San Valentino a Belvedere Marittimo |
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Scritto da mauro d'aprile | |||
Da un articolo a firma M.Fiorella Squillaro, lunedì 13 Giugno 2011 su Calabria Ora, apprendo dell’esistenza di un libello patrocinato dalla Sopraintendenza per i Beni e l’Attività Culturali di Cosenza, quale ennesimo studio sulle vicende delle reliquie di S. Valentino. Con la riserva di aver saputo interpretare l’articolo, riassumo che da parte di due esperte, Chiarello e Malizia, a seguito di rinvenimento di un documento in archivio (quale?) attestante una ricognizione del Vescovo di S.Marco “don Bernardo Cavalerio” nel 1722 presso il Convento dei Padri Cappuccini di Belvedere, alla presenza di Padre Samuele, si affermi la provenienza delle reliquie di S.Valentino Martire dal cimitero romano di Santa Ciriaca, meglio conosciuto come cimitero di S.Lorenzo. Questa affermazione, si basa sul presupposto di una difettosa traduzione della lettera (quale?) per l’inesatta individuazione del luogo in cui sono state estratte le reliquie. La questione implicherebbe che le reliquie di S.Valentino a Belvedere non sono riferibili a S.Valentino Vescovo Martire di Terni, meglio conosciuto come il Santo degli Innamorati, ma ad altro S.Valentino, forse quello appartenente il secondo filone di ipotesi, del Presbitero Valentino di Roma. Dal momento che, comunque, i primi due, i soli ricordati alla data del 14 Febbraio, pur nelle diverse peripezie loro riguardanti, non hanno certamente ricevuto sepoltura nel cimitero di Santa Ciriaca, saremmo di fronte alla ipotesi dell’esistenza di un terzo S.Valentino, appunto quello sepolto in questo cimitero. Dell’esistenza di una sepoltura di San Valentino nel cimitero di Santa Ciriaca in Roma fa semplicemente riferimento la guida storico-artistica di Este della Cierre a pag.70 che riferisce l’appartenenza di una reliquia, di un intero corpo, al Martire. Parimenti fa la vicina Monselice (donazione di intero corpo), ma difettando, proprio nei suoi cartigli, nella indicazione del cimitero da cui il corpo sarebbe stato estratto, genericamente attribuito ad un cimitero dell’Urbe, con la pretesa, fra l’altro, di essere questa la vera reliquia dell’Episcopo di Terni, ottenuta per la forte influenza degli Estensi. E’ subito da mettere in evidenza che il corpo del S.Valentino di Terni, oggi composto, fu rinvenuto nel proprio sarcofago, decollato e con la testa separata e spostata dallo stesso corpo, la quale a sua volta si presentava quasi priva del cranio. Questo elemento chiarisce che le reliquie di Belvedere consistenti in una ampolla di sangue e parte di cranio, si approssimano molto al San Valentino di Terni, mentre del tutto fuori luogo sono le approssimazioni con altre reliquie di altri (interi) San Valentini. Non conoscendo lo studio delle esperte ma le semplici indicazioni dell’articolo, a tanto non potrei aggiungere altro, se non il piacere che le medesime, riguardando l’argomento il nostro patrimonio, gratificassero, di una loro visita, la nostra Città. Gli errori di traduzione se riferibili al cartiglio belvederese mi trovano d’accordo per i seguenti motivi:
Se, diversamente, la deduzione deriva dal documento rinvenuto che riguarda la ricognizione del 1722 da parte del Vescovo di San Marco che, per come capisco, fa riferimento a reliquie provenienti dal cimitero di Santa Ciriaca e conservate a Belvedere, si potrebbe (anche) pensare di riferire ad alcuni altri Santi questa ricognizione e non certamente a San Valentino già consegnato con apposito documento. Degli stessi mi rimane difficile annoverare S.Vittorio proveniente da Roma.
Piuttosto mi fa meraviglia come le esperte, che mi auguro conoscano le altre lettere del Cardinale Gaspare Carpineo ( per esempio quella riguardante le reliquie di San Prospero) non mettano in evidenza che solo nella lettera di Belvedere consegnata a Valentino Cinelli, molto similare nella impostazione generale alle altre, il Cardinale abbia voluto rimarcare, nel passaggio appena precedente, l’indicazione del cimitero, quanto segue: “che abbiamo donato a Valentino Cinelli il santo sangue tratto dal corpo del Martire San Valentino assieme a parte del corpo del medesimo San Valentino, trovato fin dal tempo in cui fu sottoposto a martirio col suo nome proprio e per volontà del SS Nostro Papa, “estratto dal cimitero di Ciriaca” posto in una urna di legno coperta con carta” etcc etcc. Credo che siano lapalissiani ed evidenti i rapporti temporali di riferimento alle reliquie, fra la raccolta durante il martirio con individuazione del proprio nome e la successiva estrazione, dal Cimitero di Santa Ciriaca o meglio detto di S.Lorenzo, per farne dono al Cinelli. Mi sembra chiaro e semplice che non c’è un riferimento ad una sepoltura di San Valentino nel cimitero di Santa Ciriaca ma ad una semplice custodia delle reliquie dello stesso, sigillate col suo nome fin dal momento del martirio. Le Reliquie di Belvedere, ripeto, consistono in frammenti ossei di cranio e ampolla di sangue e corrispondono molto similmente alle parti mancanti del cranio dell’Episcopo Martire San Valentino di Terni. Non credo che l’Eminente Cardinale Carpineo si divertisse a consegnare crani di teste ancora oggi intatte. Per ulteriori approfondimenti giova ricordare che un vivace dibattito si è sviluppato tra gli studiosi e gli archeologi nel corso del XX secolo sulla figura di san Valentino: infatti alla data del 14 febbraio si ricordano due santi martiri con lo stesso nome, il prete Valentino di Roma ed il vescovo Valentino di Terni. Le posizioni degli studiosi si possono riassumere in tre.
Rilevare nella documentazione storica a noi tramandataci notizie attendibili per quanto riguarda la biografia di S. Valentino è un’impresa ardua, in quanto non sempre le fonti sono controllabili. A questo proposito gli storici sono cauti nel valutare il materiale pervenutoci. Le fonti più credibili sono i martirologi, le Passioni, i libri liturgici, le tombe, le chiese e l’iconografia. La notizia più antica che abbiamo di lui si trova nel martirologio Geronimiano che fu compilato in Italia probabilmente tra il 460 e il 544 d. C. In questo prezioso documento compare il dies natalis anniversario della morte di S. Valentino di Terni al 14 febbraio. Il valore storico del Geronimiano è di primo ordine sia perché raccoglie una raccolta riassuntiva delle notizie riguardanti i Santi dei primi secoli, sia perché non è stato quasi mai smentito dalle scoperte archeologiche. Altri martirologi parlano di S. Valentino di Terni, ma in ogni modo tutti riprendono l’antico martirologio Geronimiano. Nel libro Il culto di San Valentino, Pompeo De Angelis riporta la traduzione di un ulteriore Martirologio Romano, compilato dal cardinale Cesare Baronio e pubblicato nel 1592, alla data corrispondente al 14 febbraio troviamo due latercoli scritti in latino e così traducibili: «In Terni, S. Valentino, che dopo essere stato a lungo percosso, fu imprigionato e non potendosi vincere la sua resistenza, a metà notte infine, segretamente trascinato fuori dal carcere, fu decollato per ordine del prefetto di Roma Placido». Il secondo dice: «In Roma, sulla via Flaminia, natale di S. Valentino Presbitero e Martire, il quale dopo una vita santa in cui dimostrò una dottrina insigne, a bastonate fu ucciso e decollato sotto Claudio ». Antonio Bosio, il grande archeologo e appassionato di antichità vissuto fra XVI e XVII secolo, fu il primo a entrare nella catacomba di san Valentino, nel livello superiore, oggi non più visibile. Il primo archeologo invece a scavare e a riportare alla luce i resti dell’antica catacomba fu Orazio Marucchi (1852-1931): nel 1878, alla ricerca del cimitero, egli entrò per caso in una cantina, ai piedi della collina dei Parioli, e si accorse che in realtà si trattava di un ambiente funerario ricoperto di pitture, benché molto rovinate a causa dell’adattamento dell’ambiente ad uso agricolo. Fu lo stesso Marucchi poi a scoprire i resti della basilica esterna dedicata al santo. Nuove campagne di scavi e di studi furono intraprese nel 1949 da Bruno Maria Apollonj Ghetti. Questi scavi hanno permesso di appurare che il martire Valentino non fu sepolto nella catacomba, ma direttamente in una fossa terragna al suo esterno: è su questa tomba subdiale che papa Giulio I (336-352) fece costruire una prima struttura basilicale, trasformata ed ampliata dai papi Onorio I (625-638) e Teodoro I (642-649), ulteriormente restaurata nei secoli successivi fino agli ultimi lavori fatti eseguire da papa Niccolò II a metà dell’XI secolo. A questo secolo risale anche la testimonianza di un monastero accanto alla basilica. La basilica esisteva ancora nel XIII secolo, e alcune vestigia erano visibili al tempo del Bosio (nel 1594).È stato anche appurato che nel corso del VI secolo, tra la basilica e la catacomba, sorse una necropoli all’aperto, costituita da mausolei, tombe e sarcofagi. Oggi della catacomba, originariamente disposta su tre livelli, non resta quasi più niente, soprattutto a causa dell’alluvione e della frana che coinvolse la zona nel 1986 e che ha reso inaccessibili la maggior parte delle gallerie. Gli unici manufatti di un certo rilievo sono la basilica esterna e l’ambulacro scoperto dal Marucchi nel 1878 e posizionato all’ingresso della catacomba. Da tutte e tre le ipotesi è certo che la Catacomba di Roma posta al secondo miglio della Via Flaminia, oggi in Viale Maresciallo Pilsudski, nel moderno quartiere Pinciano è stata la prima fossa terragna del Martire decollato in Roma e, secondo i Ternani trasferito notte tempo, ma molti anni dopo, alle porte della, loro, Sua Città, dove tutt’ora è sepolto. Le parti restanti sono a Belvedere, con l’unico sangue del Santo raccolto. arch.Mauro D'Aprile - 30.06.2011
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