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licenziamenti facili, una nuova spaccatura nel Paese PDF Stampa E-mail
Scritto da vincenzo cesareo   

Premetto di non essere né giuslavorista, né economista, anzi confesso la mia scarsa competenza nel settore, ma la cosiddetta questione dei licenziamenti facili, a mio parere, sta provocando una nuova spaccatura nel Paese, senza che questa comporti significativi benefici.

Intanto, per ora, non c’è nulla di concreto se non quanto sottoscritto dal governo in una lettera di intenti inviata all’Europa, sebbene lo stesso governo pare deciso ad andare avanti, pur avendo già avuto dai sindacati avvisaglie di scioperi e mobilitazioni. Allo stato, quindi, sono solo promesse che lasciano il tempo che trovano nel senso che non cambieranno nulla secondo quanto già previsto oggi.

Né la stampa con i suoi titoloni tendenti a propagandare riforme epocali ha dato un contributo di chiarezza. Ad esempio la riforme che prevedono “tutti in pensione a 67 anni”e “licenziamenti facili”, di fatto, sono vincoli. Innanzitutto non tutti andranno in pensione a 67 anni. La riforma tocca solo le pensioni di vecchiaia. Già oggi si va in pensione a 65 anni e dal 2022 a 67 anni.

Questo innalzamento, fra 15 anni, segue l’allungamento di prospettive di vita che già era previsto. Cosa cambia? Proviamo a mettere da parte, almeno una volta, le questioni ideologiche e politiche, delle quali il Paese ne ha le tasche piene e valutiamo se la proposta sui licenziamenti  è utile, se serve davvero a dare ossigeno alle imprese e quale il prezzo per i lavoratori e per le casse pubbliche. Il governo ha asserito che coprirebbe i licenziamenti con la cassa integrazione, il che significa che, come sempre, il prezzo ricade sulla collettività, con l’aggravio ulteriore sulla spesa pubblica e senza che provochi alcun beneficio immediato, perché il problema delle imprese, oggi, non è quello di licenziare, ma crescere e disporre di liquidità. Inoltre i licenziamenti facili hanno senso in una economia in crescita e flessibile, che permette ai lavoratori licenziati di trovare con altrettanta facilità un nuovo lavoro.

In un’economia come la nostra, cioè stagnante e bloccata, dove la crescita è un miraggio, sono solo un costo sociale che va ad aggiungersi ai costi gravissimi sociali della riforma della reversibilità delle pensioni e di quella sui benefici per le persone incapaci di compiere gli atti quotidiani della vita autonomamente. Se, però, proprio si devono spendere dei soldi, perché non si inizia a pagare immediatamente le imprese fornitrici della Pubblica Amministrazione che accreditano 70 miliardi di euro dallo Stato e che sono boccheggianti? Accanto a questo, perché non tagliare i pezzi di  spesa pubblica improduttiva e con quelle risorse tagliare le tasse sul lavoro, in modo da alleggerire le imprese e dare più soldi ai lavoratori? Anche se la si guarda con occhi non ideologici (come fanno il sindacato ed alcune forze politiche) la misura denominata licenziamenti facili sembra, in questo momento, inutile, dannosa, controproducente e rischia di costare più della decisione di saldare i debiti, che, prima o poi, andranno pagati.

Che bisogno c’è, allora, di creare nuove tensioni sociali? Nel momento in cui si discute di decreto sviluppo, bisogna guardare al mondo del lavoro per individuare le aree dove potrebbero essere individuate ed introdotte riforme che servirebbero ad incrementare la competitività delle nostre aziende, eliminando le norme che limitano la concorrenzialità del nostro sistema produttivo. Ma questo Parlamento ha dimostrato scarsa competenza ed attenzione, non ha la serenità necessaria, preso com’è solo dai problemi di CASTA che ha come obiettivo unico quello della auto referenzialità e dell’auto conservazione.

Potrà, dunque, creare le condizioni per rendere più flessibile il lavoro, magari introducendo un contratto unico, eliminando la distinzione tra quello determinato e quello indeterminato che permetta alle aziende di assumere e di terminare in funzione delle loro esigenze, garantendo a chi viene licenziato un degno sussidio di disoccupazione e la possibilità di un a riqualificazione professionale a spese di uno  Stato che non è in grado di reperire le somme necessarie? Certamente no! Senza tali garanzie, i cosiddetti licenziamenti facili sarebbero espressione di un suicidio sociale di fronte al quale non intendiamo restare indifferenti. LiberiAMO L’ITALIA! Se non ora quando? dott.Vincenzo Cesareo - responsabile nazionale LiberiAmo l'Italia movimento politico-culturale - 29.10.2011

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