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nel far west della 'ndrangheta PDF Stampa E-mail
Scritto da isabella marchiolo (il quotidiano)   

Strana  sensazione leggere “Storia di un giudice nel far west della ‘ndrangheta” e vivere in Calabria. Vivere in quel mondo a parte, avvelenato dall’omertà, dove il magistrato napoletano Francesco Cascini ha lavorato per sei anni, lasciandosi attraversare dall’esperienza di un’inutile realtà: l’aristocratico immobilismo meridionale di Tomasi di Lampedusa, - divenuto saggezza spicciola dei locresi.

Qui, come nella Sicilia del Principe di Salina assediata dai furori dei garibaldini, bisogna che tutto cambi perché tutto resti come prima. A spiegarlo a Cascini, sette anni dopo la fine del suo incarico a Locri, sarà l’efficiente segretaria, che, come da iconografia sudista, mentre sommerge l’ex capo di frutta di stagione e conserve casalinghe da portare a Roma, fuga così i dubbi di una coscienza ancora inquieta. Non è cambiato nulla, forse mai nulla cambierà. Chi scappa, o chi rinuncia,non si assilli con i sensi di colpa. Ma questo - il fugace e nostalgico ritorno a Locri- è già l’epilogo del memoriale di Cascini edito da Einaudi.

Prima della salvezza e del rimpianto, c’è un pezzo di vita inestirpabile dall’anima, raccontato con onestà spietata eppure solidale. Verso il sistema e i calabresi, verso lo stesso autore, “giudice ragazzino”fresco di concorso, inviato nella sede scomoda della Procura di Locri. Quella che nessuno vuole e da cui tutti, espiato il necessario purgatorio della prima nomina, evadono appena ottenuto il trasferimento. Perché in questo lembo di Calabria le notti sono interminabili e si convive con la paura. Una paura che alla gente ha insegnato un’istintiva, collusione. Forse autoconservativa e incolpevole, o forse immorale.

Il silenzio ristagna nelle piazze vuote dopo il coprifuoco serale, ombre mute scorrono al di là delle barricate di finestre e balconi, l’eco dei colpi di lupara e il sentore acido della polvere da sparo appestano l’aria. Strana sensazione essere calabrese e leggere il racconto di una verità che non concede nulla al buonismo di un folklore ruffiano. Quando arriva a Locri, Cascini è giovane e inesperto. La sua preparazione giuridica è libresca, ancora ingenuamente imbevuta dell’idealità di una professione che si crede possibile esercitare secondo le regole. Tutto è scritto e previsto, ogni cosa ha una soluzione normativa. Invece il giudice fiducioso si ritroverà in un mondo che delle regole ha imparato a fare a meno. Il magistrato imberbe inizia ad avere dubbi. Processare un uomo che da anni abusa dei figli può significare sottrarre a una famiglia il suo ancestrale basamento di bestialità, che è assurdo ma anche l’unico conosciuto, l’unico codificato dalla comunità ignorante delle campagne. Concedere a qualcun altro, accusato di disumane violenze, il beneficio del dubbio e la distensione temporale di un processo in stato di libertà,può segnare la condanna a morte delle vittime che lo avevano denunciato. Ma nella civiltà perduta della Locride la matassa più intricata da sbrogliare è la ’ndrangheta, origine e sintesi dell’anarchia morale e sociale che imprigiona il territorio nella sua asfissiante tela di ragno.

Il magistrato tenta di indagare sui maxiprocessi delle faide,avvia un’elefantiaca inchiesta sul lavoro nero nell’agricoltura calabrese. Riesce pure a vincere qualche battaglia giudiziaria, ma a Locri, ad Africo, la legge è una certezza scritta sulla battigia, sabbia molle cancellata dalla forza delle maree. Gli uomini valorosi della ‘ndrangheta hanno radici possenti: ramificano in un passato caotico e impossibile da dipanare, seppellito dentro la mole dei faldoni su cui i giudici, dopo aver perduto il sonno e la passione, si arrendono.

Questo libro non è un romanzo. Non ci sono eroi, né casi polizieschi a lieto fine. Le storie si interrompono a metà, senza soluzione, nuovamente inghiottite da un tempo in apnea. Anche il lettore gira in tondo, insieme al narratore s'incaglia in un’atmosfera surreale d’incompiutezza. Fare il giudice a Locri, addentrarsi nella rocciosa impenetrabilità di San Luca, assistere ad un’allucinante esecuzione mafiosa, mentre si è diretti al mare. L’orrore sgretola la bellezza, la ruba ai calabresi, a chiunque passi da questa terra contraddittoria. Mistificati dal sangue,non li vedi più il mar Jonio, le spiagge assolate, i selvaggi tornanti di Gerace che in estate si accendono dei fuochi degli artisti di strada. Per quella bellezza, Cascini - anche lui calabrese per il ceppo dei nonni di Belvedere - ha resistito sei anni, cestinando un trasferimento e rinunciando a due relazioni sentimentali (prima con una misteriosa studentessa vicina ai clan, poi con una collega).

Il contrappasso sarà, però, proprio l’amore, leva capace di fargli infine lasciare un luogo amaro ma diventato parte della sua vita. La prospettiva del matrimonio e di una famiglia stabile segnala fine del periodo locrese di Francesco Cascini. Nella memoria resteranno le notti insonni nella villetta isolata, dove rincasare di notte nel cortile buio metteva i brividi. Resteranno il lavoro condiviso con colleghi puntigliosi insieme a leali poliziotti e carabinieri, le cene trascorse ad arrovellarsi sugli omicidi irrisolti. La Calabria è il grembo del Sud disperato e colmo di speranza. Per l’utopia di cambiare le cose, qui i magistrati continueranno a lottare. Tutti quelli che, per un caso o per scelta, non sono andati via. Isabella Marchiolo (il quotidiano 22.02.2010)

* Francesco Cascini Storia di un giudice nel far west della ’ndrangheta Einaudi editore pp. 178 - euro 15,50

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