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referendum, le ragioni del sì PDF Stampa E-mail
Scritto da emanuele carnevale   

Il consiglio dei ministri dell’11 febbraio ha deciso la data del referendum abrogativo promosso dal movimento “No Triv”, alle cui battaglie e costruzione Rifondazione Comunista ha fornito supporto ed intelligenze.

La data fissata è il 17 aprile. Al di là dai punti di vista che potrebbero accompagnare le congetture cerebrali riguardo al numero 17, va purtroppo presa in considerazione la difficoltà che incombe sulla validazione stessa dell’istituto referendario in questione. L’articolo 75 della costituzione antifascista e repubblicana prevede che il referendum abrogativo di una legge, o parte di essa, può assurgere al ruolo di fonte del diritto soltanto se si reca a votare il 51% del corpo elettorale italiano. Una cifra alquanto difficile da raggiungere in un periodo di disaffezione politica come quella in cui ci troviamo in questo dato periodo storico. Difatti dagli anni quaranta dello scorso secolo la popolazione italiana che ha capacità giuridica è aumentata parecchio sotto il profilo numerico. Appare viceversa diminuita da qualche decennio l’intraprendenza dei singoli ad agglomerarsi in gruppi portatori di interessi politici. Il numero dei tesserati delle varie formazioni partitiche hanno da tempo registrato la fine dei partiti di massa, ed anche nei comitati e movimenti di scopo, la situazione non sembra essere migliore rispetto ai flussi di idee e persone registratisi nei decenni passati.

Nella decisione adottata dal consiglio dei ministri sulla data delle elezioni emerge tutta la paura di una classe dirigente, paralizzata rispetto a ciò che l’incertezza delle urne avrebbe potuto rappresentare qualora fosse stata adottata la decisione di accorpare le elezioni amministrative, o quantomeno i ballottaggi nei sistemi a doppio turno, col referendum abrogativo. La spinta derivante dalle esperienze maturate in seguito ai referendum abrogativi vinti sulla questione acqua e nucleare hanno destato i potentati vari, che evidentemente non hanno voglia alcuna di correre il rischio di vedersi spiazzare da un simile intervento da parte dell’elettorato. La casta si chiude a riccio su se stessa, ed è disposta a spendere (stando a quanto riportato da varie notizie) circa 360 milioni di euro(!) per le consultazioni referendarie di metà aprile, pur di non correre il rischio del raggiungimento del quorum. Un governo quindi sicuramente tacciabile quale sprecone, ma anche strumentale rispetto al mantenimento dello status quo, in difesa del modello economico che determina le gioie ed i dolori di milioni di persone, in rapporto all’aumento o meno della produzione. Com’è risaputo per incrementare la produzione è fondamentale accaparrarsi materie prime utili a fornire energia. Nel corso dei secoli le spinte colonialiste si sono mosse in questa direzione, cercando di ammortare i costi energetici utili a rendere più competitivi i prodotti finiti sul mercato. Così il mercato ha inglobato fra le materie prime anche l’uomo, alienato ad ingranaggio produttivo, su cui si è perpetrato lo sfruttamento che noi comunisti (ma non solo) denunciamo da tempo. Basti pensare alla posizione ove le fabbriche sono state da sempre allocate: in prossimità di fiumi o boschi, in modo da poter celermente appropinquarsi d’energia idraulica o derivante dalla combustione. Ad oggi è conoscenza di dominio pubblico l’importanza del petrolio quale elemento fondamentale alla produzione. Fonte energetica che non a caso viene denominata comunemente ‹‹oro nero››. Non è una combinazione quindi se in molteplici zone dello Stivale siano concentrati gli interessi degli attori invischiati in questo modello economico basantesi sullo sfruttamento. In codesto caso delle trivellazioni viene ad essere sfruttato direttamente l’ambiente, e con esso, - sin a prova contraria-, le persone, le quali vivono e dipendono dall’ambiente. Gli interessi monetari che girano attorno la ‹‹melma nera›› derivante da milioni di anni di sedimentazioni fra resti animali e vegetali, sono più che mai propensi a svuotare i pozzi di tutto il mondo, senza preoccuparsi delle relazioni sentimentali ed umane che vengono a stringersi fra persone e luoghi. Coloro i quali ragionano in questa direzione non riescono neppure a comprendere la possibilità che possa esserci qualcosa non monetizzabile. Da qui le trivellazioni nei mari, nei boschi ed in ogni dove.

Il governo Renzi è talmente preoccupato a salvaguardare gli interessi delle classi sociali di cui è chiamato a tutelare gli interessi che ha ben pensato, insieme al ministro Boschi, di inserire nella legge costituzionale la riforma anche dell’articolo 117, allorquando al secondo comma, lettera v, specifica fra le materie di competenza legislativa esclusiva dello stato la “produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia”. Questo significa che le regioni potranno poco o nulla rispetto la stessa “tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, ambiente ed ecosistema” quali materie specificatamente attribuite allo stato dall’articolo 117, secondo comma lettera s, legge costituzionale Boschi – Renzi-. Bisogna cogliere in questa decisione governativa suffragata da più del 50% nelle votazioni sul progetto di legge costituzionale raccolte al senato della repubblica, una chiara impostazione verticistica che allontana il corpo decisionale dall’elettorato e dalla popolazione più in generale. Difatti le regioni fra gli altri compiti assolvono proprio quello di rendere più presenti e vicine le istituzioni alle realtà su cui incidono le disposizioni legislative prodotte. Incamerando la materia energetica nelle competenze esclusive dello stato si opera uno strappo deciso, in cui si deve intendere la volontà delle forze politiche governative, di decidere dall’alto. Né va sottaciuto che il Partito democratico ha il proprio segretario alla presidenza del consiglio dei ministri, fautore principale di quest’ulteriore strappo di natura autoritaria. Riguardo agli interessi ambientali, innanzi la tutela della salute e delle tante prerogative normative di natura programmatica contenute nel testo costituzionale, gli attori politici operano scelte conservatrici. In un territorio con alta densità monumentale, abitativo – ricreativa com’è l’Italia, tutto ciò assume connotati negativi qualora si arrivi alla scoperta di giacimenti di gas e/o petrolio. Gli alti rischi per la salubrità ambientale non appaiono minimamente ripagati dalle pur basse royalties pagate dalle compagnie private che si occupano dell’estrazione.

Benché l’importanza della tematica di fondo, e nonostante ci si dovrà comunque esprime in opposizione alla legge costituzione che sarà sottoposta a referendum popolare nei prossimi mesi, ci sarà da qui e nelle prossime giornate parecchio lavoro da fare. A giocare contro al tanto agognato raggiungimento del quorum è oltremodo la già richiamata passività sociale italiana. La pervasione del lavoro salariato dipendente da circostanze mutevoli da persona a persona, hanno alimentato le quote riservate alle speranze rivolte a torto nella dea bendata. L’isolazionismo della lotta per la salvaguardia di taluni interessi è avvertita come faccenda privata. La società individualistica attuale tende raramente a sposare i problemi che non la riguardano direttamente. Serve quindi creare tendenza rispetto la problematica delle trivellazioni, facendo avvertire i rischi concreti non soltanto alle popolazioni delle regioni per ora interessate dal problema, ma elevare il problema ad interesse generale. La massa può quindi costituirsi se accomunata da un comune scopo. Questo l’arduo compito di Rifondazione Comunista e delle intelligenze che supportano gli interessi collettivisti per la tutela dei beni comuni. Anche se impari giocheremo la partita sino in fondo, affinché attraverso iniziative sul tema si coinvolga quanta più gente possibile. Da qui l’invito a prodigarsi in ogni territorio al fine di organizzare dibattiti e manifestazioni, a cui come gruppo dirigente forniamo il nostro impegno e le nostre conoscenze. Emanuele Carnevale, segr. Circolo di Paola PRC e membro della segreteria PRC – Federazione Cosenza

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