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17 Marzo: festa dell’Unità d’Italia PDF Stampa E-mail
Scritto da riccardo ugolino   

Il 17 marzo ricorre il 151° anniversario dell’Unità d’ Italia. Non abbiamo ritenuto opportuno aggiungere interventi in occasione delle innumerevoli manifestazioni organizzate per il 150° anniversario, per evitare la retorica che inevitabilmente si accompagna a ogni celebrazione.

Oggi che la ricorrenza avverrà necessariamente in tono minore e, quindi, si presta maggiormente alla riflessione degli studiosi, intendiamo esprimere il nostro punto di vista su una questione a lungo dibattuta : l’ Unità d’ Italia è stato un bene per la nazione?

Innanzitutto occorre sfatare un primo luogo comune, caro alla propaganda leghista, secondo il quale l’Italia Settentrionale sarebbe stata penalizzata, nel rapporto con gli altri Paesi d’ Europa, dall’Unità. Ciò non risponde al vero perché il Lombardo – Veneto e il Piemonte già allora segnavano forti ritardi di fronte ai rapidi progressi dell’Europa occidentale: il prodotto lordo pro capite era, nel 1860, sensibilmente più basso ( 97 ) rispetto a quello che si registrava nei paesi di prima industrializzazione, Regno Unito (180 ) e Belgio ( 158 ), e nella vicina Francia ( 118 ).

La rete ferroviaria  era estesa nell’ Italia settentrionale circa 1800 chilometri, contro gli oltre 9.000 della Francia e i circa 17.500 della Gran Bretagna.

Altissimo era, poi, il tasso di analfabetismo: la percentuale  degli analfabeti sulla popolazione superiore ai cinque anni era, nel 1861, del 54,2% in Piemonte e Liguria, del 53,7% in Lombardia, del 77,6% in Emilia, mentre in Svezia ( ed anche in Danimarca, Finlandia, Norvegia,Olanda) era inferiore al 10%, in Prussia non superava il 20%, in Inghilterra il 30%.

Se grave era l’inferiorità del Piemonte e del Lombardo – Veneto rispetto ai paesi più avanzati d’Europa, è altrettanto vero che il Regno dei Borboni era, tra gli Stati italiani, il più arretrato.

La viabilità ordinaria si presentava in condizioni particolarmente deplorevoli, sia per la mancanza assoluta di strade, sia per la irregolare manutenzione di quelle esistenti: nel 1861 il Regno delle Due Sicilie aveva solo quattro strade nazionali (tra cui la Napoli – Reggio) per buona parte in pessimo stato e nel 1863, quando fu fatta l’inchiesta parlamentare sul brigantaggio, dei 1848 Comuni del Napoletano, 1621 mancavano di strade.

La rete ferroviaria, che non raggiungeva in tutta Italia i 2000 chilometri, era particolarmente deficitaria nel Sud: solo 128 chilometri contro gli 850 chilometri nel Regno di Sardegna, i 221 della Lombardia, i 323 della Toscana, mentre neppure un chilometro di binari percorreva la Calabria       ( cfr S. Maggi, le ferrovie, Bologna, Il Mulino, 2007).

Per quanto riguarda il credito “ i banchieri privati, a cui era ancora riservato, per la massima parte, il credito a medio e a lungo termine, operavano nelle piazze di Genova, Torino, Milano, Livorno”.

Diffuse erano, nel 1861,le Casse di Risparmio (più di cento), ma quattordici province ne erano prive e, di queste, tredici appartenevano al Napoletano e alla Sicilia.

Questo divario tra Nord e Sud si registrava anche nel settore della previdenza sociale: prima del 1860 le società di mutuo soccorso erano, in tutta Italia, 181, ma il Napoletano ne annoverava zero, zero la Calabria, una le Marche, tre Roma.

Anche nell’istruzione di base era palese il dualismo fra Nord e Sud: se la percentuale degli analfabeti si aggirava intorno al 50% in Piemonte, Liguria, Lombardia, nel Mezzogiorno gli analfabeti erano l’86% della popolazione, con punte dell’ 88,6% in Sicilia; né c’è da stupirsi di questi dati se si consideri che, per l’istruzione pubblica, il Regno delle Due Sicilie ne aveva speso 0,23 lire per abitante contro le 0,60 lire del Regno di Sardegna.

Smentiti questi luoghi comuni, funzionali alla contingente polemica politica ( il secessionismo leghista e i movimenti neoborbonici), concludiamo affermando che la formazione dello Stato nazionale italiano è da considerare parte del processo più ampio, europeo, di formazione degli Stati nazionali borghesi, iniziato secoli prima in Francia e Inghilterra e realizzato tardi nel nostro Paese, per la debolezza della borghesia italiana.

Uno Stato nazionale, quello italiano, che, superando la frammentazione secolare della Penisola, costituì un evento indubbiamente positivo, sia alla luce dell’imperialismo di fine Ottocento che dei nazionalismi del Novecento ( l’Italia pre – unitaria, divisa in piccoli Stati, sarebbe stata schiacciata dal peso dei grandi Stati industrializzati), sia alla luce delle caratteristiche assunte, oggi, dall’economia globalizzata (la Padania di Bossi, il Sud dei neoborbonici come potrebbero competere con la Cina, l’India, il Brasile il cui PIL aumenta ogni anno del 7-8%?).

Certamente il Risorgimento avrebbe potuto avere sbocchi più avanzati:

- Sarebbe stata preferibile costruire un’Italia repubblicana piuttosto che monarchica, dotarsi di un sistema elettorale a suffragio universale piuttosto che censitario;

- Sarebbe stato più equo perseguire l’obiettivo del pareggio di bilancio ricorrendo alle imposte sul patrimonio e sulla rendita piuttosto che alla tassa sul macinato;

- Sarebbe stato più giusto investire risorse nella scuola e nella sanità piuttosto che nella      modernizzazione dell’esercito.

Ma, in ogni caso, il Risorgimento pose le basi per la futura costruzione di un’Italia repubblicana e democratica, anche se occorre fare ancora molto per superare le diseguaglianze con gli altri Paesi e le diseguaglianze interne, tra classi sociali e tra aree geografiche,  per ridurre la rigidità sociale e favorire una crescita sostenibile dell’economia. Riccardo Ugolino dirigente Pd - 17.03.2012

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