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norme antimafia e amministrazione PDF Stampa E-mail
Scritto da nicola fiorita - walter nocito   

Nella società italiana la dimensione pubblica della sicurezza va assumendo sembianze inedite e spesso stupefacenti. L’attenzione quasi ossessiva per la micro-criminalità e per i reati commessi dagli stranieri (extra-comunitari irregolari, ma anche etnie rom e sinti) sembra aver confinato in un enorme dimenticatoio fenomeni perlomeno di eguale rilevanza: dalla corruzione all’evasione fiscale, dai crimini finanziari fino al fenomeno mafioso.

Se in una parte consistente del Paese, che solo gli ingenui possono far coincidere con i confini delle regioni meridionali, la mafia rappresenta la vera e drammatica emergenza-sicurezza, la sensibilità dell’opinione pubblica non riesce ad emanciparsi dai cicli della copertura mediatica prodotta, e riprodotta, dai Mass-media e dalla Tv in particolare, con ‘esplosioni’ artefatte in prossimità di qualche notizia eclatante per poi ritirarsi improvvisamente come la bassa marea.

Ma se ci si occupa di mafia solo in occasione di qualche evento clamoroso è facile alimentare il ‘senso di potenza’, quasi di invincibilità, delle organizzazioni criminali così come è inevitabile far coincidere la reazione dello Stato con il solo profilo repressivo, invocando magari più rigore e più durezza nella sanzione, ma tralasciando, colpevolmente, tutto il resto.

Chi si occupa per passione per professione o per studio di mafia (o meglio di ‘mafie’) sa, invece, che è proprio tutto il resto a segnare la differenza tra una strategia anti-mafia ‘di corto respiro’ (inevitabilmente velleitaria) ed una visione complessiva che è necessaria per combattere efficacemente questa lunga ‘guerra a bassa intensità’ (e magari anche per ‘vincerla’).

Il resto, dunque, sono le misure di confisca dei beni dei mafiosi, le disposizioni di contrasto del ‘voto di scambio’, le politiche di ‘educazione alla legalità’, le procedure di ‘scioglimento per infiltrazioni mafiose’ delle amministrazioni comunali e via dicendo.

Ed è proprio su quest’ultima problematica che è imperniato il recente libro di Vittorio Mete (dal titolo Fuori dal Comune, Bonanno editore, Acireale-Roma, 2009) caratterizzato da una apprezzabile ricchezza di dati, di informazioni e di analisi senza le quali non è possibile operare una valutazione  approfondita e corretta della legislazione anti-mafia vigente e sulla quale il dibattito politico, parlamentare e giudiziario non cessa mai di essere di attualità (da ultimo, il ‘caso Fondi’).

La vita degli enti locali, la legalità e la vigilanza democratica, costituiscono un passaggio-chiave nella tenuta della democrazia italiana come nella sorte delle organizzazioni criminali e mafiose. Per quanto globali possano essere ‘le mafie’ (nella loro proteiforme varietà), e per quanti capitali finanziari e immobiliari esse possono velocemente ed efficacemente movimentare (su scala nazionale ed internazionale), il loro potere, quello sostanziale e quello percepito, seguita ancora a passare dal controllo del territorio di riferimento, dal prestigio sociale che i capi accumulano nel proprio contesto di origine, dalla loro capacità di restare al tempo stesso sommersi e potenti, invisibili e autorevoli, ‘consiglieri’ e ‘padroni’ (e ciò anche in fasi di latitanza).

Se, dunque, i mafiosi guardano con interesse alla rappresentanza politica ed alle istituzioni anche delle più piccole comunità, non vi è dubbio che in questi ultimi anni lo sviluppo in ambito locale di ‘società miste pubblico-private’ abbia moltiplicato le possibilità di strette commistioni tra politica e criminalità in settori decisivi nella vita quotidiana dei cittadini (acqua, igiene pubblica, servizi pubblici in genere ma anche servizi privati come le imprese di pompe funebri o i ‘centri commerciali’), così come è evidente che l’onda lunga dell’anti-politica (principalmente delle destre) abbia eroso nel tempo, lentamente, le dimensioni dell’impegno civico e la credibilità delle istituzioni, agevolando il dominio dei forti, dei violenti, degli spregiudicati.

Caricata di grandi aspettative al momento della sua emanazione (‘Decreto legge’ 31 maggio 1991, poi convertito nella legge 22 luglio 1991, n. 221), e accompagnata da forti polemiche ogni qual volta ha trovato attuazione, la possibilità (melius, il potere del Governo) di sciogliere le amministrazioni comunali, pur avendo finora prodotto 181 decreti di scioglimento, non sembra aver raggiunto finora risultati particolarmente significativi.

Se intendessimo collocarci sul lato degli scettici, potremmo anzi evidenziare come in numerose occasioni le amministrazioni locali ‘sciolte per mafia’ abbiano vinto le elezioni successive alla fase di commissariamento, o come l’opera dei Commissari sia generalmente oggetto di una valutazione negativa da parte della cittadinanza per la loro incapacità di andare oltre la gestione ordinaria delle cose.

In questo senso, il caso del Comune di Lamezia Terme, accuratamente ricostruito dall’Autore, si rivela per molti profili emblematico, se non altro perché le dimensioni di questo Comune hanno lasciato emergere tutte le difficoltà di una amministrazione affidata a soggetti che svolgono il loro ruolo solo a tempo parziale (e magari senza conoscere il territorio in cui operano), la cui lentezza e il cui disinteresse verso scelte impegnative di governo fanno spesso rimpiangere le esperienze precedenti: corrotte, permeabili a ‘interessi particolari’, attive, visibili.

Il fallimento di queste esperienze non è stato (e non è) indolore, perché ha generato, e genera, sfiducia diffusa nelle istituzioni e perché ha sprecato, e spreca, una possibilità di ‘bonifica radicale’ delle istituzioni che non facilmente si può ripresentare.

Eppure questa normativa anti-mafia (da pochi mesi riformata ad opera della ‘legge sulla sicurezza’, valida, per chi scrive, solo limitatamente a questo unico profilo, in ragione del quale il Governo ha proceduto con la procedura della decretazione di urgenza – attualmente convertita nell’art. 2, comma 30, della legge n. 94 del 2009- “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”) coglie nel segno.

Questa normativa aggredisce uno dei luoghi di costruzione, e consolidamento, di quell’intreccio tra malaffare, malagestio, violenza e politica che sta alla base del potere mafioso, e svincola, opportunamente, il contrasto dell’inquinamento delle istituzioni dal perfezionamento di uno o più reati di mafia, avendo risvolti relativamente significativi in relazione alla temporanea incandidabilità di dirigenti e dipendenti degli enti locali, i quali siano responsabili dello scioglimento della amministrazione di appartenenza (novità positiva introdotta dalla legge n. 94 del 2009, e frutto, a onor del vero, di un accordo bi-partisan maturato in Commissione Anti-mafia).

E’ per tali ragioni che Vittorio Mete si concentra, nella parte finale del lavoro, su quegli ‘aggiustamenti’ e su quelle ‘innovazioni’ che potranno supportare una rinnovata e più efficace applicazione di questa legislazione anti-mafia: preparazione specifica dei commissari, aggressione dell’apparato burocratico, allargamento della normativa alle società miste, pubblicità delle Relazioni che precedono lo scioglimento dei comuni, solo per fare qualche esempio significativo.

Proprio queste Relazioni, con il loro lungo elenco di frequentazioni tra politici e mafiosi, di parentele tra boss e assessori, di intimidazioni, di episodi di inquinamento del voto, di gestione opaca degli appalti pubblici, rappresentano uno spaccato della vera e propria ‘mortificazione della democrazia’ che si consuma, senza sosta, nei luoghi e nelle istituzioni periferici del nostro Paese e che meriterebbe di essere conosciuta dagli  italiani. Distribuirne il testo e farne circolare i contenuti potrebbe turbare il quieto vivere di questo Paese ma, e forse anche per questo, rappresenterebbe una grande operazione di trasparenza e di sensibilità civica.

Fuori dal comune sta ad indicare ‘eccentrico’, ‘strano’ ma anche ‘singolare’, ‘prezioso’, ‘raro’. Il lavoro di Vittorio Mete si avvicina maggiormente a questa seconda griglia di significati, grazie alla capacità dell’Autore di intrecciare, con sapienza, analisi socio-istituzionale accurata e linguaggio semplice, impegno sociale e ricerca sociologica, originalità di risultati e rigore di metodo scientifico.

Un libro, insomma, che può essere, e rivelarsi, molto utile allo studioso come al giornalista, al cittadino come al politico-amministratore.

Un libro, si potrebbe dire, ‘quasi’ per tutti, mafiosi e corrotti, ovviamente, esclusi.

Nicola Fiorita Professore Università di Firenze    Walter Nocito Docente Università della Calabria

*Recensione, pubblicata su Calabria Ora del 12 dicembre, al libro di Vittorio Mete, Fuori dal Comune (Bonanno editore, Acireale-Roma, 2009), Premiato con ‘Premio Giancarlo Siani’ 2009

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