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crisi finanziaria - crescita economica - salvaguardia ambientale. Riflessioni PDF Stampa E-mail
Scritto da riccardo ugolino   

E' oramai opinione diffusa che la crisi iniziata nell'autunno del 2007 sia stata provocata da un trasferimento stra-ordinario di ricchezza (patrimoniale e reddituale) dai ceti medio-bassi verso il decile più ricco della popolazione mondiale.

La globalizzazione neoliberista, teorizzata da Friedman e dalla scuola di Chicago, e realizzata in America latina dai regimi dittatoriali, in Occidente dalla Thatcher e da Bush, ha accentuato la disuguaglianza economica (il rapporto tra il salario  di un lavoratore dipendente e di un manager è passato, negli ultimi 30 anni, da 1 a 40 a 1 a 400), ha causato la contrazione dei consumi, la stagnazione della produzione, la disoccupazione.

Il crollo della domanda interna, unitamente alla difficile competizione con i Paesi emergenti, ha comportato la finanziarizzazione dell'economia: piuttosto che investire nella produzione di beni e servizi, i cui profitti sono peraltro fortemente tassati, i detentori di capitale hanno ritenuto più   redditizio investire in azioni, obbligazioni, titoli di Stato.

I Paesi occidentali, per la necessità di sostenere la domanda interna, sono stati obbligati a gonfiare la spesa sociale (solo in Italia sono state autorizzate un miliardo di ore di cassintegrazione) e, quindi, ad aumentare il debito pubblico (1900MD di euro in Italia).

Se queste sono le cause e le conseguenze della crisi, e tale analisi è condivisa ormai negli ambienti scientifici internazionali, le misure per superare la crisi, imposte dalla Destra europea: tagli lineari alla spesa pubblica, licenziamenti, riduzione dei salari reali, non solamente sono ingiuste e insostenibili sul piano sociale, ma si rivelano controproducenti, come dimostra il caso della Grecia, perché aumentano ancora di più la recessione.

Come può l'Italia ridurre di 40/50 MD di euro ogni anno, per 20 anni, il debito pubblico, quando il Bilancio è gravato da 90MD di euro di interessi passivi annui, con una "crescita" del PIL inferiore allo zero?

Per superare la crisi c'è bisogno, quindi, di politiche espansive.

Ma la crescita è compatibile con la salvaguardia ambientale?

Per tanto tempo, a partire dagli anni '70 e, soprattutto dopo l'89, la questione non era neppure in discussione: anzi la legislazione a tutela dell'ambiente era considerata, dai neoliberisti, un freno allo sviluppo economico.

Oggi, alla luce degli epocali mutamenti climatici in atto, la questione si pone in termini diversi, tanto da indurre molti economisti a parlare di "decrescita felice" o di " abbondanza frugale".

Io penso che la decrescita di beni superflui e dei consumi eccessivi (nei 27 Paesi dell'U.E. ogni anno finiscono nella spazzatura 89 milioni di tonnellate di cibo, pari a 500gr pro-capite al giorno), sia in Occidente inevitabile, per consentire una redistribuzione della ricchezza a favore di un miliardo di persone denutrite e per salvare il pianeta Terra dall'autodistruzione.

Ma ritengo, altresì, che lo sviluppo sia auspicabile in quei settori (il recupero dei beni culturali, l'energia "pulita", il riassetto idrogeologico, il disinquinamento delle acque di balneazione, i lavori di rimboschimento, la prevenzione degli incendi boschivi, le opere di ripascimento) ad alta intensità occupazionale; settori che consentono, a medio e lungo termine, di migliorare sensibilmente la bilancia commerciale, riducendo (con l'energia eolica, fotovoltaica, idraulica) l'importazione di prodotti petroliferi, incrementando (con la valorizzazione dei beni culturali e delle risorse paesaggistiche) i flussi turistici; settori che consentono la difesa e il recupero del territorio che politiche dissennate hanno, negli ultimi trent'anni, gravemente compromesso. Riccardo Ugolino dirigente Pd - 14.02.2012

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