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l’identità di Belvedere nel culto della Madonna delle Grazie PDF Stampa E-mail
Scritto da mauro d'aprile   

Oltre ad alcuni elementi fisico-strutturali che ne connotano il paesaggio, l’Identità di una Città, viene definita dal modo con il quale gli uomini e le donne, appartenenti al suo contesto,  si sono costruiti le loro reciproche relazioni, rendendo facile e feconda  la stessa civile convivenza e sviluppando peculiari modi di socialità, di cultura  e di scambio.

La coscienza di sé, il sentirsi partecipi dei caratteri ambientali e culturali che ci hanno accompagnato,  tende a valorizzare, tra i diversi fattori, quelli che più definiscono un sistema di relazione interna al modo di pensare, di fare e produrre del gruppo con cui ci si identifica, sancito, più dalle maniere di stare insieme con i propri omologhi, che non dai modi di contrapporsi agli altri.

L’identità in questo caso non è altro che il grado di coesione sociale di una comunità, la forza dei legami in essa posti in essere, il grado di fluidità- e dunque fiducia interna- di cui una comunità è capace.

L’identità di un Popolo tende ad essere tanto più forte, sentita  e partecipata, quanto più il sistema territoriale di riferimento si presenta come integrato.

Il contesto, e cioè l’ambiente e la storia, fornisce il modello di riferimento di una simile integrazione. La forza dei valori condivisi si manifesta nell’auto-riconoscimento simbolico di un paesaggio, di una serie di tradizioni, di luoghi fisici e mentali di un modo di essere e di vivere che fa tutt’uno col proprio territorio.

Anche gli itinerari religiosi, i luoghi di culto con il loro patrimonio storico-artistico, i sentieri di fede che hanno connotato il cammino spirituale del proprio contesto, sono ugualmente fattori determinanti di coesione  e insieme emblematici di ogni processo identitario e, spesso, fungono da termometro sulla tenuta dello stesso. A seguito lo svuotamento fisico intellettuale del nostro Centro Storico con conseguente depauperamento del suo ricco patrimonio, anche quelli religiosi, fondanti e secolari,  legati alla Storia della Nostra Città, risentono di una preoccupante ricaduta.

Il Culto della Madonna delle Grazie, insieme a quello di San Daniele Martire Concittadino, uno dei primi Padri Fondatori del Francescanesimo Italiano, e a quello più recente del Crocifisso, ha costituito fin dagli albori degli insediamenti umani sul Colle del Belvedere il fattore identitario che meglio ha caratterizzato la vita spirituale della Città, rimanendo l’Immagine delle Vergine indefesso vessillo e baluardo di civiltà anche al cospetto di disastrose vicende belliche per il dominio della Città o la difesa delle proprie mura.

Venerata, quale Dono di Grazie, fin dagli insediamenti dei monaci orientali che, quali unità eremitiche, interessarono le nostre aree, avamposto di quelle più significative del Merkourion (non é un caso che anche a Verbicaro nello stesso giorno si festeggia la stessa ricorrenza dedicata alla medesima Patrona della Città), l’immagine della Vergine, che la tradizione popolare vuole già presente in effige in una Chiesetta a ridosso del Mastio Normanno-Svevo, viene riproposta successivamente in quella più significativa su di una tela Rinascimentale quale Madonna delle Grazie e delle Anime Purganti.

La tela viene custodita, per come si evince dal testamento del Curato Abate Giovanni Battista Perrellis del 10 settembre 1667, nella medesima Cappella ricavata in ampliamento della Chiesa del Convento della SS Annunziata del 1466, Cenobio di Padri Eremitani, osservanti la regola di S.Agostino, a sua volta sorto su di un precedente Cenobio Basiliano, oggi Chiesa delle Grazie.

Una conferma questa  che il Culto della Vergine delle Grazie a Belvedere risale all’epoca della prima migrazione di monaci greci, tra il VII° e IX° secolo, presenti sul restante territorio nell'Abbazia di S.Antonio ed in altri Cenacoli quali San Nicola, San Giacomo, Santa Lucia e quelli delle numerose Contrade che ancora oggi nei toponimi conservano la memoria di una presenza spirituale orientale (Sant’Elia, San Nicola, Santo Stefano, Terra della Croce, Santo Janni, San Basilio,ed altri). Una spiritualità quella di Belvedere che si intreccia nel ben più importante panorama di influenze dei grandi Monasteri dell’epoca: con le spelonche Basiliane che ripropongono quelle dell’eremitico ed ascetico Monte Athos nell’allora Bitinia, oggi Grecia Orientale; quella specificatamente Bizantina di Monte Sant’Angelo sul Gargano nella testimonianza di uno stupendo Portale della Chiesa di San Giacomo o del Rosario, datato 1091; quella della Spiritualità di Santiago di Compostella in Galizia, richiamata in una lapide commemorativa della stessa Chiesa San Giacomo, utilizzata come pietra sacra ai primi del “900” ed ora custodita nella muratura della Chiesa Madre.

Il Culto della Madonna delle Grazie è oltremodo rimasto confermato anche durante le diverse dominazioni Longobarde, Normanne, Sveve, Angioine e Aragonesi. E non è un caso se, nel 1682, il Convento degli Agostiniani venne ampliato dal ceto nobile della Città. Inoltre la realizzata Cappella delle Grazie, vedeva un diretto interessamento del IV° Principe di Belvedere Carlo Carafa, figlio di Francesco Maria, che a seguito del matrimonio da lui contratto  nel 1688 con la facoltosa Elisabetta, figlia del marchese Van Den Eynden, deceduto di tisi nel 1674, non tradiva il desiderio della sensibile religiosissima Moglie di trasferire dal Palazzo Van Den Eynden in Napoli, divenuto Villa Carafa di Belvedere, numerose opere d’arte di cui si pregiava l’edificio: così le opere fiamminghe del San Giuseppe e del San Gaetano da Thiene a Belvedere, come il famosissimo Cristo Portacroce a Bonifati, città annessa al Principato di Belvedere e che della famiglia Olandese conserva lo stemma sul Portale di Palazzo Ducale, quale sede estiva, a scavalco con quella di residenziale di Belvedere, (Palazzo Leo Giovanni, oggi Clinica Spinelli,  all’epoca sviluppato su due piani, munito e fortificato da lambertesche sulla facciata principale).

E’ innegabile che la dotazione patrimoniale artistica di Belvedere proprio in questi anni (1690-1711) si arricchisce di due capolavori scultorei di grande spessore: Il Crocifisso e la Statua della Madonna delle Grazie. Ed è innegabile che solo la influenza della potente Famiglia ha potuto far si che il Crocifisso, opera gemella di quella di Foggia, della scuola Napoletana di Giacomo Colombo su ispirazione di Pietro Frasa, destinata ad altra Città della Capitanata, finisse a Belvedere, con la edificazione della Chiesa del Crocifisso, avviata dai confratelli della precedente Congregazione di Santa Maria del Pianto.

Ed è innegabile che il pregiato altare ligneo dorato della Cappella della Vergine delle Grazie, coronato da quel capolavoro artistico rappresentato dalla Statua della Vergine col Bambino allattante, non poteva che riscontrare altra immaginazione se non nel sensibile femminile gusto artistico della Principessa fiamminga Elisabetta. Un pezzo di rara bellezza in legno di tiglio, datato (1690 Bonifacium Bonomiae Fecit) che denota una plastica eleganza ellenica della Mamma, percettibile ed intuibile nelle delicate e sinuose pieghe lignee dell’abito, e del Figlio, che nella contorsione e nell’espressione del volto, sembra richiamare la Vergine ai bisogni di un Popolo.

Culto Popolare di grande vocazione sociale soprattutto in anni successivi per avere lo stesso Convento Agostiniano con un muro circondato lo spazio del Lanzo e l'antistante Chiesa di Santa Maria del Pianto (oggi Crocifisso) con l'Oratorio del Monte di Pietà, Sodalizio di Ecclesiastici e Nobili Laici, per le fanciulle bisognose della “Dote” e lo "Spetale" per i poveri ed i pellegrini accanto al quale era ubicato l'Ospizio pubblico con la "Buca" per i trovatelli. Una inclinazione questa di Belvedere, sensibile da sempre, all’accoglienza ed assistenza medica a conferma della storica influenza della Scuola Salernitana di Medicina sia Longobarda che Normanna, succedutasi nei secoli e che ha distinto la Nostra Città quale presidio, ancora attuale di strutture sanitarie ed ospedaliere.

Il "Ritorno al Culto" della Madonna delle Grazie può essere la ripartenza per riscoprire i nostri "Valori Identitari". Non si tratta di sproporzionate suggestioni. Si tratta della necessità di ricomporre una civile convivenza fra uomini connotati da una Storia Comune. Restituiremo la Madonna delle Grazie al suo Popolo: “I secoli andati ti dissero quanto T’amò questa terra che oggi ti onora. All’ombra raccolta del puro tuo manto Fu grande la gente che oggi T’implora”

Lo faremo in occasione del primo anno senza Don Guido Mollo che ha dedicato l’intera esistenza alla Vergine. Lo faremo, mi auguro, col proposito di portare la Statua in Visitazione durante il mese di Luglio nell’intero territorio Comunale: nelle Contrade abitate nell’invocazione per la fertilità dei campi.

La lasceremo una notte a  Laise per San Nicola, Sant’Elia, Trifari, La Rocca. La porteremo nella Chiesetta di Sant’Andrea per la Pantana, il Turno; in quella della Palazza per Campo Minore, Olivella, Le Praie; in quella di Sant’Antonio per l’invocazione al ritorno del Lavoro nelle Fabbriche; nella Chiesa del San Michele a Santa Litterara in visitazione dei villeggianti per l’intero Comprensorio Turistico lato Nord; nella Chiesetta abbandonata del Vetticello per Calabro, Pantaide, Fontanelle. La condurremo al Porto in barca, in prossimità del Depuratore, per la Salute del Mare, alla Marina per le vie dei Negozi.

La venereremo con preghiere nella Chiesa del Rosario in prossimità di Capo Tirone, con il suo Storico approdo naturale, dal quale abbiamo conosciuto influenze determinanti per la nostra crescita. Dalla Marina i pericoli di feroci assalti di predoni a cui abbiamo risposto organizzando il territorio alla difesa.

A vessillo, al di sopra delle diverse dominazioni, abbiamo eretto l’effige della Madonna delle Grazie.
Non è retorica o fanatismo religioso affermare che la riproposizione di questo percorso può divenire per noi il rinnovare un itinerario, per lunghi anni smarrito,di una grande storia che ci appartiene. Può essere per qualcuno semplicemente un simbolismo. Certamente per molti l'occasione per rinnovare un impegno di fede.
Per gli uni e per gli altri la Madonna non pretende ubbidienze: dal suo nudo seno elargisce le Grazie per un rinnovato "processo identitario" di civile convivenza. Per questo ci vuole ospitare nella Sua Casa. Ed in Essa assumiamo l'impegno di ritornarci spesso, affidando le Preghiere di Speranza, così come facevano i nostri genitori ed i nostri antenati. Mauro D’Aprile - 24.06.2015

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