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riflessioni sotto l’ombrellone... PDF Stampa E-mail
Scritto da mauro d'aprile   

La fresca Estate 2011, in controtendenza con l’alta temperatura dell’economia mondiale in genere, Europea in particolare e, nello specifico, del nostro Paese, ci consente una pausa di riflessione per effettuare incontrovertibili verifiche,  dopo lunghi anni di processo di affermazione della Economia Finanziaria della Seconda Repubblica rispetto a quella mista dell’Economica Reale della Prima.

La prima verifica di carattere strutturale, in senso finanziario, è quella relativa all’illimitata possibilità d’accumulazione del denaro passata da una forma di potere sociale a quella di potere politico.

L’enorme quantità di moneta transitata dai mercati e dagli istituti finanziari, sia quelli regolamentati, sia quelli fuori d’ogni controllo, grazie alle ideologie della “deregolamentazione”, non ha per nulla aumentato, bensì diminuito, la capacità produttiva delle economie reali. Il capitale è stato diretto, infatti, verso operazioni ad alto rischio, ad offensivi e stratosferici compensi ai protagonisti di una nuova e fortunosa élite, nonché alla creazione di irrealistici valori di titoli finanziari infettati da bolle speculative.

Questa era, definita dal Papa, dell’”avidità”, ha propagato la sua metastasi agli Stati e alla politica delle democrazie costituzionali, contagiandosi, quasi senza avvedersene, e mettendo a rischio la loro stessa esistenza.

La speculazione selvaggia di queste ultime ore ha ormai preso di mira lo strumento fondamentale della politica economica dei paesi democratici, cioè il debito pubblico, imponendo ora rigorosi, quanto rischiosi regimi di austerità, che hanno permesso sia in Europa, sia negli Stati Uniti, di sperperare prima i surplus negli anni buoni dello sviluppo economico invece che accantonarlo, al fine di poter stimolare la domanda aggregata per uscire dalle crisi negli anni cattivi.

La seconda verifica è strettamente collegata alla prima e riguarda lo strumento, o meglio, il meccanismo con cui si tenta di recuperare il debito pubblico: Il Patto di Stabilità. Il Patto di Stabilità impone ora all’area di Eurolandia di mantenere il deficit di bilancio sotto il 3% del PIL e il debito pubblico, rispetto a questo al 60%. La discussa manovra italiana va in questa direzione, con un debito superiore al doppio di quello consentito. Il sistema è dunque privo di ogni flessibilità. Quella flessibilità che la Germania oggi ignora e disprezza non ricordando di averla adottata qualche anno addietro durante la Recessione Tedesca.

La risposta che un grande Partito Democratico deve necessariamente dare, evitando di offrire solo il quadro desolante delle critiche, non può che essere di merito, anche nella considerazione di dimostrare di essere pronto ad ereditare il pesante fardello della guida del Paese.

E’ necessario, per stimolare la ripresa e la domanda, che la politica economica e quella monetaria non siano disgiunte! Occorre divenire i “portavoce” di un’inversione del ruolo della Banca Centrale Europea che dall’attuale indipendenza deve vedere ridefinito il suo ruolo rispetto al Parlamento Europeo, poiché la sua politica, finora, quasi esclusivamente diretta al controllo dell’inflazione, aumenti il suo peso politico sul controllo del sistema bancario europeo per determinare la non conflittualità fra le banche centrali con quello dei governi soprattutto di emanazione delle democrazie costituzionali.

Il processo della ripresa, dunque, é ancora in mano alla Politica, quella di ispirazione Europeista, ad una sua capacità di creare condivisione internazionale e di ricondurre all’interno del Parlamento Europeo  quell’Autorità di Guida, ispirata da De Gasperi e condivisa dagli altri cofondatori.

Per questo è necessario che i processi devono essere, nei diversi Paesi, più omogenei possibili e, perché restino “saldamente” in mano alla Politica, occorre che questa sia la limpida trama di una paziente opera di tessitura fra Uomini di Buona Volontà fatta di solidi sentimenti di antiche, nuove, passioni.

Al di fuori di questa presa di coscienza collettiva, della responsabilità di una comune risposta “etica” alla crisi che stiamo attraversando, la partecipazione non potrebbe che risolversi in una fuga verso il privato, verso un intimismo che già in precedenti epoche si è ribaltato in un disimpegno e che oggi si evidenzia nelle chiusure arroganti ed ermetiche di auto-referenze.

La pressante sollecitazione Pastorale Diocesana, per noi quella di Reggio Calabria nell’ottobre 2010, le non tanto velate prese di posizione dello stesso Sommo Pontefice, di riconsiderare un impegno dei Cattolici, in prima persona, nella Politica Attiva, giunge puntuale rispetto alla tematica fra l’Economia Reale e quella Finanziaria.

L’attacco economico internazionale all’Italia è il logico corollario di una politica portata avanti a “tentoni” e che manifesta tutta la debolezza di non essere quel segnale di rigore al cospetto dell’Europa e del mondo e nemmeno strumento per stimolare la crescita e offrire motivazioni ai cittadini chiamati a sopportare impoverimento e sacrifici.

I mercati restano colpiti in modo favorevole non solo da una risposta offerta tempestivamente da un Paese, ma soprattutto dalla “qualità” della risposta, dalla sua capacità di promuovere durevoli condizioni che correggano squilibri e distorsioni economico-sociali, senza produrne di nuovi e più pesanti.

I potentati dei mercati transazionali sono abituati a trattare con i dovuti riguardi la politica interna di un Paese solo se questa è “autorevole” nei confronti dell’intera società.

Abbiamo bisogno di una politica “stimata ed esemplare”. Esemplare nei fini che si ripropone, nei mezzi con cui li persegue, nella gestione degli inevitabili costi da sopportare. L’esemplarità della politica è la condizione stessa della sua autorevolezza, anzi è il cuore di quella specifica legittimazione- sia  a rappresentare, sia a governare delle democrazie.

Occorre guardare con attenzione davvero speciale a quel prezioso giacimento di rappresentanze sociali che è il mondo cattolico dove ancora intatta è l’attitudine a saper cercare e individuare, sotto la scorza dei cambiamenti di breve periodo, le trasformazioni più profonde, durature e significative.

Saranno queste rappresentanze, infatti, ad alimentare e sostenere in modo non estemporaneo il partito o le aggregazioni partitiche, a cui toccherà di dar corpo alla volontà dei cattolici di essere un movimento non di secondo ordine della politica italiana. Una volontà che già adesso guida la ricerca dei varchi per giungere, senza prezzi intollerabili per il Paese, a quegli scenari politico- partitici cui gli attuali dovranno lasciare il posto. Mauro D'Aprile - 03.08.2011

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