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“Fascist Legacy”, la Repubblica e l’origine della democrazia politica italiana PDF Stampa E-mail
Scritto da walter nocito   

A commento del documentario “Fascist Legacy” (trasmesso da History Channel nel 2012 e disponibile sul web: https://www.youtube.com/watch?v=2IlB7IP4hys) posso dire solo poche parole, in quanto lo stesso è sufficiente a darci un informazione completa sui temi intorno ai quali ci stimola il Presidente della Sezione Anpi “Antonio Gramsci” del Tirreno cosentino.

Svolgerò perciò solo qualche osservazione relativamente al tema della “Repubblica e dell’origine delle democrazia politica italiana”.

Lo Stato italiano prima di essere una Repubblica, e cioè negli 1943-46, oltre a tante cose buone e giuste (quali l’elezione popolare a suffragio universale e il dibattito politico in seno all’Assemblea Costituente) realizzò una serie di atti pubblici in forza dei quali la cosiddetta «ragion di Stato» fu adottata come la “misura prevalente” della transizione dallo Stato monarchico-autoritario alla Stato democratico-repubblicano.

L’Italia pre-repubblicana e neo-repubblicana, in particolare, impedì l’epurazione nella Magistratura, nelle Forze dell’ordine e nell’Esercito, e con riferimento specifico ai fatti bellici del 1939-1943 relativi ai crimini italiani all’estero (in Jugoslavia, ma anche relativi al cd. «fascismo di frontiera») protesse in vario modo i “criminali di guerra”.

La storiografia ha accertato alcuni di questi comportamenti omissivi, in forza dei quali, negli anni successivi al 1945, si è innalzato un solido muro sui crimini degli «italiani brava gente», consentendo in larga misura la garanzia dell’impunità ai massimi vertici militari del regio Esercito (garantiti, paradossalmente, propria da quella Repubblica autodefinitasi “antifascista” ma vincolatasi alla “continuità dello Stato”).

Uno storico del ‘900, che scrive su Il Manifesto, ha messo a fuoco, tra gli altri, la significatività di questi passaggi storici e il peso che la “continuità dello Stato” ha avuto nel loro svolgersi  prima in termini di «ragion di Stato» e poi in nome dell’anti-comunismo (dopo il 1947).

In un articolo molto interessante e chiaro (pubblicato su Il Manifesto, il 24 aprile 2016, con il titolo “Il peso della continuità dello Stato”) questo storico - Davide Conti – ha sottolineato come in quegli anni l’Italia abbia profuso “ogni sforzo per impedire l’epurazione delle strutture dello Stato in seno a magistratura, forze dell’ordine ed esercito”, mentre i dirigenti politici italiani manifestarono un “particolare attivismo istituzionale (con la creazione di una Commissione ad hoc) volto a garantire l’impunità dei criminali di guerra italiani richiesti dai paesi aggrediti dal fascismo nei Balcani ed in Africa ... Mentre gli effetti della ‘amnistia Togliatti’ svuotavano le carceri e chiudevano i processi per gli eredi di Salò la stessa magistratura non epurata avviò una persecuzione giudiziaria contro migliaia di partigiani, per difendere i quali due padri della Repubblica come Lelio Basso e Umberto Terracini dovettero costituire i «Comitati di Solidarietà Democratica» ... La linea «dinamica» della continuità permise, grazie alla Guerra Fredda, di collocare in nome dell’anticomunismo figure del regime fascista in ruoli chiave del nascente Stato repubblicano”.

L’elenco di queste figure non è breve. Scrive il Conti:

Ettore Messana, iscritto nella lista dei criminali di guerra delle Nazioni Unite, divenne capo dell’Ispettorato di PS in Sicilia ai tempi della strage di Portella della Ginestra subendo la «censura» del Tribunale di Viterbo per la sua condotta e per le relazioni intrattenute con esponenti della banda di Salvatore Giuliano prima e dopo l’eccidio. D’altro canto il suo successore Ciro Verdiani, ex responsabile dell’Ovra sul confine orientale, decise di festeggiare il Natale del 1949 in compagnia di Giuliano prima che quest’ultimo venisse ucciso dal suo ex sodale Gaspare Pisciotta assoldato dal colonnello dei carabinieri Ugo Luca, ex membro del SIM fascista, inviato in Sicilia dal ministro dell’Interno Mario Scelba. Al ministero dell’Interno l’esponente dc chiamò a ricostituire il casellario politico centrale Giuseppe Pièche, capo della sezione del controspionaggio SIM inviato da Mussolini in Spagna nel 1936 e in Jugoslavia nel 1941, che fuggì a Malta dopo l’inchiesta del golpe Borghese del 1970. Il generale Gastone Gambara, iscritto nelle liste dei criminali per le stragi nei Balcani, fu membro della struttura di Edgardo Sogno «Pace e Libertà» indagata dall’allora giudice Luciano Violante per il tentato «golpe bianco» del 1974”.

Scrive ancora il Conti:

“La continuità dello Stato si articolò come un processo per nulla statico e attraverso i suoi interpreti politici ed economici influenzò significativamente il rapporto storico dell’Italia con il suo passato operando paradossalmente, in particolare nel primo decennio repubblicano, una rottura più profonda con la Resistenza piuttosto che con l’eredità del regime. Le vicende dei criminali di guerra e delle loro carriere nella Repubblica non rappresentano casi individuali ma vicende esemplificative di alcuni degli esiti della transizione evidenziando quanto i conti col passato siano vitali per una democrazia compiuta”.

Sulla persistente mitologia degli «italiani brava gente» non voglio svolgere ulteriori considerazioni tranne che segnalare come è del tutto inappropriato ad avviso di chi scrive delegare – come sempre più si sta facendo in Italia - la divulgazione storica alle infinite “fiction tv”, a ripetuti “scoop librario-giornalistici”, ovvero a episodici spettacoli di teatro civile.

L’Anpi giustamente e correttamente deve impegnarsi sempre di più in tali operazioni di divulgazione, in maniera tale che la ricostruzione/racconto di questioni dolorose (e tragiche) come sono state - ad esempio - le “foibe” o l’ “esodo dalmata-istriano” non siano affidati solo ad “un profluvio di espedienti narrativi ad alta densità di pubblico e presentati con l’immancabile mantra del «finalmente luce sulla storia taciuta» che accompagna il nuovo linguaggio di trasmissione storica scelto dalla comunicazione politica” (sempre Davide Conti), nel mentre resiste e non si scalfisce di molto il “solido il muro” innalzato sui crimini degli «italiani brava gente» prima indicato.

A tale proposito, a mò di chiosa, è utile ricordare come da parte della Repubblica italiana sia stata omessa ancora la pubblicazione ufficiale “con di timbri dello Stato”, dei risultati della Commissione italo-slovena istituita dai governi di Roma e Lubiana alcuni anni fa (formata in pari rappresentanza da storici dei due paesi).

Lo Stato Sloveno ha ufficialmente pubblicato quei risultati, mentre quello italiano non lo ha fatto.

Gli “Editori Riuniti” hanno di recente pubblicato la Relazione finale di quella Commissione nella quale si documentano il «fascismo di frontiera» degli anni ’20, i crimini italiani nella “Provincia di Lubiana”, “la deportazione di poco meno di 100.000 jugoslavi in campi d’internamento fascisti, le foibe e le violenze jugoslave del settembre ’43 e maggio ’45, fino all’esodo degli italiani dall’Istria e dalla Dalmazia.

Come cittadini italiani e come Anpi rimaniamo in attesa di un Governo italiano che avvii la presentazione ufficiale di quella documentazione bilaterale.

Nel frattempo possiamo ricordare  come nel primo settennato di Giorgio Napolitano (ex responsabile esteri del PCI) durante la prima Celebrazione ufficiale del 10 febbraio 2007 (“Giorno del Ricordo”) avvenne un significativo “scontro diplomatico” della Presidenza della Repubblica con l’allora presidente della Croazia Stipe Mesic che ricordò i crimini di guerra fascisti (in risposta al Quirinale che aveva parlato di «pulizia etnica slava» contro gli italiani).

Quello “scontro diplomatico” fu poi ricomposto con l’incontro del Presidente Napolitano “con i Presidenti Türk e Josipovic alla «Narodni Dom» di Trieste, incendiata dai fascisti nel 1920, che segnò una discontinuità nella nostra rappresentazione pubblica nazionale” (così Davide Conti nell’articolo “La storia per legge”, Il Manifesto, 4 febbraio 2014). Walter Nocito docente Unical, Anpi “Antonio Gramsci” - 25.04.2016

 

 

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