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Popolo, sovranità e...riforma costituzionale PDF Stampa E-mail
Scritto da paolo carrozzino   

Qualche giorno fa, su questo sito, esprimevo le ragioni per le quali, nel prossimo mese di ottobre, Non Approverò la legge di revisione costituzionale votata dal Parlamento in carica; in quella nota (“La libertà è come l’aria…”) riservavo un approfondimento dell’analisi dei motivi sinteticamente enunciati a future riflessioni.

Oggi, anche a seguito dell’intervento dell’avv. Franco Perre, sempre sul sito de “laltrasinistra”, con nota dal titolo «a proposito del referendum confermativo della riforma costituzionale», ritengo maturo il tempo per analizzare, nel dettaglio, il primo dei motivi posti a sostegno del mio NO al testo di revisione costituzionale oggetto della futura consultazione referendaria: «le Camere che hanno votato il relativo disegno di legge…non avevano (e non hanno) la legittimazione per esercitare il potere di revisione ex art.138 Cost.»; mi preme segnalare, a proposito e tra l’altro, che tale motivo è similmente inserito tra le ragioni del NO sostenute dai Comitati presieduti dai Proff. Pace e Zagrebelsky: «È una riforma legittima? NO, perché è stata prodotta da un parlamento eletto con una legge elettorale (Porcellum) dichiarata incostituzionale».

La causa della mia affermazione circa la carenza di legittimazione del Parlamento in carica ad operare ex art.138 Cost., che qui ribadisco per tutto quanto appresso dirò, risiede, in via esclusiva, nelle “considerazioni in diritto” rese dalla Consulta nella sentenza n.1 del 13 gennaio 2014; il Giudice delle Leggi, infatti, ritenne che le disposizioni riguardanti l’assegnazione del premio di maggioranza, poi dichiarate illegittime costituzionalmente, «consentono una illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare, incompatibile con i principi costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della «rappresentanza politica nazionale» (art.67 Cost.), si fondano sull’espressione del voto e quindi della sovranità popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate funzioni fondamentali, dotate di «una caratterizzazione tipica ed infungibile» (sentenza n.106 del 2002), fra le quali vi sono, accanto a quelle di indirizzo e controllo del governo, anche le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della Costituzione (art.138 Cost.)».

E continuava: «…detta disciplina (ndr. quella concernente il premio di maggioranza)…determina una compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente»; ed ancora, riferendosi questa volta all’impossibilità per l’elettore di esprimere una preferenza per i candidati, sempre la Corte Costituzionale, sostenne che «le condizioni stabilite dalle norme censurate sono, viceversa, tali da alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art.48 Cost.».

Il percorso logico-giuridico che, in ossequio alla pronuncia appena citata, ho seguito, è, quindi, il seguente: l’applicazione delle disposizioni in materia elettorale poi dichiarate incostituzionali ha prodotto «un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica», ovvero una «illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare»; poiché «le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della “rappresentanza politica nazionale” (art.67 Cost.)» e, le stesse, « si fondano sull’espressione del voto e quindi della sovranità popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate funzioni fondamentali (…) fra le quali vi sono (…) anche le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della Costituzione (art.138 Cost.)», allora, queste Assemblee Parlamentari non hanno la legittimazione ad adottare provvedimenti di revisione costituzionale ex art.138 Cost..

Invero, (assieme ad altri) proprio il Prof. Alessandro Pace ebbe modo di sostenere come «sembrerebbe che le istituzioni parlamentari abbiano dimenticato di essere state delegittimate dalla dichiarazione di incostituzionalità del Porcellum (…). Se la Consulta, grazie al principio della necessaria continuità delle istituzioni, ha “delimitato” gli effetti “retroattivi” della pronuncia di incostituzionalità (…) non ha però detto che esse possono continuare ad operare come se nulla sia successo» (A. Pace, I limiti di un Parlamento delegittimato, in associazionedeicostituzionalisti.it, Osservatorio costituzionale, 2014), ovvero che un Parlamento illegittimamente sovrarappresentativo «ammesso che possa esercitare la normale attività legislativa e di controllo, non può invece considerarsi legittimato a procedere a revisioni costituzionali, proprio perché l’abnormità del premio di maggioranza (…) condizionerebbe negativamente la legittimità di qualsiasi processo riformatore che coinvolga la Costituzione» (audizione del Prof. Alessandro Pace presso la Commissioni Affari Costituzionali della Camera dei Deputati in data 23 ottobre 2014); concetti confermati nel saggio La riforma Renzi-Boschi: le ragioni del no, in associazionedeicostituzionalisti.it, 2016.

Aggiungo, ancora, richiamando E.J. Sieyès, il quale disse che «un popolo ha sempre il diritto di rivedere e di riformare la Costituzione», che solo e soltanto il popolo, titolare del potere sovrano, per il tramite dei suoi propri rappresentanti eletti, ha sempre il diritto di riformare la Costituzione; nel caso, invece, accade che il popolo italiano, nella sua parte qualificata di corpo elettorale, nel prossimo mese di ottobre, si troverà a decidere se approvare o meno una riforma costituzionale votata da Assemblee parlamentari che, a dire della Corte Costituzionale, risultano profondamente alterate sotto il profilo della composizione della rappresentanza democratica ovvero che hanno subito una illimitata compressione della rappresentatività.

L’illegittimità del Parlamento in carica, per alterazione profonda della rappresentanza democratica, ad operare ex art.138 Cost. non può, peraltro, né formalmente, né sostanzialmente, essere sanata dallo svolgimento del referendum costituzionale, il quale, qualora volesse rinchiudersi in ambito definitorio, certamente non dovrebbe qualificarsi come confermativo, ma, semmai, come oppositivo; per un verso, perché questa è la funzione assegnata allo stesso dai Costituenti, per altro, perché è previsto come meramente eventuale e facoltativo ed infine, perché è strumento di garanzia predisposto in favore di minoranze (qualificate).

Ritengo, personalmente ed infine, che il nostro ordinamento costituzionale abbia vacillato e, in materia di riforma costituzionale, continui a vacillare; lettera e spirito della Costituzione avrebbero preteso (e dovuto condurre ad) atti e comportamenti istituzionali affatto differenti: dimissioni del Governo in carica all’atto della pubblicazione della sentenza n.1/2014 della Consulta e scioglimento delle Camere, cosicché le nuove Assemblee parlamentari, composte secondo la normativa di risulta scaturente dalla predetta sentenza, avrebbero potuto vivere una legittima stagione costituente, in ossequio al supremo principio democratico di cui all’art.1 Cost.. Paolo Carrozzino - 18.06.2016

 

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