati nella sua narrazione. Ciò in quanto le riforme renziane - in barba all’antipolitica sbandierata - rafforzeranno i poteri di un ceto politico-governativo sempre più blindato e separato dai cittadini, nel mentre aggraveranno la conflittualità nelle istituzioni e nel corpo sociale che non avrà sfoghi né parlamentari, né istituzionali, né amministrativi.

Nella narrazione che sorreggerà la campagna renziana sarà ripetuto ossessivamente che occorre “aumentare la velocità di produzione delle leggi e sfornarne di più e più celermente”.

E invece l’Italia soffre, pesantemente, il problema esattamente opposto, e cioè l’ipertrofica e caotica produzione di normative e legislazioni malfatte (cioè troppo disorganiche e di scarsa qualità). La vera esigenza, oggi, non è la “velocità” ma è la certezza del diritto e dei diritti accompagnata ad una maggior lentezza e ponderazione, e dunque ad una migliore qualità della produzione di norme e di leggi, associate ad una innovazione effettiva della pubblica amministrazione che acceleri le decisioni ed evidenzi le responsabilità in un quadro normativo certo e stabile.

Ragioni  tecnico-costituzionali del “NO”

Soffermiamoci infine su alcune delle ragioni più precisamente tecnico-costituzionali del “NO” alla sgangherata e alquanto approssimativa riforma renziana del bicameralismo.

Nel farlo però ricordandoci del precedente che, in materia istituzionale è costituito dalla legge Delrio (la l. n. 56 del 2014) che ha dato ad oggi una pessima prova di se in relazione al riordino del governo locale e territoriale ed alle funzioni pubbliche essenziali/fondamentali delle provincie soppresse sì ma solo nel loro livello politico-democratico.

Perché i 56 costituzionalisti (studiosi di provenienza e culture politiche le più varie) hanno espresso, nel Documento citato, la loro grande, ponderata e seria preoccupazione sul testo della “riforma Boschi” in oggetto di consultazione popolare referendaria a ottobre 2016? Attenzione! sul “testo della riforma” e non sul progetto politico (più o meno implicito o esplicito) che sta dietro, o oltre, la “grande riforma”.

Schematicamente  - e utilizzando i precisi termini del “Documento dei 56” - i motivi tecnico-costituzionali sono sostanzialmente sei:

Primo motivo. Perché il testo della riforma si presenta come risultato raggiunto da una maggioranza parlamentare (che esprime un “indirizzo politico” e non un consenso sulle regole comuni) e non è stato il frutto di un consenso maturato fra le forze politico-parlamentari. Peraltro la maggioranza parlamentare è stata “variabile e ondeggiante” ed è prevalsa nel voto parlamentare con modalità affatto consone alla logica della ponderazione costituzionale (“abbiamo i numeri!!”). Il fatto poi  che il testo della riforma sia sottoposto ad un referendum determinante ai fini della permanenza o meno in carica del Governo, per i 56 costituzionalisti,  rischia di strumentalizzare del tutto il referendum stesso. Ciò è del tutto scorretto in quanto la Costituzione non è e non dovrebbe essere espressione di un “indirizzo di governo” o del prevalere di alcune forze politiche su altre” … ma dovrebbe essere - anzi deve essere  - “espressione delle reali esigenze del Paese”. Ribadiscono per l’ennesima volta i 56: “La Costituzione non è una legge qualsiasi, che persegue obiettivi politici contingenti, legittimamente voluti dalla maggioranza del momento, ma esprime le basi comuni della convivenza civile e politica. E’ indubbiamente un prodotto “politico”, ma non della politica contingente, basata sullo scontro senza quartiere fra maggioranza e opposizioni del momento. Ecco perché anche il modo in cui si giunge ad una riforma investe la stessa “credibilità” della Carta costituzionale e quindi la sua efficacia”.

Secondo motivo. I 56 costituzionalisti scrivono poi: “Perché l'obiettivo di un superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto e l'attribuzione alla sola Camera dei Deputati del compito di dare o revocare la fiducia al Governo darebbe vita ad un Senato estremamente indebolito”

Terzo motivo: “Perché si andrebbero a configurare una pluralità di procedimenti legislativi differenziati a seconda delle modalità di intervento del Senato con evidenti rischi di incertezze e conflitti”.

Quarto motivo: “Perché alle Regioni verrebbe tolto quasi ogni spazio di competenza legislativa, rendendole prive di reale autonomia anche sul piano finanziario e fiscale (mentre si lascia intatto l'ordinamento delle sole Regioni speciali!)”.

Quinto motivo: “Perché il buon funzionamento delle istituzioni non è un problema di costi bensì di equilibrio fra organi diversi che non si può risolvere tout court limitando il numero di senatori e sopprimendo tutte le Province. Non bisognerebbe, forse, rivedere e razionalizzare le dimensioni territoriali di tutti gli enti in cui si articola la Repubblica per ridurre i costi?”.

Infine, sesto e ultimo motivo (ma il più problematico tra i motivi di ordine tecnico-costituzionale in quanto attinente alla manifestazione primigenia del potere politico che oscilla tra ‘costituito’ e ‘costituente’ ex artt. 1, 138 e 139 Cost. it.): “Perché l'elettore sarebbe costretto ad un voto unico, su un testo non omogeneo, facendo prevalere, in un senso o nell'altro, ragioni politiche estranee al merito della legge: se invece ci fosse la possibilità di votare separatamente sui singoli grandi temi in esso affrontati non sarebbe, forse, un voto più ragionato ed opportuno?”. Walter Nocito

*Comunicazione all’Assemblea Costituente regionale di Sinistra Italiana (Lamezia Terme, 30 Aprile 2016)

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