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il 1914-18 e il Biennio Rosso PDF Stampa E-mail
Scritto da emanuele carnevale   

La storia d’Italia è intrisa di avvenimenti e sconvolgimenti. Quello che accadde nei primi decenni del cosiddetto “secolo breve” ( Hobsbawm) ha una portata dirompente. In quest’ottica una delle date tanto care al regno prima, ed alla Repubblica poi, è il IV novembre: anniversario dedicato non solo all’unità nazionale – su cui peraltro tanto ci sarebbe da riflettere-, ma alle forze armate.

Nel 1918 di quel giorno accadeva che veniva diramato un bollettino di guerra firmato da Diaz, all’epoca Capo di stato maggiore del regio esercito italiano.

Quella comunicazione divenne un documento incastonato nella storia, giacché sottolineava la fine della guerra contro l’Austria-Ungheria, i cui soldati battevano in ritirata sotto i colpi dell’esercito italiano. Finalmente le ostilità della Grande Guerra dunque, terminavano, o perlomeno finiva il conflitto sul fronte meridionale dell’impero amministrato da Vienna. Proprio però dalle ceneri del conflitto armato sorgeranno nuovi confini geopolitici e si instaureranno regimi politici diversi da quelli conosciuti prima nell’Europa della seconda metà del 1800. Il vecchio continente prima della prima guerra mondiale infatti, altro non era che un coacervo di monarchie spesso imparentate fra loro. E’ questo il caso dello zar russo, della corona britannica e dal kaiser prussiano.

Unici regimi non monarchici erano difatti la Francia, San Marino, la confederazione Svizzera e dal 1910 il Portogallo. Le ottocentesche case regnanti hanno sottovalutato la possibilità di una reciproca sconfitta, in cui però sono andati incontro, malgrado tutti si aspettavano invece laude vittorie. Sulle ceneri degli imperi sgretolatosi fra le trincee nacquero anche dittature e regimi militaristi.

Mussolini in Italia, Pilsudski in Polonia, Hitler in Germania sono alcuni dei risultati a cui la Grande Guerra ha contribuito a creare; regimi e partiti politici che trovano connotazione  storica quindi da «l’abominevole carnaio di putredine e di feci, che la terra si rifiuta di assorbire, che l’aria infuocata non riesce a dissolvere; il tanfo di cadavere lo ingoiamo col caffè, col pane, col brodo» (fonte: testimonianza di chi è stato al fronte) che è stato il primo conflitto mondiale.

In queste brevi righe si vuole focalizzare l’attenzione su ciò che accadde nel Regno d’Italia, principalmente sul ruolo della sinistra più o meno organizzata, che ha animato il periodo storico del cosiddetto “Dopoguerra”.

La guerra aveva contribuito a far comprendere agli uomini che attraverso la violenza e l’impiego di armi sarebbe stato possibile pensare di sovvertire lo stato di cose, per impiantare un nuovo modello societario – organizzativo. Sull’esempio della rivoluzione russa anche gli operai ed i braccianti agricoli del centro-nord Italia iniziarono una serie di dimostranze ed azioni volte a mutare l’ordine costituito.

Alcuni giornali (i mass media del tempo) soffiavano sul fuoco per aizzare le folle al fine di innescare la rivoluzione.

Fra questi vi era l’ “Avanti”, le cui pagine erano le più lette fra i proletari impiegati in fabbrica. Nel 1920 si assistette anche ad un cambio di governo, da Nitti si passava all’anziano ed esperto Giolitti. Il politico dell’«italietta» dovette fare i conti con una situazione esplosiva: fabbriche occupate, manifestazioni spontanee e cortei che spesso culminavano con scontri e disordini. Nelle campagne accadeva invece che i contadini si rifiutavano di raccogliere le derrate del padronato, che marciva insieme alle piante.

Questo tipo di rivendicazioni socio-economiche spesso sfuggivano anche al controllo ed all’organizzazione dei sindacati e del Partito Socialista. Proprio a Torino iniziò ad emergere in controtendenza con la direzione del PS la figura di Antonio Gramsci, il quale si dava molto da fare coi suoi compagni, i quali non perdevano occasione per stimolare gli operai ad andare avanti nelle lotte e nell’autoamministrazione delle fabbriche.

E’ in quest’ottica che devono essere letti gli sforzi di “Ordine  Nuovo”, rivista rivoluzionaria di sinistra. A traghettare le sorti del governo e dello stesso regno savoiardo vi era come accennato l’ottantenne Giolitti, il quale non reagì alle rivolte col pugno di ferro, ma lasciò in un certo senso far defluire da sé il movimento rivoluzionario; lo stesso primo ministro dirà poi: «Ho voluto che gli operai facessero da sé la loro esperienza, perché comprendessero che è un puro sogno voler far funzionare le officine senza l’apporto di capitali, senza tecnici e senza crediti bancari. Faranno la prova, vedranno che è un sogno, e ciò li guarirà da pericolose illusioni».

Il garantismo giolittiano ebbe la meglio sui rivoluzionari: il movimento perse spiglio perché non adeguatamente sorretto dalla classe dirigente di CGL e PS, concordi su una linea politica che ad oggi potremmo facilmente etichettare come progressista.

Finì che i lavoratori barattarono l’autogestione e la possibilità di una società diversa, con un blando migliorismo nelle attività occupazionali, riassumibili essenzialmente in un aumento salariale.

La classe imprenditoriale, soprattutto quella agraria, non si sentirono però pienamente tutelate dal “buonismo” del governo, e con la paura di una nuova e più forte organizzazione di rivolta, sulla base anche di quanto accaduto in Russia, decisero di annientare le mire rivoluzionarie. Per farlo si affidarono ai metodi violenti e coercitivi delle squadracce fasciste, che proprio in Emilia Romagna mossero con decisione le proprie azioni.

Quello che passò alla storia come il “Biennio Rosso” può definirsi concluso in occasione di una manifestazione di forza che avvenne nel 1921, e sulla cui falsa riga si sarebbe poi ripetuta la famigerata “Marcia su Roma” del 1922. Durante la “Marcia su Ravenna” –settembre 1921- i camerati, agli ordini di Balbo, appiccarono il fuoco e distrussero case del popolo e sezioni di partiti e sindacati impegnati nelle leghe rosse.

Matteotti e la classe dirigente del partito socialista sembrò ancora una volta non capire bene l’esito degli eventi, giacché invece che rispondere al fascismo con manifestazioni di piazza e con i muscoli che pure aveva dimostrato di avere la sinistra durante gli avvenimenti del famoso biennio, invitò i socialisti a restare in casa ed a non reagire con metodi violenti.

Del resto non va sottaciuto che in relazione agli avvenimenti specifici di Ravenna, il PS aveva visto sensibilmente defluire la sua portata popolare e rivoluzionaria, confluita com’è noto nel PCd’I dal gennaio del 1921. Più lungimirante nell’analisi politica rispetto Matteotti sembra essere stato Malatesta, uno fra gli uomini di spicco nell’organizzazione della vita politica a livello internazionale.

L’anarchico profetizzò infatti nel 1922 in un articolo apparso sulle colonne del giornale “Umanità Nova”, che la fine della lotta armata condotta dagli operai sarebbe coincisa con un netto rafforzamento del movimento fascista, di chiara natura reazionaria.

Il Biennio Rosso però non è il solo esperimento di rivoluzione condotto in Italia nel 1900. Prima dell’ inizio del secolo breve, esattamente appena due settimane prima dell’assassinio dell’arciduca d’Austria, in molte zone della Penisola si pensò seriamente alla caduta della monarchia. La “Settimana Rossa” vide accumunati rivoluzionari di diversa estrazione politica: il socialista Mussolini, il repubblicano Nenni e l’anarchico Malatesta.

I moti rivoluzionari presero avvio sulla mobilitazione conseguente ad uno sciopero generale partecipatissimo nel centro-nord, proclamato dalla CGL, che ebbe inizio in seguito all’uccisione per mano dei carabinieri di tre dimostranti che ad Ancona manifestavano contro il regio militarismo. Era proprio il diniego nei confronti della forza pubblica a fare da collante fra uomini dell’ USI (sindacato rivoluzionario nato nel 1912 da una scissione interna alla CGL), del movimento anarchico, dei partiti repubblicano e socialista. Proprio però alcuni dei protagonisti della settimana rossa, saranno poi convinti interventisti per spingere il regno in belligeranza, non fosse altro che per difendere le sorti dell’unico esempio concreto di forma repubblicana: la Francia, attaccata dalle mire prussiane di stampo imperialista.

In seguito a questa breve disamina si possono trarre svariate conclusioni.

Più che a questo però il qui presente contributo vuole essere uno stimolo alla riflessione ed allo studio:

1) imperatori e sovrani imparentati non sono stati capaci di capire che si sarebbero annientati reciprocamente ed avrebbero causato la morte di milioni di persone;

2) il movimento fascista nacque e prese piede grazie al tacito consenso della borghesia, che cercò di strumentalizzarlo in contrapposizione alle idee e rivendicazioni rivoluzionarie;

3) in Italia si cercò di portare avanti un movimento rivoluzionario comunista quando non esistevano ancora esempi concreti come quello russo. Fa specie pensare alla Settimana Rossa come ad un avvenimento storico-politico-sociale molto vicino in termini temporali al 1917.

4) il IV novembre è un anniversario poco conosciuto e mal festeggiato.

Emanuele Carnevale

Relazione tenuta durante l'incontro-dibattito promosso da Anpi, Sezione Antonio Gramsci” Tirreno Cosentino, Cittadella del Capo, 3 Novembre 2014

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