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...a proposito dell’ “opera d’arte” in via degli Aragonesi (Acquaro) dove anziché tentare di abbellire e ingentilire l’entrata del Borgo Antico, si fa nascere uno scivolo di cemento là dove necessita, se pur minuscolo, un marciapiede... PDF Stampa E-mail
Scritto da olga de luca   

Aveva proprio ragione Cesare Pavese: “ Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”

Amare il proprio Paese significa anche osservare e  contribuire, in prima persona, al benessere della Comunità. Ed è per questo motivo che rendo pubblico il prologo del mio libro, “Caro Joe” che penso, sia su misura per tutti gli Amministratori, Impiegati  Ufficio Tecnico e Vigili Urbani di ieri, di oggi e, probabilmente, anche di domani. Lo dedico, però,  a tutti quelli che amano Belvedere quanto e come me.

… avevo deciso di raccontarti, Caro Joe, la storia del “mio” Paese,  ma so che dopo un po’ ti annoieresti. Però,  lascia perdere, per un poco, la polvere della notorietà che stai vivendo. Scendi, affonda nelle viscere dei secoli, cercando di trovare nelle vene della “mia” terra, mani, respiri e bocche di chi lavorò e parlò… invano!, No!, non ti parlerò del Mare, della Torre Paolo Emilio, dei Palazzi Storici, del Castello, sepolti nei loro corredi come dei  Cristi messi in Croce! Vieni, Caro Joe,  a vedere le ossa che ci sono sotto ogni paese come il mio. Lascia le parole che ogni tanto pronunci per sentirti come uno dei suoi veri figli.

Il mio, è il Paese dei vicoli dove passa, talvolta, solo vento! Ora lo chiamo Belvedere, ma prima ha avuto altri nomi e c’è stato un tempo in cui, probabilmente, non avesse nome. Ricordati di sorridere, ogni tanto,  a quelle antiche pietre che tu calpesti, sfiorale con gentilezza, rivolgi il tuo sguardo ai muri e alle finestre dove un piccolo ciuffo di erba cresce attraverso una fessura, ma, poi…., sparisci!.

Tu non sei un uomo che lo ami! Il mio Paese è la somma delle case, delle tegole, degli scalini, di ogni scalino, delle rondini che ci annunciano l’arrivo della primavera. Sono nata nel borgo Acquaro,  ho respirato il profumato fumo delle antiche fornaci dei vasai, mi addormentavo al dolce gracidare delle rane, mi svegliavo al rumore dei fabbri che cambiavano gli zoccoli ai muli, le mie orecchie ascoltavano le risate dei falegnami, dei sarti e di altri artisti che popolavano il mio borgo. Ora non ci sono più i muli, né gli artisti e non si vedono…. galline!

La sera il borgo si riempie di macchine parcheggiate, ma in giro non si vede nessuno! Quando scrivo sul mio Paese le parole sono leggere, ma hanno un peso, non girano a vuoto. La verità è che l’ho scelto per capire il mondo, la verità è che è il mio sposo, mio fratello, il mio incubo e la mia speranza. È vero, a volte, ci si stanca ad essere sempre in un luogo, ma questo cielo mi appartiene, mi appartiene questa terra. Qui non ho problemi di identità! Non ho paura di passeggiare, nelle piazze del mio Paese, con chi capita, di utilizzare il mio tempo o addirittura farmelo rubare dalla mia Gente. Lo so, che tu, invece, avresti bisogno di stare per un poco da un’altra parte. Se vuoi puoi andare, non ti trattengo. Lo puoi lasciare, questo mio Paese, perché in fondo, tu, qui non ci sei mai stato! Non conosci, neppure,  a che ora arriva il sole su  quella “determinata” panchina.

È qui voglio farti male, ma stai tranquillo, faccio male anche ad altri.  Osserva la gente del mio Paese! Osserva quelli che girano a vuoto. Qui, forse, si salva chi ha meno di vent’anni e più di ottanta. Chi sta in mezzo, appare agitato o in preda all’accidia. L’unica ricchezza che potrebbe mettere le ali e far volare il mio luogo natìo è, malgrado tutto, quel poco di bellezza naturale che resiste ancora! Tu, però, hai capito come sfruttare questo patrimonio! Cemento, indifferenza, noncuranza e villanìa! Sei come un pescatore che usa un generoso fiume!

Ora non è il caso di parlare di sindaci, di ammininistratori, di impiegati e di vigili che nulla hanno fatto per il mio Paese. Non è il caso di parlare di persone piantate nelle loro case o di persone che corrono nelle piazze e chiacchierano per dare aria alle loro corde vocali. Sono storie vecchie che nascono e muoiono per nascere di nuovo! Il mio Paese, come me, in fondo ci somigliamo un po’, non aspettiamo nulla. Allora, Caro Joe, esci dalla tua casa, come tutte le mattine, tranquillamente, ma non sarai quell’uomo che darà forma alla storia di Belvedere. Tu non devi preoccuparti se non di mangiare meno e di camminare un po’ di più. Non pensare a quello che accade oggi o domani, dimentica e seppellisci un altro pezzo del mio Paese. Io non mi diverto a scrivere queste cose, in fondo, anche tu, hai un cuore buono ed inerme, sei solo distratto e in questa tua distrazione non trova posto il proteggere questo grande e immenso bene che Dio ci ha donato.

Scusami, Caro Joe, mi era venuta l’idea di dirti cos’è un Paese. Ma come posso spiegarlo a te che non hai ancora percepito la grazia di essere qui, di essere una parte del mondo, di essere una parte unica. Vedi, un Paese è come un dio, un dio locale. Belvedere non è il nome di un paese, ma il nome di un dio, del tuo e del mio dio. Olga De Luca - 03.03.2016

 

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