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reddito minimo garantito uno strumento per ridurre le disuguaglianze, favorire la mobilità, sostenere la crescita PDF Stampa E-mail
Scritto da riccardo ugolino   

I disoccupati italiani, al 30 settembre del 2011 erano 2.080.000, pari all'8,3% della popolazione attiva (15-64 anni): un tasso di disoccupazione che appare in linea con la media europea,

ma se aggiungiamo i cassintegrati la percentuale passa all'11% e se conteggiamo pure i Neet o inattivi, 2.070.00 cittadini che non lavorano, non studiano, non si formano,non  cercano una occupazione, perché sfiduciati, possiamo affermare che gli Italiani privi di un lavoro sono circa 5 milioni.

Se consideriamo anche i precari e il part-time involontario, gli Italiani che non hanno un lavoro stabile e regolarmente retribuito sono 8 milioni. Ne consegue che gli occupati sono in Italia 57 ogni 100 abitanti in età di lavoro, a fronte di un rapporto pari a 62/100 nell'U.E., a 72/100 nel Nord Europa. In CALABRIA, dove nel corso del 2010 si sono persi 13.000 posti di lavoro,gli occupati sono 42 ogni 100 residenti, 1 in meno del 2009, 3 in meno rispetto al 2004.

Le ore di cassintegrazione negli ultimi 36 mesi (ottobre 2010- ottobre 2011)  sono state 3 Md e 300 mil, 2 Md delle quali straordinarie o in deroga, riferibili, quindi ad aziende destinate a chiudere definitivamente. In CALABRIA solo nel 2010, ne sono state autorizzate 11 milioni,  il 96% in più rispetto al 2009, l'equivalente di 5000 lavoratori virtuali.

Dati ancora più allarmanti sono stati forniti dalla Charitas Italia, nel rapporto intitolato "Poveri di Diritti", pubblicato il 18 ottobre 2011:

i Poveri relativi, il cui reddito è inferiore al 50% del reddito medio del luogo, nel 2010 erano 8.272.00, pari al 13,8 % della popolazione italiana, di cui 5.640.000 al Sud;

i Poveri assoluti, coloro, cioè, che hanno una possibilità di spesa inferiore a quella necessaria per acquistare il paniere dei beni essenziali, erano 3.129.000, il 5,7% degli Italiani.

Questi dati sono destinati a peggiorare, sia a causa dell'inflazione, che ad ottobre è balzata al 3,4%, sia come conseguenza della recente manovra che ha ridotto ulteriormente il potere d'acquisto di lavoratori e pensionati.

I dati forniti dalla Charitas offrono un quadro ancor più drammatico della nostra REGIONE:

- dove gli sfratti per morosità sono aumentati dal 2001 del 203%;

- dove, come ci informa la Confcommercio,  sono diminuiti i consumi di frutta, ortaggi, anche di pane;

- dove il 26% delle famiglie, 1 su 4, vive sotto la soglia di povertà relativa;

- dove 1 famiglia su 2 non riuscirebbe a far fronte a una spesa imprevista di 750 euro;

- dove 1 famiglia su 10 non riesce a fare un pasto adeguato ogni 2 giorni.

La povertà è entrata ufficialmente nell'agenda del neopresidente del Consiglio, allorché Andrea Olivero, presidente delle ACLI, convocato, nel corso delle consultazioni, come rappresentante del Terzo settore, ha lamentato che «l'Italia è l'unico Paese a non avere un sostegno per i poveri».

Pertanto garantire un REDDITO MINIMO a tutti i cittadini italiani, e ai CALABRESI in particolare, costituisce un imperativo categorico in un Paese, come l'Italia, che affonda le proprie radici culturali nelle pari opportunità del liberalesimo laico e illuminista, nell'ideale egualitario del socialismo, nella solidarietà cristiana.

Ma garantire un REDDITO MINIMO, attraverso una redistribuzione delle risorse, consentirebbe anche di ridurre le disuguaglianze economiche che fanno dell'Italia un Paese fortemente diseguale sia rispetto agli altri Stati (L'Italia per P.I.L. procapite si colloca al 13° posto nell'U.E., prima solo del Portogallo tra i Paesi occidentali, e occupa le ultime posizioni nella classifica dei 50 Paesi più ricchi al mondo) che al suo interno (l'OCSE classifica i Paesi membri in 5 gruppi e colloca l'Italia nel 4° gruppo, definito a forte disuguaglianza, meno diseguale soltanto della Turchia e del Messico).

Se dividiamo la popolazione in classi del 10% del totale, e confrontiamo il reddito del 10% più ricco con quello del 10% più povero, in Italia abbiamo un rapporto di 12 a 1,in Germania e nei Paesi del Nord di 5 a  1.

Ancora più marcata è la diseguaglianza riferita al patrimonio che in Italia ammonta a 8.284 MD, pari a 8 volte il reddito, a 6 volte il PIL, a 4 volte il debito pubblico: il 10% delle famiglie più ricche possiede il 45% del patrimonio. La disuguaglianza tra i ceti sociali risulta maggiore nel confronto tra i patrimoni che non tra i redditi per la semplice ragione che i redditi sono soggetti a tassazione, i patrimoni sono esenti di fatto dalle imposte.

L'Italia presenta forti disuguaglianze non solo tra le classi sociali ma anche tra il Nord e il Sud del Paese:

- sia che le misuriamo in base al PIL (nel 2010 l'Italia del Nord cresceva dell' 1,9%, il Sud dello 0,2%);

- sia che le misuriamo in base al reddito (la Calabria ha un indice GINI pari a 33, il Trentino pari a 26);

-sia che le misuriamo in base al patrimonio: fatto uguale a 100 il valore nazionale del patrimonio, nel Sud vale 65, in Calabria 58.

Proprio queste considerazioni costituiscono il motivo per cui si propone il Reddito minimo garantito, innanzitutto in Calabria: per attenuare l'ingiustizia nella distribuzione del reddito trasferendo una parte di risorse dal decile più ricco a quello privo di ogni fonte.

Le disuguaglianze potrebbero anche essere accettate, se fossero accompagnate anche da un elevato grado di MOBILITA'  SOCIALE, sia intergenerazionale (tra padre e figlio) che intragenerazionale (all'interno del percorso individuale di vita).

Purtroppo in Italia ad una forte disuguaglianza economica si unisce una scarsa mobilità sociale:

- solo il 7,3% dei figli della classe operaia entra a far parte della borghesia ( che per l'Istat comprende imprenditori con più di 7 dipendenti, dirigenti, liberi professionisti) mentre l'84,7% dei figli della borghesia rimane nel blocco sociale d'origine. Ancora una volta profonde differenze si registrano tra il Nord, con un tasso di mobilità pari a 40, il Sud, con un tasso di mobilità pari a 28,  e la Calabria, con un tasso di mobilità pari a 26.

Purtroppo i servizi sociali, che attenuando le disuguaglianze familiari dovrebbero favorire la mobilità, sono stati in questi anni ulteriormente ridimensionati:

- nel 2010 per Famiglia e maternità l'Italia spendeva l'1,2% del PIL contro il 2% dell'UE;

- per le politiche giovanili l'Italia, che nel 2007 spendeva la modesta cifra di 130ml, nel 2013 ne spenderà solo 11;

- gli Enti locali investono solo 35€ procapite per anziani, disabili, minori, dipendenze, immigrati; (in Calabria meno della metà, 12€).

Per la scuola, che costituisce l'ascensore sociale per eccellenza, l'Italia investe il 4,5% del PIL, contro il 5,7% dell'U.E., il 7% della Svezia: Nonostante l'OCSE stimi che un anno di istruzione aggiuntiva accelera il tasso di crescita dello 0,45%, negli ultimi 3 anni sono stati tagliati alla scuola 8 Md di euro e 130 mila posti di lavoro mentre l'Italia ha un tasso di dispersione scolastica pari al 18,8% contro una media europea del 14,4%.

Per la  Ricerca e Università l'Italia investe l'1,1% del PIL, la Corea il 3%. Di conseguenza il nostro Paese detiene la maglia nera per abbandoni scolastici e ha il minor numero di laureati nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni: 19 su 100, la Spagna, la Danimarca, la Svezia 40 su 100, la Corea 60.

Ancora una volta più grave è la situazione della CALABRIA; i testi di valutazione INVALSI parlano chiaro: il rendimento scolastico è più alto in quelle regioni dove si investe in educazione di qualità sin dall'infanzia e in Calabria solo il 3% dei bambini frequenta l'asilo nido, a fronte di una percentuale del 10% in Italia e del 30% in Europa. E' da tenere presente che la scuola 0-6 anni, lo dimostrano tutte le ricerche,è fondamentale per combattere i divari sociali, economici e territoliari e per recuperare gli svantaggi in modo duraturo.

Pertanto garantire un REDDITO MINIMO può favorire la mobilità sociale perché può essere investito in istruzione, formazione, piccola attività imprenditoriale.

La disuguaglianza economica e la rigidità sociale, quando sono esasperate, e negli ultimi 30anni sono state scandalose, per effetto della globalizzazione, provocano il crollo dei consumi di massa, la crisi della produzione, l'aumento del debito: è accaduto nel 1929, si è ripetuto nel 2007.             L' OCSE, nel suo ultimo rapporto su crisi e divario sociale, presentato nei giorni scorsi a Parigi, nel confermare che in Italia la disuguaglianza resta ben al di sopra della media dei Paesi occidentali, scrive che la quota di reddito nazionale detenuta dall'1% più ricco è passata dal 7 al 10% negli ultimi 20 anni.

Non è un caso che i Paesi al vertice delle classifiche per ricchezza sono anche in cima alle classifiche per eguaglianza sociale: la Danimarca, che tra i 27 Paesi U.E. è il primo per eguaglianza sociale, è anche il terzo Paese più ricco al mondo; la Norvegia, che occupa il 4° posto nella classifica dell'uguaglianza, è il Paese più ricco al mondo.

Pertanto riconoscere un REDDITO MINIMO a quanti sono privi di risorse, si tradurrà in maggiori consumi e costituirà un contributo importante al superamento della crisi.

- Siamo consapevoli che per ridurre le disuguaglianze il REDDITO MINIMO non basta; occorre altro:

aumentare i salari, azzerare l'evasione fiscale, tassare i patrimoni, allentare la pressione fiscale su salari e profitti.

- Siamo consapevoli che per ridurre la mobilità sociale il REDDITO MINIMO non è sufficiente; occorre:

abolire i privilegi delle caste chiuse con la liberalizzazione delle professioni, garantire il diritto all'istruzione e alla formazione di tutti i cittadini.

- Siamo consapevoli che per la ripresa economica il REDDITO MINIMO non è risolutivo; occorrono:

investimenti pubblici nel riassetto idrogeologico, nelle fonti rinnovabili, nei beni culturali.

Ma il REDDITO MINIMO, finanziato attraverso la riduzione della spesa militare, attraverso una tassa sui grandi patrimoni può contribuire a ridurre le disuguaglianze e la povertà, a rendere meno immobile il nostro Paese, a sostenere l'economia.

Può soprattutto ridurre la conflittualità più radicale:

- perché i giovani non dovrebbero essere "indignati" per un debito che non hanno prodotto?

- perché non dovrebbero indignarsi se il loro futuro è incerto e precario?

Riconoscere il diritto a un R.M. può garantire una maggiore coesione territoriale tra Nord e Sud, una maggiore coesione tra generazioni; può garantire quella coesione sociale che è condizione indispensabile per affrontare i gravi problemi del nostro Paese.

Così si esprimeva Enrico Berlinguer in un' intervista rilasciata a Eugenio Scalfari nel 1981: «Quando si chiedono sacrifici ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire». Riccardo Ugolino - Comitato RMG Calabria - 14.02.2012

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